Civile
Diffida ad adempiere e risoluzione del contratto
Diffida ad
adempiere e risoluzione del contratto
Cassazione – Sezione terza civile
– sentenza 11 ottobre – 8 novembre 2007, n. 23315
Presidente Nicastro – Relatore
Durante
Pm Abbritti – difforme –
Ricorrente Boni ed altri – Controricorrente Manetti
Svolgimento del processo
Franco Lancellotti, dopo avere
ottenuto ed eseguito sequestro conservativo nei confronti di Maurizio Manetti,
conveniva costui innanzi al tribunale di Firenze per la convalida, la pronuncia
ex art. 2932 c.c. di sentenza che tenesse luogo del contratto definitivo in
relazione a preliminare avente ad oggetto il trasferimento delle quote della
s.r.l. Radioguide, il pagamento del prezzo residuo (lire 28.000.000) e del
valore dei titoli depositati presso la banca toscana e da questa venduti (lire
30.000.000) oltre interessi.
Il convenuto si opponeva alla
domanda, sostenendo che non si era proceduto alla stipula del contratto
definitivo a causa del fatto che l’altro promittente venditore, Romeo Boni, non
si era presentato innanzi al notaio; che il preliminare si era risolto a
seguito di diffida ad adempiere; che la sua efficacia
era subordinata a condizione non avveratasi.
Altro giudizio con il medesimo
oggetto era instaurato nei confronti del Manetti da Romeo Boni innanzi allo
stesso tribunale; in tale giudizio, che veniva riunito
all’altro, il convenuto proponeva domanda riconvenzionale di risoluzione del
preliminare per inadempimento.
Il tribunale accoglieva le
domande attrici e rigettava la domanda riconvenzionale.
Ad opposta conclusione perveniva
la corte di appello di Firenze che con sentenza resa il 4.2.2003 rigettava le
domande attrici, motivando come segue.
Il tribunale ha ritenuto che pure
dopo la scadenza del termine stabilito nella diffida ad
adempiere il Lancellotti abbia conservato il potere di chiedere l’adempimento,
essendo l’effetto risolutorio rimasto nella sua disponibilità; viceversa,
verificatosi l’inadempimento, la parte adempiente ha la duplice facoltà di
chiedere sentenza risolutiva del contratto avente natura costitutiva o di
intimare diffida ad adempiere; in questo secondo caso l’effetto risolutorio si
verifica per l’inutile decorso del termine fissato nella diffida e la sentenza
ha natura dichiarativa; la diffida ad adempiere è in sostanza alternativa alla
domanda di risoluzione; l’intimante non ha tuttavia il potere di porre nel
nulla l’effetto risolutorio già verificatosi e chiedere l’adempimento; non si
otterrebbe altrimenti il risultato di dare chiarezza al rapporto e si
lascerebbe indefinitamente il diffidato in soggezione del creditore; nel caso
di specie la diffida ad adempiere corrisponde al tipo astratto previsto
dall’art. 1454 c.c.; peraltro, la condizione stabilita nella lettera f) del
contratto preliminare non si è avverata perché il Manetti non ha adempiuto
l’obbligo di sostituire i titoli depositati con altri titoli dello stesso tipo;
l’inadempimento del Manetti non si può ritenere di scarsa importanza
considerato che la liberazione dei titoli dal vincolo pignoratizio avrebbe
consentito ai promittenti venditori di rientrare in possesso di una somma
cospicua; legittimamente, pertanto, il Lancellotti si è avvalso dello strumento
della risoluzione di diritto, precludendosi, però, la possibilità di proporre
la domanda di adempimento in forma specifica; non può accogliersi la domanda concernente
i titoli di Stato atteso che la vendita di essi non ha comportato diminuzione
patrimoniale a danno del Lancellotti e del Boni i quali si trovano a possedere
quote di una società con una minore esposizione debitoria.
Avverso tale
sentenza hanno proposto autonomi ricorsi per cassazione il Boni ed il
Lancellotti, deducendo il primo tre motivi ed il secondo uno; ad entrambi i
ricorsi ha resistito il Manetti il quale ha proposto ricorso incidentale con un
motivo; il Boni ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. I ricorsi sono proposti contro
la medesima sentenza ed a norma dell’art. 335 c.p.c. vanno riuniti.
2. Il ricorso del Boni risulta
notificato il 4.11.2005 e quello del Lancellotti l’11.11 successivo.
Quest’ultimo ricorso avrebbe,
pertanto, dovuto assumere la forma del ricorso incidentale in quanto il
principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una medesima
sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima
impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte nella forma della
impugnazione incidentale e, quindi, nel caso del ricorso per cassazione con
l’atto contenente il controricorso.
Poiché, tuttavia, tale forma non
è essenziale, il ricorso proposto con atto a sé stante è valido e si converte
in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del
termine di quaranta giorni risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e
371 c.p.c, indipendentemente dai termini di impugnazione in astratto operativi
(ex plurimis Cass. 2.4.2001, n. 4789).
Conseguentemente il ricorso del
Boni va considerato principale e quello del Lancellotti incidentale.
3. Precede per ragioni di ordine
logico l’esame del secondo motivo del ricorso del Boni e dell’unico motivo del
ricorso del Lancellotti.
4. Con il secondo motivo il Boni
lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1454 c.c., nonché omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione
su punto decisivo (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c); secondo la corte di merito la
parte non può rinunciare all’effetto risolutorio del contratto che ha provocato
con la diffida ad adempiere e pretendere
l’adempimento; la giurisprudenza di legittimità è diversamente orientata ed in
particolare ritiene che la diffida ad adempiere non può produrre effetti contro
ed oltre la volontà del suo autore il quale può sempre rinunciare ad avvalersi
della risoluzione già verificatasi per l’inutile decorso del termine fissato
nella diffida o dichiarato giudizialmente, ripristinando l’obbligazione rimasta
inadempiuta; sono indicative di siffatto orientamento le sentenze di questa
Corte 23.4.1977, n. 1530; 18.5.1987, n. 4535; 4.8.1997, n. 7182; 28.6.2004, n.
11967.
5. Con l’unico motivo il
Lancellotti deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1454 c.c., nonché vizi di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c);
la corte di merito ha erroneamente ritenuto che l’effetto risolutorio del
contratto per inadempimento non sia nella libera disponibilità del creditore
diffidante; ben vero che il termine fissato nella diffida ha carattere
essenziale, ma è pure vero che l’essenzialità è posta nell’interesse del
creditore il quale è l’unico arbitro della convenienza di fare valere l’inutile
decorso del termine; il creditore può cambiare idea dopo avere intimato la disdetta
ed in questo risiede la "ratio" dell’art. 1454 c.c.,
norma posta a favore della parte adempiente che conserva la facoltà di
rinunciare "a posteriori" all’effetto risolutorio; la norma non
tutela l’interesse del diffidato ad avere certezza del rapporto; insomma
l’effetto risolutorio rimane nella disponibilità del creditore che può agire
per l’adempimento.
6. I motivi, da esaminare
congiuntamente perché pongono la medesima tematica, sono fondati e vanno
accolti.
6.1. Bisogna ammettere che la
giurisprudenza di questa Corte è nel senso indicato nei motivi e, cioè,
riconosce un assoluto potere dispositivo al contraente adempiente ed ammette la
"ritrattazione" da parte dello stesso anche dopo l’inutile decorso
del termine stabilito nella diffida ad adempiere che
viene considerato come posto nel suo esclusivo interesse.
Tale giurisprudenza rileva che la
diffida ad adempiere è stabilita nell’interesse della
parte adempiente e non costituisce un obbligo, bensì una facoltà che si esprime
"a priori" nella libertà di scegliere questo mezzo di risoluzione del
contratto a preferenza di altri ed "a posteriori" nella possibilità
di rinunciare agli effetti risolutori già prodottisi.
Essa ha lo scopo di realizzare,
pur in mancanza di una clausola risolutiva espressa, gli effetti che si
ricollegano alla detta clausola e, cioè, la rapida risoluzione del rapporto
mediante la fissazione di un termine che ha carattere essenziale nell’interesse
della parte adempiente, alla quale è rimessa la valutazione della convenienza
di farne valere la decorrenza.
La risoluzione si produce di
diritto indipendentemente dalla volontà dell’intimato, rimanendo nella
disponibilità dell’intimante che può successivamente rinunciare ad avvalersene.
Parallelamente si è considerato
che la diffida ad adempiere è un negozio giuridico,
sicché non può produrre effetti contro ed oltre la volontà del suo autore che
può sempre decidere di non fare valere la risoluzione già verificatasi.
Se ne è fatta derivare la
necessità della domanda dell’intimante perché il giudice possa dichiarare la
risoluzione e la conferma che lo stesso intimante invece di avvalersi
dell’effetto risolutorio può ricorrere ad altri mezzi di tutela.
6.2. La dottrina è fortemente critica; si afferma con chiarezza che nella
diffida ad adempiere l’effetto risolutorio non è nella disponibilità
dell’intimante che dopo avere azionato il meccanismo risolutorio non può più
rinunciarvi.
Si osserva che,
se il contratto è risolto, il creditore ed il debitore sono liberati
dall’obbligazione non ancora adempiuta o sono creditori della restituzione se
hanno in tutto o in parte adempiuto; ritenere diversamente significa
considerare la risoluzione di diritto come un vantaggio unilaterale del
creditore, da lui liberamente disponibile; essa, invece, non costituisce un
privilegio per il contraente non inadempiente e rappresenta un’alternativa alla
risoluzione giudiziale senza privare la parte inadempiente delle garanzie
accordate dal processo.
In definitiva la diffida ad adempiere si configura come negozio giuridico unilaterale
recettizio con il quale il diffidante manifesta la volontà di risolvere il
contratto con l’esercizio irrevocabile della facoltà di scelta tra risoluzione
ed adempimento e con la consapevolezza di non potere impedire la risoluzione
dal momento in cui la diffida giunge a conoscenza del diffidato.
Si tutelano così l’interesse
dell’inadempiente a non rimanere indefinitamente esposto all’arbitrio della
parte adempiente e quello generale che siano rimesse nella circolazione
economica le risorse coinvolte nella vicenda contrattuale.
6.3. Pur nella consapevolezza del
valore dei rilievi critici della dottrina sembra di dovere confermare
l’orientamento fin qui seguito considerato che rinunciare all’effetto
risolutorio già verificatosi per avvalersi di altri mezzi di tutela rientra
nell’ambito delle facoltà connesse all’esercizio dell’autonomia privata al pari
della rinuncia al potere di ricorrere al congegno risolutorio predisposto
dall’art. 1454 c.c.
6.4. La sentenza impugnata non è
in linea con l’orientamento qui condiviso e va, perciò, cassata “in parte qua”
con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Firenze perché vi si
adegui, provvedendo altresì a regolamentare le spese del giudizio di
cassazione.
7. Rimangono assorbiti gli altri
motivi del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale del
Manetti.
PQM
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il secondo motivo del ricorso del
Boni ed il ricorso del Lancellotti; dichiara assorbiti gli altri motivi del
ricorso del Boni ed il ricorso del Manetti; cassa in relazione e rinvia anche
per le spese ad altra sezione della corte di appello di Firenze.