Lavoro e Previdenza

Friday 16 September 2005

Diritto al riposo settimanale e festività infrasettimanali. Il punto della Cassazione Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 11 maggio-8 agosto 2005, n. 16634

Diritto al riposo settimanale e festività infrasettimanali. Il punto
della Cassazione

Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 11 maggio-8 agosto 2005, n. 16634

Presidente Mileo
– relatore Balletti

Pm Napoletano – difforme- ricorrente Boemi ed altri – controricorrente
Fondazione teatro alla scala di Milano

Svolgimento del processo

Con sentenza del 29 novembre 2002 la
Corte d’appello di Milano, in riforma della decisione di primo emessa dal
tribunale di Milano (in funzione di giudice del lavoro), accoglieva il ricorso
originariamente proposto dalla “fondazione teatro alla scala” contro Yuri Albiretti ed altri
centocinquantotto dipendenti tecnici di palcoscenico – inteso a fare accertare
l’obbligo di detti dipendenti a rendere la prestazione lavorativa anche nelle
giornate festive secondo la turnazione e l’organizzazione normale del lavoro e
dei riposi – e, per l’effetto, “dichiara(va) l’obbligo degli appellati a
svolgere la prestazione lavorativa, in quanto richiesta dalla fondazione,
secondo i turni e l’organizzazione del lavoro e dei riposi normali, anche nelle
festività infrasettimanali; dichiara(va) totalmente compensate le spese di entrambi i gradi”.

Per quello che rileva in questa sede
la Corte territoriale ha rimarcato che: a) “dalle
caratteristiche del riposo domenicale distinto, se pure strettamente connesso,
dal riposo settimanale emerge l’erroneità della tesi che, individuato nel
riposo domenicale una funzione di ristoro, come tale ottenibile anche in giorno
differente, collega a questo la derogabilità della disciplina, così escludendo
invece, per disomogeneità di ratio, l’applicazione analogica della derogabilità
con riguardo alle festività infrasettimanali, (atteso che) il riposo di
domenica non ha tale funzione di ristoro, ma ha invece, come è per tali
festività, una funzione di fruizione di tempo libero qualificato”; b) “è una
forzatura che contrasta con l’argomento logico a fortori l’esclusione della
derogabilità contrattuale collettiva della disciplina in tema di festività
infrasettimanali quando è invece ammessa la deroga della disciplina della
coincidenza della domenica con il riposo settimanale, espressione di un diritto
costituzionalmente garantito; riposo al quale tale coincidenza, pur se
distinta, è comunque collegata, (sicchè) le situazioni
sono molto più vicine di quel che si è sostenuto dagli appellati e dal primo
giudice, e pertanto appare utilizzabile in sede interpretativa ex articolo 12
(comma 2) delle “disp.prel.” Cc,
il procedimento analogico”; c) “la tesi accolta dal primo giudice conduce alla
conseguenza socialmente inaccettabile di rendere a seconda dei casi difficile o
addirittura impossibile lo svolgimento di certe attività, anche attinenti a
servizi pubblici e quindi ad interessi e a diritti di altri, individuali e
diffusi, né la valvola di sfogo del sistema su tale versante può essere
rintracciata nella contrattazione collettiva e cioè nel suo poter incidere sul
modo d’esercizio del diritto (inderogabile) all’astensione, fissando ad esempio
un termine di comunicazione preventiva della fruizione della festività o
prevedendo incentivi economici alla non fruizione”; d) “la regola contrattuale
collettiva contenuta nell’articolo 110 Ccnl, che ha
legittimamente disciplinato diversamente la fruizione delle assenze dal lavoro
nelle festività settimanali degli attori, è valida, e, pertanto deve applicarsi
ai rapporti in questione: naturalmente – ma ciò è fuori discussione – la
prestazione in giornata deve godere del corrispondente regime economico”.

Per la cassazione di tale sentenza hanno
proposto ricorso i 122 (o, meglio, 121 essendo stato riportato due volte
nell’intestazione il nominativo di Fini Oscar)
ricorrenti specificamente indicati in epigrafe (in numero, quindi, ridotto
rispetto agli originari 159 convenuti-appellati) adducendo a sostegno tre
motivi (più cd. “considerazioni conclusive”).

Resiste con controricorso
la “fondazione teatro alla scala di Milano” che solleva, altresì, in via
subordinata, “questione di costituzionalità delle norme legislative in esame se
interpretate nel modo proposto dai ricorrenti”.

Entrambe le parti hanno presentato
memoria ex articolo 378 Cpc.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti – denunciando “violazione degli
articoli 36 (comma 3) Costituzione, 2109 (comma 1) Cc
e 1 e 3 della legge 370/34” – rilevano l’erroneità della decisione impugnata
per non avere la Corte d’appello di Milano considerato che “il riposo
contemplato dalla legge è solamente quello settimanale, mentre il cd riposo
domenicale rappresenta esclusivamente una modalità di fruizione del riposo
settimanale (per cui) la derogabilità cui fa riferimento l’impugnata sentenza
riguarda solo una modalità di fruizione del riposo settimanale, non la
fruizione in sé del riposo: (sicchè) alla disciplina
di un riposo non si può analogicamente applicare la disciplina della modalità
di fruizione di un altro riposo, e questo per il semplice motivo che la
derogabilità del cd. Riposo domenicale non fa venir meno il riposo settimanale,
che rimane inderogabile; al contrario, la pretesa applicazione analogica della
disciplina del cd riposo domenicale al caso che qui
interessa comporterebbe il radicale ed irrimediabile sacrificio del riposo
festivo infrasettimanale”.

Con il secondo motivo i ricorrenti –
denunciando “violazione degli articoli 5 della legge 260/49 e 3 della legge
90/1954” – addebitano alla Corte d’appello “di aver trascurato di considerare
che la disciplina del riposo festivo infrasettimanale è compiutamente dettata
dalla legge 260/49 (e successive modificazioni ) e non può essere integrata da nessun’altra disciplina legislativa, neppure in via
analogica” – e rilevano che “la stessa fondazione non ha mai invocato
l’applicazione analogica sulla base della identità di
ratio, ma sempre e solo in considerazione del rango dei due istituti, secondo
cui le eccezioni introdotte dalla legge per il riposo settimanale dovrebbero
trovare applicazione analogica al caso di specie in quanto il riposo
settimanale avrebbe un rango superiore rispetto al riposo in giornata festiva infrasettimanale”
– e censurano l’impugnata sentenza “per non avere ritenuto nulla la clausola di
un contratto collettivo che ammettesse che le organizzazioni sindacali possano
derogare in senso peggiorativo un diritto del singolo lavoratore, se non nel caso
in cui il titolare del diritto conferisca esplicito mandato, evincendosi dalla
normativa in materia di festività (e, in particolare, degli articoli 5 e 3
cit.) la configurabilità del diritto a non lavorare nelle festività
infrasettimanali”.

Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti
– denunciando “carenza di motivazione su un punto essenziale della
controversia” – rilevano che “l’impugnata sentenza è censurabile anche per
avere radicalmente trascurato di considerare che l’avversaria domanda si fonda,
in fatto, sulla pretesa assenza dal lavoro degli esponenti in occasione della
rappresentazione del balletto “il figliol prodigo”
del 2 giugno 2001, mentre in realtà, come è stato detto in narrativa, a tale
rappresentazione erano comandati solo alcuni degli esponenti, (per cui), nei
confronti degli altri esponenti, l’avverso ricorso è ancor più infondato, in
quanto costoro non si sono assentati dalla rappresentazione che costituisce
oggetto della presente causa”.

Nelle cd. “considerazioni conclusive, infine,
i ricorrenti criticano la parte motivazionale della decisione “che ha
sostanzialmente accolto un’argomentazione “non strettamente tecnico-giuridica”
avanzata dalla fondazione,secondo cui il ragionamento
degli esponenti metterebbe a rischio la fornitura di servizi pubblici
essenziali” e a tal uopo osservano “che la fondazione eroga un servizio
sicuramente importante, ma che non può essere equiparato a quello degli
ospedali o delle aziende che forniscono gas o energia elettrica, per cui, se
anche l’osservazione di controparte fosse condivisibile, sarebbe del tutto
ininfluente nella presente causa”.

I cennati motivi di ricorso – esaminabili congiuntamente in
quanto intrinsecamente connessi – si appalesano
fondati.

Infatti, del tutto erroneamente, la
Corte d’appello di Milano ha ritenuto che “il diritto del lavoratore
all’astensione dal lavoro nelle festività infrasettimanali non è espressamente previsto” ma può “ricavarsi dal primo comma dell’articolo 5
della legge 260/49” e che, non essendo stata dettata in materia una compiuta
disciplina legislativa, possono applicarsi in via analogica alle festività
infrasettimanali le eccezioni al divieto di lavoro domenicale di cui alla legge
370/34, sicchè – pur non potendosi “rintracciare la
valvola di sfogo del sistema nella contrattazione collettiva” “è valida la
regola contrattuale ex articolo 110 del Ccnl degli
enti lirici (il cui contenuto ed i cui criteri di interpretazione e di
applicazione non sono affatto indicati nella sentenza impugnata) che ha
legittimamente disciplinato diversamente le fruizioni delle assenze del lavoro
nelle festività settimanali degli attori”.

Al riguardo questa Corte non può che
confermare la propria giurisprudenza a mente della quale
è stato statuito che ai lavoratori viene riconosciuto il “diritto soggettivo”
di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali
celebrative di ricorrenze civili o religiose (Cassazione, 4435/04, Cassazione
9176/77, Cassazione 5712/86). In particolare: a) con la più remota di tali
decisioni è stato significativamente e pragmaticamente
affermato che “la possibilità di svolgere attività lavorativa nelle festività
infrasettimanali non può giustificare la illazione del
tribunale che tale trasformazione da giornata festiva a lavorativa possa
avvenire “evidentemente” per libera scelta del datore di lavoro;altrettanto
“evidentemente” per libera scelta del datore di lavoro; altrettanto
“evidentemente” – potrebbe sostenersi – la trasformazione dovrebbe avvenire per
libera scelta del lavoratore: in verità, se alle parole della legge “giorni
festivi” ed alla frase “agli effetti della osservanza del completo orario
festivo” si dà il senso che ad esse è proprio, non può che concludersi che il
legislatore ha voluto attribuire al lavoratore il diritto di astenersi dal lavoro in quei giorni … e
del resto, in varie occasioni questa Suprema Corte ha affermato che le norme
sopra citate hanno attribuito a tutti i lavoratori indistintamente il diritto
soggettivo di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali”
(Cassazione 5712/86); b) con la sentenza 9176/97 è stato più ampiamente
statuito che “il senso proprio delle parole “giorni festivi” e la frase agli
effetti della osservanza del completo orario festivo, adoperate dall’articolo 2
della legge 260/49, non poteva che essere quello di attribuire al lavoratore il
diritto di astenersi dal lavoro nei giorni indicati dalla stessa legge, e
doveva escludersi che siffatta volontà della legge potesse essere posta nel
nulla dal datore di lavoro, e che la rinunciabilità
al riposo nelle festività infrasettimanali non è rimessa né alla volontà
esclusiva del datore di lavoro, né a quella del lavoratore ma al loro accordo”.

In tal senso la normativa (specie.
Legge 260/49), che ha individuato le festività celebrative di ricorrenze civili
e religiose con il conseguente diritto del lavoratore di astenersi dal prestare
lavoro in dette festività, è su tale punto completa e non necessita
di integrazione in sede di applicazione giudiziaria.

A questo proposito – avendo invece,
la Corte territoriale ritenuto di utilizzare in sede interpretativa della
normativa sulle festività infrasettimanali il procedimento analogico – si innesta il prospettato profilo dell’”analogia”, sicchè (per approfondire tale profilo) è da rilevare che,
secondo la definizione dottrinale più accreditata, l’interpretazione, o
applicazione, analogica, o per analogia, è costituita da quel procedimento
mediante il quale chi interpreta ed applica il diritto può sopperire alle
eventuali deficienze di previsione legislativa (cd lacuna dell’ordinamento giuridico) facendo
ricorso alla disciplina normativa prevista per un caso “simile” ovvero, alla
stregua dell’equivoca terminologia aggiunta alternativamente dal capoverso dell’articolo
12 Cc, per “materie analoghe”: ciò in forza dei
principi fondamentali del nostro ordinamento secondo cui il giudice deve
decidere ogni caso che venga sottoposto al suo esame (“ obbligo di non denegare
giustizia”) e deve assumere la relativa decisione applicando una norma
dell’ordinamento positivo (“obbligo di fedeltà del giudice alla legge”).
Segnatamente, per poter ricorrere al procedimento per analogia, è necessario
che: a) manchi una norma di legge atta a regolare direttamente un caso su cui
il giudice sia chiamato a decidere; b) sia possibile ritrovare una o più norme positive (cd. analogia legis) o
uno o più principi giuridici (cd. analogia iuris) il
cui valore qualificatorio sia tale che le rispettive
conseguenze normative possano essere applicate alla fattispecie originariamente
carente di una specifica regolamentazione, sulla base dell’accertamento di un
rapporto di somiglianza tra alcuni elementi (giuridici o di fatto) della
fattispecie regolata ed alcuni elementi di quella non regolata: costituendo il
fondamento dell’analogia la ricerca del cd quid comune mediante il quale
l’ordinamento procede alla propria “autointegrazione”.

Che nella specie non possa parlarsi di casus omissis e,conseguentemente, non
sussista alcun presupposto per fare ricorso al procedimento per analogia appare
oltremodo evidente in quanto il legislatore ha espressamente limitato (ex
secondo e terzo comma dell’articolo 5 della legge 260/49) il suo intervento
alla regolamentazione del trattamento economico dovuto al lavoratore nel caso
in cui “presti la sua opera nelle festività infrasettimanali” [non sussistendo
(sia detto per incidens) il divieto assoluto a
prestare lavoro in dette festività, giacchè è
possibile derogarvi mediante accordo tra le parti] e, per escludere una deroga “generale” in forza di legge, ha
(anche qui) espressamente fatto carico (articolo unico della legge 520/52)
soltanto al “personale dipendente delle istituzioni sanitarie pubbliche e
private” l’eventuale obbligo di prestare lavoro nelle suddette festività per
ragioni inerenti alle esigenze di servizio.

Si tratta, di conseguenza, di applicazione di una normativa da interpretarsi nel suo
effettivo contesto “letterale” e “sostanziale”: per cui, nella specie, non
manca una norma di legge atta a regolare compiutamente la materia e non deve
ricercarsi un quid comune per integrare una lacuna dell’ordinamento, in quanto
nella legge da interpretare e da applicare vi è la disciplina normativa idonea
ad una corretta attività, dell’interprete e, poi, del giudice.

Considerata l’assorbente ragione della
verificata impossibilità ab imis
di ricorrere al procedimento analogico per essere la normativa nella specifica
materia completa, non occorre accertare se sussista
una identità di ratio tra “riposo settimanale” – o, secondo la Corte milanese
quale terza ipotesi, “riposo coincidente con la domenica” – e “riposo
infrasettimanale” al mero fine di sostenere che il “riposo per le festività” –
così come il “riposo domenicale” – non avrebbe funzione “di ristoro” bensì “di
fruizione di tempo libero qualificato” e, conseguentemente (essendo le
situazioni asseritamene “molto vicine”), di tentare impropriamente di
utilizzare in sede interpretativa il procedimento analogico.

Accertamento questo superfluo
rispetto al fine postosi dalla Corte territoriale – e, vale ribadire,
per escluderne la praticabilità -, in quanto per poter fare ricorso
all’analogia ex articolo 12, capoverso, Cc bisogna
anzitutto verificare se la controversia non possa essere “decisa con una
precisa disposizione” e, come si è dinanzi verificato, nella specie esiste
proprio una normativa compiuta per il riconoscimento effettivo del diritto
soggettivo del lavoratore di astenersi dal lavoro in occasione delle festività
infrasettimanali: non sussiste, quindi, una carenza di normativa in materia,
per cui il giudice – e, nel presente giudizio, questa Suprema Corte “che deve
assicurare, con l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità
del diritto oggettivo nazionale” – nell’applicare la legge “non può ad essa
attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle
parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”
(comma 1 dell’articolo 12,cit.).

E’, pertanto, errato ritenere che
l’asserita carenza normativa possa individuarsi nella
pretesa (o, vulgus, nel “beneplacito”) della parte datoriale di far fruire, o meno, materialmente al
lavoratore il riposo nelle festività infrasettimanali poiché – per ripetere quanto già affermato
incisivamente da questa Corte circa vent’anni or sono
– sarebbe “assurdo pensare che varie leggi siano poste nel nulla dalla mera
volontà del datore di lavoro essendo ovvio che diversa sarebbe stata la
formulazione della norma se il legislatore avesse voluto dire soltanto che la
festa si celebra se lo vuole il datore di lavoro” (così, testualmente,
Cassazione 5712/86).

In siffatta ipotesi (già definita)
assurda si pretenderebbe di non rendere possibile la regolamentazione di una
fattispecie non altrimenti regolata da una norma presente nell’ordinamento, ma
di estendere practer (o, più correttamente, contra) legem la normativa
compiutamente esistente in base all’interesse “particolare” (che vorrebbe ad
assumere un ruolo decisivo predominante) di una delle parti del rapporto già
completamente regolamentato in subiecta materia . Né è possibile fare riferimento
per siffatta illegittima estensione a cd. “conseguenze socialmente rilevanti”
perché di esse il giudice può tenere conto solo ed in
quanto il legislatore ne abbia trasfuso sostanzialmente il contenuto nella
norma, non potendo certo avvenire altrimenti a causa dei diversi ruoli
istituzionali ricoperti dai differenti “poteri” nell’esercizio delle funzioni
fondamentali dello Stato.

Nella specie, la normativa sulle
festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose (legge
260/49) è stata emanata successivamente alla normativa
sul riposo domenicale e settimanale (legge 370/34) e in essa non solo non sono
state estese alle festività infrasettimanali le eccezioni all’inderogabilità
previste ex lege esclusivamente per il riposo
domenicale, ma con successiva norma (legge 520/52) è stato sancito che solo per
“il personale di qualsiasi categoria alle dipendenze delle istituzioni
sanitarie pubbliche e private” sussiste l’obbligo (“il personale per ragioni
inerenti all’esercizio deve prestare servizio nelle suddette giornate”) della
prestazione lavorativa durante le festività (“nel caso che l’esigenza del
servizio non permetta tale riposo”) su ordine datoriale
in presenza, appunto (anche in questa specifica ipotesi), di “esigenze di
servizio”.

Di conseguenza appare evidente, sotto
qualsivoglia profilo, che non sussiste un obbligo “generale” a carico dei
lavoratori di effettuare la prestazione nei giorni
destinati ex lege per la celebrazione di ricorrenze
civili o religiose, per cui si conferma l’erroneità di fare ricorso al
procedimento analogico per stabilire giudizialmente la sussistenza di siffatto
(inesistente) obbligo.

Da quanto statuito
deriva
l’erroneità della sentenza impugnata pure nel punto in cui viene affermato che
“la regola contrattuale collettiva contenuta nell’articolo 110 cit. (citazione
che si limita esclusivamente al seguente rilievo: “secondo il tribunale, la
clausola di cui all’articolo 110 Ccnl degli enti lirici, che tale obbligo prevede, è nulla
in quanto incide sul diritto dei lavoratori di astenersi dal lavoro, cui è
consentito derogare per il solo lavoratore domenicale”), che ha legittimamente
disciplinato la fruizione delle assenze dal lavoro nelle festività
infrasettimanali degli attori, è valida e deve applicarsi ai rapporti in
questione”.

Per vero, a parte l’assoluta carenza motivazionale del percorso argomentativi alla base
del decisum – ove non è dato conoscere quale sia il
contenuto della disposizione del contratto collettivo (meramente citata) e non
è possibile comprendere quali siano stati i canoni ermeneutici
adottati per pervenire all’applicazione di detta disposizione (definita tout
court “valida”) – che vizia anche tale “capo” della sentenza, questa Corte ha
già affermato che in nessun caso una norma di un contratto collettivo “possa
comportare il venir meno di un diritto già acquisito dal singolo lavoratore
(come il diritto ad astenersi dal lavoro nelle festività infrasettimanali), non
trattandosi di diritto disponibile per le organizzazioni sindacali” (Cassazione
9176/97 cit.).

Nella già menzionata più recente
decisione di questa Corte in argomento è stato,
altresì, precisato che – nel caso, trattato in quel particolare giudizio, di
contrattazione collettiva di categoria che aveva espressamente previsto che la
fruizione delle festività infrasettimanali fosse subordinata alle esigenze
aziendali – “il rapporto tra norma legale e norma contrattuale rispetta la
dicotomia regola-eccezione: la regola generale (di fonte legale) è quella dell’astensione
dal lavoro; l’eccezione (di fonte legale) è quella dell’astensione dal lavoro;
l’eccezione (di fonte contrattuale collettiva) è quella dell’obbligo per il
lavoratore di effettuare la prestazione lavorativa anche nel giorno festivo,
(per cui) l’esistenza di “esigenze aziendali”, prevista dalla normativa
contrattuale collettiva, costituisce il presupposto perché dall’applicazione
della regola si passi all’applicazione dell’eccezione, talchè
che invoca la norma contrattuale (di eccezione) per paralizzare la norma legale
(di riconoscimento in generale del diritto del lavoratore ad astenersi dalla
prestazione lavorativa) deve provarne i presupposti: dall’evidenziato rapporto
regola-eccezione discende che è il datore di lavoro che alleghi l’applicazione della
norma contrattuale, che tale eccezione rechi alla regola legale, a dover
provare la sussistenza del presupposto di fatto, ossia le esigenze aziendali”
(Cassazione 4435/04 cit.).

Nella specie non è stata allegata dal
soggetto interessato l’esistenza di una disposizione del contratto collettivo
di contenuto strettamente analogo a quello di cui alla cennata
fattispecie giudiziaria, sicchè – a parte
l’inesistenza assoluta di riscontri probatori (neppure addotti processualmente) sul punto considerato nella citata
decisione – vale confermare l’indirizzo giurisprudenziale a mente del quale le
associazioni sindacali non possono derogare in senso peggiorativo ad un diritto
del singolo lavoratore, se non nel caso in cui il titolare del diritto abbia
conferito esplicito mandato (cfr., ex plurimis, Cassazione 6749/99, Cassazione 6150/90,
Cassazione 537/87), non appartenendo all’autonomia sindacale il potere di
disporre di diritti già sorti in capo ai lavoratori per l’avvenuto
perfezionamento delle relative fattispecie costitutive.

Per completezza di disamina si
precisa che il D.Lgs 66/2003
(in “attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE
concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”) –
richiamata dall’attenta difesa della controricorrente
nella memoria ex articolo 378 Cpc ad asserita
conferma della sentenza impugnata – nulla aggiunge alla specifica normativa
sulle festività infrasettimanali in quanto la normativa comunitaria (che,
comunque, non potrebbe rivestire efficacia retroattiva) si riferisce
espressamente al riposo settimanale ed alla possibilità che siffatto riposo (e
non certo il diritto di astensione dal lavoro in occasione delle festività
infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose) possa essere
calcolato in giorno diverso dalla domenica.

Deve, infine, respingersi l’eccezione
sollevata dalla controricorrente di
“incostituzionalità della normativa vigente in materia di riposi festivi nel
non creduto caso essa fosse ritenuta suscettibile di essere interpretata
secondo la tesi avversaria” per l’assoluta genericità
dell’individuazione della questione di legittimità costituzionale sia in
relazione alla posizione di conflitto del contenuto della norma (genericamente)
denunciata con il contenuto di norme della Costituzione o di leggi
costituzionali.

A quest’ultimo
riguardo il generico riferimento agli articoli 2 e 3
della Costituzione e, apoditticamente, “a tutti i principi che attribuiscono
rilievo costituzionale a interessi del cittadino non suscettibili di essere
adeguatamente soddisfatti se non mediamente il regolare funzionamento dei
servizi pubblici anche durante le giornate festive” rende evidente
l’infondatezza dell’eccezione di illegittimità costituzionale atteso che: a) i
principi delle libertà civili ex articolo 2, anche se individuati in chiave di
“solidarietà politica, economica o sociale”,
possono essere specularmente intesi solo nella
misura e nei limiti consentiti dai singoli doveri costituzionali di cui
l’articolo 2 rappresenta una clausola meramente riassuntiva: per cui non è dato rilevare l’attinenza costituzionale
con l’asserito dovere per il lavoratore di effettuare la prestazione nelle
festività; b) così i principi di uguaglianza “formale” e “sostanziale” ex
articolo 3 non possono certo far individuare, sempre a proposito
dell’astensione dal lavoro nelle festività infrasettimanali, categorie sociali
“sotto-protette” – con la pretesa di una pregnante tutela costituzionale dei
relativi particolari interessi – nell’ente datoriale
o (come sembra desumersi dall’eccezione siccome sollevata) negli utenti del
servizio assicurato da detto ente; c) a tale proposito la concezione oggettiva
adottata dal legislatore per la definizione (sia pure ad altro fine dei
servizi) indica che “sono considerati servizi pubblici essenziali, quelli volti
a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente
tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libera
circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla
libertà di circolazione”: per cui, con tutta evidenza, non si può – se non a
patto di un non consentito salto logico – fare rientrare entro tale ambito il
servizio assicurato nella specie dalla controricorrente.

In definitiva, alla stregua delle
considerazioni svolte, il ricorso proposto dai summenzionati centoventuno
ricorrenti va accolto e, conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere
cassata limitatamente alla posizione processuale degli odierni ricorrenti
(siccome nominativamente indicati in epigrafe) e, decidendo nel merito ex
articolo 384 (ult. a1 del
primo comma) Cpp poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto,
deve essere rigettata la domanda giudiziale originariamente proposta dalla
fondazione “teatro alla Scala di Milano” nei confronti di detti ricorrenti.

Ricorrono giusti motivi (“differente
esito dei giudizi nei due gradi di merito”) per dichiarare integralmente
compensate tra le parti le spese dell’intero processo.

PQM

La
Corte
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata limitatamente ai centoventuno
ricorrenti e, decidendo nel merito, rigetta la domanda
originariamente proposta dalla fondazione “teatro alla Scala di Milano” nei
confronti di detti ricorrenti; compensa le spese dell’intero processo.