Penale
Diffamazione aggravata Sgarbi – Boccassini: si tratta di opinioni espresse nell’ esercizio delle funzioni parlamentari? Sollevato dal tribunale di Brescia conflitto di attribuzione nei confronti della deliberazione della Camera dei deputati
Diffamazione aggravata Sgarbi Boccassini: si tratta di opinioni espresse nellesercizio delle funzioni parlamentari? Sollevato dal tribunale di Brescia conflitto di attribuzione nei confronti della deliberazione della Camera dei deputati
RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 7 Febbraio 2005 – 7 Febbraio 2005, n. 8
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 7 febbraio 2005 (del Tribunale di Brescia) Parlamento – Immunita’ parlamentari – Deliberazione della Camera dei deputati in data 4 febbraio 2004, con la quale si dichiara che i fatti per cui si procede penalmente nei confronti dell’on. Vittorio Sgarbi per diffamazione aggravata nei confronti della dott.ssa Ilda Boccassini concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni – Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Tribunale di Brescia per la ritenuta mancanza di nesso tra i fatti attribuiti e l’esercizio delle funzioni parlamentari. – Deliberazione della Camera dei deputati del 4 febbraio 2004. – Costituzione, art. 68, primo comma. (GU n. 7 del 16-2-2005 )
Il giudice monocratico dott. Paolo Mainardi letti gli atti del
procedimento in epigrafe a carico di Sgarbi Vittorio, imputato del
delitto di diffamazione commesso in danno di Boccassini Ilda; sentite
le parti in esito alla trasmissione, da parte del Presidente della
Camera dei deputati, della delibera del predetto consesso in data 4
febbraio 2004, laddove si statuisce che i fatti in questa sede
contestati al deputato Sgarbi Vittorio concernono opinioni espresse
da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai
sensi dell’art. 68, comma primo della Costituzione;
O s s e r v a
La contestazione di diffamazione in danno di Ilda Boccassini 1)
oggetto della procedura investe le opinioni espresse dal deputato
Sgarbi Vittorio nel corso della puntata del 1° aprile 1999 del
programma televisivo Sgarbi quotidiani, diffuso dall’emittente Canale
5.
In tale occasione lo Sgarbi, conduttore del programma televisivo,
affermava, riferendosi alla nota vicenda relativa al «caso Sharifa»,
quanto si desume dal capo d’imputazione allegato agli atti: in
particolare, giova qui evidenziarlo, affermava 2) che «Se il mio
assistente di studio vede Sharifa con un bambino crede che siano
mamma e figlio, la Boccassini invece ha pensato che Sharifa fosse una
mercante di minori. Il sospetto prima di tutto. Non se avete capito:
e’ un problema di alterazione dello sguardo. Si’, i magistrati hanno
una percezione diversa della realta’ (…)».
Con atto depositato il 20 maggio 1999 la dott.ssa Boccassini
sporgeva denuncia-querela, deducendo la natura diffamatoria delle
dichiarazioni rese da Sgarbi nel corso della menzionata trasmissione
televisiva; allegava altresi’ copia della trascrizione della
trasmissione.
Esercitata l’azione penale, la querelante si costituiva altresi’
parte civile innanzi al G.u.p. presso il Tribunale di Brescia, il
quale in data 1° giugno 2001 disponeva il rinvio a giudizio dello
Sgarbi.
Instaurata la fase dibattimentale, questo giudice, con ordinanza
resa all’udienza del 16 settembre 2003, in ossequio alla disposizione
di cui all’art. 3, comma 4, legge n. 140/2003, disponeva trasmettersi
gli atti alla Camera dei deputati, perche’ si pronunciasse circa la
sindacabilita’ o meno delle dichiarazioni dell’on. Sgarbi ai sensi
dell’art. 68 Cost., differendo il processo all’odierna udienza.
Il Presidente della Camera dei deputati, con nota ricevuta dal
Tribunale di Brescia in data 7 febbraio 2004, trasmetteva la
deliberazione indicata in premessa, con la quale si recepiva la
proposta a maggioranza formulata dalla giunta per le autorizzazioni a
procedere circa l’insindacabilita’ delle opinioni critiche espresse
dall’on. Sgarbi nei confronti della dott.ssa Boccassini, stante la
loro connessione con l’esercizio della funzione parlamentare.
Il relatore motivava la proposta, in sostanza, adducendo che la
frase pronunciata dall’on. Sgarbi afferiva ad un errore giudiziario,
esitato nell’emanazione di un provvedimento restrittivo ingiusto;
derivandone che, poiche’ «il dibattito sulla giustizia e sugli esiti
effettivi dei procedimenti giudiziari era al tempo sempre attuale
(…) sembra alla maggioranza della giunta che le affermazioni di cui
il deputato Sgarbi e’ chiamato a rispondere pertengano all’esercizio
delle sue funzioni parlamentari»; aggiungendo, in sede di discussione
in Assemblea, che «(…) vi e’ una serie di profili che l’onorevole
Sgarbi prende in considerazione durante la suddetta trasmissione,
rimettendo in discussione il tema – a lui sicuramente molto caro –
delle disfunzioni della magistratura e, dunque, dell’impellente
necessita’ di intervenire con una modifica del sistema vigente,
attraverso una riforma complessiva del processo penale ed un riordino
della magistratura (…)».
Queste le principali evenienze della procedura, ritiene questo
giudicante che sussistano le premesse per la proposizione di un
conflitto di attribuzioni nei confronti della Camera dei deputati.
Non e’ inutile richiamare, al riguardo, i principi delineati in
materia dalla sentenza n. 1150/1988 della Corte costituzionale:
le prerogative parlamentari non possono non implicare un
potere dell’organo a tutela del quale sono disposte, e pertanto
spetta alla Camera di appartenenza il potere di valutare se la
condotta addebitata ad un proprio membro debba qualificarsi come
esercizio delle funzioni parlamentari, con l’effetto – in caso
affermativo – di precludere una pronuncia giudiziale di
responsabilita’;
d’altra parte, il potere valutativo delle camere puo’ dirsi
legittimamente esercitato solo entro i limiti della fattispecie
contemplata dall’art. 68, primo comma Cost.: in un sistema
costituzionale che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo (fra cui
il diritto all’onore ed alla reputazione), e li assume quali valori
fondamentali dell’ordinamento giuridico, la potesta’ valutativa delle
camere e’ soggetta al controllo di legittimita’ affidato all’organo
giurisdizionale di garanzia costituzionale, mediante lo strumento del
conflitto di attribuzione, a norma degli artt. 134 Cost. e 37 legge
n. 87/1953;
cosi’, espressamente, prosegue la motivazione della sentenza
della Consulta: «Qualora il giudice di una causa civile di
risarcimento dei danni, promossa da una persona lesa da dichiarazioni
diffamatorie fatte da un deputato o da un senatore in sede
extraparlamentare, reputi che la delibera della camera di
appartenenza, affermante l’irresponsabilita’ del proprio membro
convenuto in giudizio, sia il risultato di un esercizio illegittimo
[…] del potere di valutazione, puo’ provocare il controllo della
Corte costituzionale sollevando avanti a questa conflitto di
attribuzione. Il conflitto non si configura nei termini di una
vindicatio potestatis (il potere di valutazione del parlamento non e’
in astratto contestabile), bensi’ come contestazione dell’altrui
potere in concreto, per vizi del procedimento oppure per omessa o
erronea valutazione dei presupposti di volta in volta richiesti per
il valido esercizio di esso».
Tali principi hanno quindi trovato conferma in successive
sentenze della Corte costituzionale: vedi la n. 443/1993 («in sede di
conflitto di attribuzione […] e’ possibile solo verificare se ai
fini dell’esercizio in concreto del potere che ha condotto alla
dichiarazione di insindacabilita’ […] da parte della camera di
appartenenza, sia stato seguito un procedimento corretto oppure se
mancassero i presupposti di detta dichiarazione – tra i quali
essenziale quello del collegamento delle opinioni espresse con la
funzione parlamentare – o se tali presupposti siano stati
arbitrariamente valutati»), la n. 129/1996, la n. 265/1997 e la
n. 298/1998.
E’ dunque evidente che, secondo l’ormai consolidato orientamento
della Consulta, il giudizio ad essa devoluto in sede di conflitto di
attribuzione non si limita alla verifica della validita’ e congruita’
della motivazione con la quale la Camera di appartenenza del
parlamentare abbia dichiarato insindacabile opinione espressa: «il
giudizio in sede di conflitto tra poteri non si atteggia a giudizio
sindacatorio … su di una determinazione discrezionale
dell’assemblea politica. In questo senso va precisato e in parte
corretto quanto affermato nella pregressa giurisprudenza circa i
caratteri del controllo di questa Corte sulle deliberazioni di
insindacabilita’ adottate dalle Camere … la Corte, chiamata a
svolgere, in posizione di terzieta’, una funzione di garanzia, da un
lato dell’autonomia della Camera di appartenenza del parlamentare,
dall’altro della sfera di attribuzione dell’autorita’
giurisdizionale, non puo’ verificare la correttezza, sul piano
costituzionale, di una pronuncia d’insindacabilita’ senza verificare
se, nella specie, l’insindacabilita’ sussista, cioe’ se l’opinione di
cui si discute sia stata espressa nell’esercizio delle funzioni
parlamentari, alla luce della nozione di tale esercizio che si desume
dalla Costituzione» 3)
Ne discende che l’autorita’ giurisdizionale e’ legittimata a far
valere mediante conflitto di attribuzione la menomazione della
propria sfera di attribuzioni che ritenga discendere dalla
deliberazione d’insindacabilita’ della Camera, in ipotesi adottata in
mancanza di qualsivoglia nesso funzionale tra le opinioni espresse e
la funzione parlamentare.
In proposito si deve osservare che il pressoche’ unanime
orientamento della dottrina costituzionalistica e della
giurisprudenza della Corte di cassazione e di merito afferma che la
prerogativa prevista dall’art. 68, comma 1 Cost. e’ posta ad
esclusiva tutela della funzione, e non della persona del
parlamentare: le opinioni del parlamentare sono insindacabili in
quanto espresse nell’esercizio dell’attivita’ istituzionale in aula o
presso gli organi parlamentari, mentre l’attivita’ di propaganda e
critica politica non costituisce affatto espressione della funzione
parlamentare, ne’ puo’ considerarsi attivita’ propria dei membri del
Parlamento, i quali sono in tale campo soggetti ai medesimi limiti di
espressione di ogni altro cittadino che voglia concorrere a
determinare la politica nazionale. E la necessita’ di una rigorosa
individuazione delle attivita’ funzionali e’ infine affermata da
recenti arresti della Corte costituzionale che, a partire dalla
sentenza n. 379/1996 (laddove si afferma che «sono coperti da
immunita’ non tutti i comportamenti dei membri delle Camere, ma solo
quelli strettamente funzionali all’esercizio indipendente delle
attribuzioni proprie del potere legislativo, mentre ricadono sotto il
dominio delle regole di diritto comune i comportamenti estranei alla
ratio giustificativa dell’autonomia costituzionale delle Camere»),
tracciano un indirizzo ormai consolidato, in forza del quale piu’
deliberazioni dell’uno o dell’altro ramo del Parlamento in punto di
insindacabilita’ sono state, in situazioni analoghe a quella in
esame, annullate sul ricorso dell’autorita’ giudiziaria.
L’art. 68, primo comma Cost. e’ espressione del principio di
autonomia parlamentare, a garanzia del quale viene in parte
sacrificato il fondamentale principio costituzionale di legalita’ e
giurisdizione, declinato nelle norme di cui agli artt. 3, 24 e 111
Cost., in vista della realizzazione del superiore interesse dello
Stato al libero svolgimento dell’attivita’ legislativa e delle
funzioni proprie del Parlamento: l’arbitraria estensione delle
prerogative previste dall’art. 68, primo comma Cost. a comportamenti
non strettamente funzionali all’esercizio delle attribuzioni
parlamentari importa l’ingiustificata menomazione della sfera delle
attribuzioni costituzionali dell’autorita’ giudiziaria (e del diritto
di ognuno a far valere in giudizio la lesione del proprio diritto
all’onore ed alla reputazione).
Nessun rapporto di stretta funzionalita’ puo’ ravvisarsi
nell’attivita’ che il parlamentare svolga extra moenia come uomo di
partito o come privato cittadino: la prerogativa costituzionale
tutela l’indipendente svolgimento delle attivita’ proprie del
parlamentare (all’interno o all’esterno del Parlamento) e quelle ad
esse strettamente connesse (e’ il caso della divulgazione al pubblico
dell’attivita’ svolta in sede istituzionale), e non costituisce in
suo favore una posizione di privilegio della quale possa avvalersi
allorche’ – come qualunque cittadino e’ ammesso a fare – svolga
attivita’ politica o eserciti comunque il diritto alla libera
manifestazione del proprio pensiero, non essendovi ragione alcuna
perche’ in tale veste egli non operi su piano di parita’ con ogni
altra persona e nel rispetto dei limiti sanciti dall’ordinamento
giuridico.
Tale rigorosa linea interpretativa 4) e’ ulteriormente precisata
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 10 del 17 gennaio 2000,
laddove, nel ribadire che l’immunita’ investe gli atti funzionali del
parlamentare («anche individuali, costituenti estrinsecazione delle
facolta’ proprie del parlamentare in quanto membro dell’assemblea»),
esplicita che «l’attivita’ politica svolta dal parlamentare al di
fuori di questo ambito non puo’ dirsi di per se’ esplicazione della
funzione parlamentare», e che l’estensione della prerogativa alle
opinioni espresse in altra sede non puo’ affermarsi sul presupposto
della mera comunanza di argomento con quelle gia’ esposte in sede
istituzionale, ne’ tanto meno invocando «la ricorrenza di un contesto
genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca»,
richiedendosi invece «l’identificabilita’ della dichiarazione stessa
quale espressione di attivita’ parlamentare».
Si vedano anche, sempre in tema, e da ultimo, le sentenze Corte
cost. n. 435, 448, 508, e 521 del 2002, laddove viene ulteriormente
scolpito il concetto della «stretta inerenza funzionale»
all’attivita’ parlamentare, associando l’insindacabilita’ delle
opinioni espresse dal senatore o deputato all’esterno della sede
istituzionale o alla loro funzione di «divulgazione» dell’attivita’
endoparlamentare posta in essere dal medesimo, o, comunque, alla loro
effettiva configurabilita’ quali modalita’ esplicative di quella
funzione (e non, si badi, di una generica ed indistinta attivita’
politica).
Il prefigurato assetto ermeneutico, deve osservarsi, non sembra
essere stato significativamente inciso dall’art. 3, primo comma della
legge 20 giugno 2003, n. 140, laddove ricollega l’insindacabilita’
presidiata dall’art. 68 Cost., oltre che all’attivita’ tipica del
parlamentare («disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del
giorno, mozioni e risoluzioni (…) interpellanze e interrogazioni»),
ad «ogni altra attivita’ di ispezione, di divulgazione, di critica e
di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare,
espletata anche fuori del Parlamento». A simile disposizione,
infatti, va necessariamente data una lettura costituzionalmente
orientata, che tenga conto della linea interpretativa, sopra
richiamata, uniformemente adottata proprio dall’organo
istituzionalmente deputato a tutelare il rispetto da parte del
legislatore delle norme e dei principi costituzionali: in questo
senso, in tanto le opinioni espresse extra-moenia dal parlamentare
riceveranno la guarentigia offerta dall’art. 68, in quanto
corrispondano alle caratteristiche fissate dalle sentenze della Corte
costituzionale, in termini di stretta, rigorosa ed effettiva inerenza
funzionale a precisi atti tipici parlamentari.
Cosi’ argomentando, non sembrano esservi i presupposti per
sollevare questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 3, primo
comma della legge n. 140/2003, come in origine richiesto dalla parte
civile, in linea «alternativa» alla proposizione del conflitto di
attribuzioni. Mentre appare manifestamente infondata la questione
sollevata con riferimento all’art. 3, comma 3, stessa legge, sotto il
profilo della disparita’ di trattamento fra parlamentari nazionali e
consiglieri regionali (questi ultimi «immunizzati» dall’art. 122, IV
Cost.), ove si consideri che detta norma – nell’imporre al giudice,
dopo la deliberazione della Camera «favorevole all’applicazione
dell’art. 68», l’emissione di provvedimenti liberatori -, sempre in
un’ottica costituzionalmente orientata, non puo’ non far salvo il
potere del giudice, individuato dalle indicate sentenze della
Consulta, di sollevare conflitto di attribuzioni; in tal senso, essa
non introduce sostanziali elementi di novita’, posto che, ove il
giudice ritenga condivisibile la deliberazione della Camera ai sensi
dell’art. 68 Cost., e quindi non sollevi conflitto d’attribuzioni,
l’emissione degli opportuni provvedimenti liberatori discende gia’,
coerentemente, dal sistema.
La parte civile ha peraltro, all’odierna udienza, rinunciato a
sollevare la predetta questione di costituzionalita’, in virtu’ della
sentenza n. 120/2004 della Corte costituzionale che disattendeva
analoga questione.
Sulla base di tale criteri appare evidente che la mera inerenza a
temi giudiziari, e la circostanza che «il dibattito sulla giustizia e
sugli esiti effettivi dei procedimenti giudiziari era al tempo sempre
attuale» (come afferma il relatore della giunta per le autorizzazioni
della Camera) e che su quei temi l’on. Sgarbi abbia presentato
«interrogazioni ed interpellanze e intervenendo per chiedere la
modifica di norme vigenti in materia di ordinamento giudiziario e di
processo penale» (come si ricava dall’intervento nell’Assemblea del
medesimo relatore), non puo’ di per se’ supportare la tesi della loro
insindacabilita’ ai sensi dell’art. 68 Cost.
Nella specie, si rileva anche che, se e’ vero – come argomentato
dalla difesa dell’imputato – che la vicenda afferente al caso
giudiziario «Sharifa» avesse gia’ formato oggetto di interpellanze
parlamentari, non e’ men vero che:
nessuna di esse (quantomeno di quelle messe a disposizione di
questo giudice dalla difesa in allegato alla nota depositata
all’udienza del 17 febbraio) risulta avere quale firmatario lo
Sgarbi;
esse hanno, in definitiva, ad oggetto la formulazione di
doglianze circa il corretto esercizio dei suoi compiti da parte del
Pubblico Ministero Boccassini, con conseguente sollecitazione al
Ministro competente all’esercizio dei suoi poteri disciplinari.
Dunque, gia’ discutibile, in astratto, la prospettazione di un
rapporto di stretta inerenza rilevante ex art. 68 Cost. fra la
dichiarazione di un parlamentare e l’atto tipico di un altro
parlamentare, in concreto, nella specie, sembra all’evidenza mancare
un rapporto – se non assai lato – di corrispondenza «contenutistica»
fra gli atti parlamentari sopra evocati ed i fenomeni «dispercettivi»
che, secondo l’opinione espressa dallo Sgarbi, affliggerebbero la
medesima Boccassini – in una con tutto l’ordine giudiziario -. Appare
allora davvero arduo sostenere che le affermazioni del parlamentare,
oggetto della presente procedura, costituiscano una modalita’ di
«diffusione» all’esterno del contenuto di un dibattito parlamentare
(al quale, peraltro, non si fa alcun riferimento nel corso della
trasmissione).
Alla stregua di quanto esposto – e salva, ovviamente, ogni
valutazione circa il merito dei fatti contestati – deve concludersi
che le frasi proferite dall’on. Sgarbi oggetto della presente
procedura non costituiscono riproduzione e illustrazione del
contenuto di atti parlamentari e non sono comunque specificamente
riferibili ad alcun atto compiuto in sede istituzionale.
Per concludere, le menzionate opinioni dell’on. Sgarbi non
possono ritenersi riconducibili allo spettro di applicazione
dell’art. 68 della Costituzione: cio’ da cui consegue che la
deliberazione del 4 febbraio 2004 della Camera dei deputati deve
essere portata all’esame della Corte costituzionale perche’ statuisca
in ordine al sollevando conflitto di attribuzione tra Poteri dello
Stato ai sensi dell’art. 37 della legge costituzionale n. 87 del
1953.
Ne deriva la necessaria sospensione del presente procedimento.
1) Magistrato in forza alla Procura della Repubblica presso
il Tribunale di Milano in qualita’ di Sostituto.
2) Richiamando il contenuto di una propria intervista a «Il
Giornale», in relazione alla quale Ilda Boccassini aveva
esercitato azione risarcitoria anche nei suoi confronti.
3) Corte cost. 17 gennaio 2000, n. 10.
4) Non combaciante con l’orientamento, meno stringente
nella valutazione del nesso funzionale, adottato dalla
Corte Suprema con le sentenze nn. 16195/2002, 4678/2000 e
8742/1998, che segnano, peraltro, una mancata svolta
rispetto al previgente orientamento – rinvenibile, p. es.,
in Cass. n. 11667/1997 – teso a circoscrivere l’ambito di
operativita’ dell’art. 68 Cost. all’interno dell’attivita’
tipica del parlamentare.
P. Q. M.
Visti gli artt. 23 e 37 legge costituzionale 11 marzo 1953,
n. 87;
Promuove conflitto di attribuzione in ordine al corretto uso del
potere di decidere sulla sussistenza dei presupposti di
applicabilita’ dell’art. 68, primo comma Cost., come esercitato dalla
Camera dei deputati con la delibera adottata in data 4 febbraio 2004;
Chiede l’annullamento di detta deliberazione della Camera dei
deputati per violazione dell’art. 68 della Costituzione;
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale;
Dispone che la sospensione del presente processo sino alla
risoluzione del conflitto;
Dispone che, a cura della cancelleria, il presente ricorso sia
notificato al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicato al
Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della
Repubblica.
Letto all’udienza dibattimentale del 20 aprile 2004.
Il giudice monocratico: Paolo Mainardi