Penale

Saturday 06 December 2003

Diffamazione a mezzo stampa: anche le lettere dei lettori possono integrare il reato a carico del direttore del giornale per omesso controllo.

Diffamazione a mezzo stampa: anche le lettere dei lettori possono integrare il reato a carico del direttore del giornale per omesso controllo.

Cassazione – Sezione quinta penale(up) – sentenza 21 ottobre-2 dicembre 2003, n. 46226

Presidente Marrone – relatore Fumo

Pm Albano – ricorrenti Ciancio e Bottari

Osserva quanto segue

Bottari Francesco e Ciancio Sanfilippo Mario (direttore responsabile, quest’ultimo, del giornale “La Sicilia”) sono imputati rispettivamente di diffamazione a mezzo stampa e del reato colposo di omesso controllo ex articolo 57 Cp, con riferimento ad una lettera, apparentemente a firma di Giannina Sebastiano, pubblicata sul predetto quotidiano in data 27 agosto 1996. Nella missiva (poi disconosciuta dall’apparente mittente) si affermava che in Giardini Naxos era attivo un vero e proprio comitato di affari, composto da imprenditori edili, dal sindaco Falanga Salvatore e da altri soggetti. Tutti costoro, secondo l’autore della missiva, avrebbero “pilotato” l’appalto per la realizzazione di un parcheggio, macchinandosi di interesse privato in atti di ufficio e di altri reati.

Bottari e Ciancio Sanfilippo furono condannati dal Tribunale di Catania alle pene ritenute giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite PpCc.

La Corte di appello di Catania, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronunzia di primo grado, condannando gli imputati alla rifusione delle spese sostenute dalle PpCc costituite.

Ricorrono per cassazione, tramite i difensori, entrambi gli imputati.

Ciancio Sanfilippo deduce violazione degli articoli 129, 336 Cpp e 57 Cp, sostenendo che, erroneamente, la Corte catanese ha ritenuto non fondata la eccezione di improcedibilità a suo tempo formulata. Invero il reato colposo ex articolo 57 Cp costituisce fattispecie autonoma rispetto a quello di diffamazione a mezzo stampa; ne consegue che la istanza punitiva contenuta nella querela a carico dell’autore dell’articolo non si estende, in assenza di una specifica indicazione, al direttore responsabile del giornale. Non basta dunque che la richiesta di punizione sia estesa soggettivamente, essendo necessario che essa sia estesa anche per l’oggetto.

Viene poi dedotta anche illogicità di motivazione, dal momento che la Corte, enunziando i criteri da seguire per ritenere operativa la scriminante del diritto di cronaca, si rifà a quello della verità, che tuttavia intende applicare con riferimento al contenuto della denunzia e non alla notizia della esistenza di una denunzia. Dalla pretesa violazione di tale requisito, la Corte fa discendere la responsabilità commissiva del giornalista e, quindi, quella omissiva del direttore. In realtà il fatto oggetto della comunicazione mediatica è costituito dalla circostanza che una determinata denunzia (contenente accuse, tra l’altro, a carico di pubblici amministratori) era stata presentata, non incombendo al giornalista, in quel momento, una volta apprezzata la genuinità della comunicazione, l’obbligo di accertarne la fondatezza. Ebbene la comunicazione (anche se poi si rivelò aprocrifa) apparve certamente non anonima; per di più fu acquisita notizia del suo inoltro (da parte di terzi) anche alla Pg ed alla Ag.

Bottari deduce manifesta illogicità di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della esimente ex articolo 51 e a quella ex articolo 616 Cp. Con i motivi di appello, era stato rappresentato che al Bottari, opinionista del giornale “La Sicilia”, ma evidentemente, ritenuto, per errore, il corrispondente il loco del giornale, era giunta una lettera-esposto, che il predetto, adempiendo il dovere giuridico ex articolo 616 Cp, aveva inoltrato al vero destinatario. Sul punto, la Corte di merito rende una motivazione oscura e contraddittoria, scrivendo che «la corrispondenza era stata filtrata con l’invio all’imputato e non già direttamente ai soggetti in indirizzo”, per aggiungere successivamente che “manca poi, in punto di fatto, ogni adempimento verso la Procura della repubblica competente ed i Carabinieri». Orbene, se si ammette che Bottari non era il destinatario della missiva, era ovvio che egli dovesse inoltrarla a chi di dovere, cosa che la stessa Corte territoriale ammette quando gli rimprovera di non averne informato la Ag e la Pg.

Il predetto deduce ancora violazione degli articoli 595 e 51 Cp, oltre che dell’articolo 21 Costituzione, per erronea, mancata applicazione del diritto di cronaca, atteso che la notizia pubblicata era costituita da una denunzia di reato. La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che, in tal caso, il rispetto dei principi di verità e continenza si verifica a condizione che il giornalista non faccia apparire come vera o verosimile la notizia criminis pubblicata, attraverso arbitrarie aggiunte o commenti. Nella fattispecie ciò certamente non si è verificato, in quanto la lettera è stata pubblicata senza commento e con un titolo dubitativo.

Il Bottari deduce infine difetto di motivazione in ordine alle statuizioni civili, atteso che era già stato rilevato con i motivi di appello che il Tribunale non avrebbe potuto pronunziarsi sulle questioni civili, in considerazione del fatto che era intervenuta revoca della costituzione di Pc, a seguito della omessa determinazione delle conclusioni in sede di discussione finale. Veniva poi dedotto che ancora erroneamente il tribunale aveva condannato l’imputato a risarcire i danni ed a rifondere le spese nei confronti di alcune PpOo, che non si erano costituite nei suoi confronti, ma solo nei confronti del direttore Ciancio Sanfilippo. Ebbene la Corte di appello non ha affatto affrontato le questioni, ma si è limitata a confermare in toto la pronunzia di primo grado.

Il ricorso di Ciancio Sanfilippo è infondato e deve essere rigettato.

Va innanzitutto rilevato che alcune tra le PpOo, e precisamente Sgroi Sebastiano, Strabuzzi Antonio, Falanga Salvatore, Princiotta Alfio e Gambacurta Giovanni hanno presentato querele, per cd. “polivalenti”, nel senso che essi hanno chiesto la punizione del direttore del giornale per il delitto di diffamazione e per qualsiasi altro illecito penale fosse stato riscontrato nella sua condotta. E’ dunque evidente che le predette istanze punitive devono ritenersi efficaci anche con riferimento alla ipotesi criminosa poi effettivamente contesta al Ciancio Sanfilippo (articolo 57 Cp).

E’ certamente esatto, quel che osserva il ricorrente circa la autonomia del reato di omesso controllo rispetto a quello di diffamazione a mezzo stampa ed è dunque esatta la conclusione che ne trae (ed infatti la giurisprudenza di questa Corte – cfr. tra le tante Asn 200134543-Rv 219748 – lo ha da tempo precisato), vale a dire che deve escludersi la punibilità del direttore, imputato ex articolo 57 Cp, allorché il querelante si sia limitato ad indicare tanto l’autore dello scritto quanto il direttore responsabile come correi nel reato di diffamazione in suo danno. Questo perché occorre, in realtà, che nella querela sia esplicitamente espressa la volontà che il direttore responsabile venga perseguito a titolo di colpa per omesso controllo ovvero che si proceda per qualsiasi ipotesi di reato riscontrabile a suo carico.

Sono però errate le premesse dalle quali l’impugnante muove, perché, in base a quanto si è appena scritto, in conseguenza della presentazione di querela “polivalente” da parte dei predetti soggetti, non si è verificata la causa di improcedibilità evidenziata dal ricorrente.

Non è poi condivisibile neanche la seconda censura formulata nell’interesse del direttore del giornale. Invero, posto che la pubblicazione della lettera in questione ha certamente avuto un effetto di denigrazione nei confronti dei soggetti indicati quali appartenenti al “comitato di affari”, va innanzitutto accertato se sia stato realizzato il reato di diffamazione a mezzo stampa, che del delitto colposo ex articolo 57 Cp rappresenta l’evento. La risposta non può che essere positiva, atteso che certamente non può essere invocato il diritto di cronaca, non essendo stato rispettato, in primis, l’obbligo di verità. Non può infatti sostenersi, come fa il ricorrente, che, nel caso in cui al giornale sia pervenuta una lettera, contenente accuse nei confronti di alcuni soggetti (lettera scritta -apparentemente- da un comune cittadino), la notizia, oggetto del diritto di cronaca, sia la stessa esistenza della lettera. Tale principio infatti non è applicabile neanche all’intervista, in quanto sul giornalista stesso incombe, pur sempre, il dovere di controllare veridicità delle circostanze e continenza delle espressioni riferite. Ed infatti, come è noto, solo quando il fatto in sé dell’intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al più generale contesto in cui le dichiarazioni sono rese, presenti tali profili di interesse pubblico all’informazione da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo e da giustificare l’esercizio del diritto di cronaca, il giornalista, anche se riporta espressioni offensive usate dall’intervistato, rimane nell’ambito del penalmente lecito (Su 37140/91, Galiero, RV 219651).

Tali ipotesi tuttavia è nettamente distinta (e chiaramente distinguibile ex ante) da quella in cui un quivis de populo invii una lettera (contenente gravi accuse nei confronti di terzi) ad un giornale; in tal caso, infatti, sul giornalista grava l’obbligo di verificare, non solo la fondatezza delle affermazioni contenute nella missiva, ma anche,e prima di tutto, di accertare la esistenza del mittente e la riferibilità allo stesso dello scritto fatto pervenire al periodico (con riferimento a situazione, per molti versi simile, vedasi Asn 199002785-Rv 183523; Asn 198505258-Rv 169460). Va da sé che tale obbligo non sussiste quando nella rubrica delle “Lettere al direttore” (o equivalente) venga pubblicato il testo di missive, anche critiche nei confronti di terzi, ma non contenenti offese, accuse penalmente rilevanti, espressioni di disprezzo o di dileggio.

Il fatto poi che la lettera sia stata indirizzata alle competenti autorità (giudiziaria e di polizia) neanche può valere a scriminare il giornalista per la integrale pubblicazione di uno scritto contenente addebiti infamanti ed espressioni denigratorie. In tal caso, indubbiamente, la notizia è costituita dal fatto che una denunzia contro pubblici amministratori ed altri soggetti è stata presentata, ma nulla autorizza il giornalista a riprodurre acriticamente il testo offensivo della lettera-denunzia, in aperta violazione del principio della continenza, atteso che, in tal caso, la stampa non perseguirebbe la finalità costituzionale della corretta e veritiera informazione, ma finirebbe per essere piegata ad un uso strumentale (cfr. Asn 200131688-Rv 219318). né potrebbe infine andare esente d censura il giornalista per avere egli, attraverso la pubblicazione della lettera in questione, dato conto della esistenza di una particolare realtà sociale e culturale oe delle sue modalità espressive (come pure è stato ritenuto – Asn 200143451-Rv 220255- con riferimento alla pubblicazione di un libro antologico contenente scritti di bambini delle elementari). Ed infetti l’intento sociologico-documentaristico dovrebbe essere riconducibile alla natura scientifica del periodico ed intelligibile per i lettori, cui dovrebbero essere indirizzate note critiche ed esplicative.

Posto dunque che la pubblicazione della lettera ad apparente firma di Giannino integra gli estremi del delitto di diffamazione, corretta appare la motivazione del giudice di merito che ha addebitato al Ciancio Sanfilippo (evidentemente non individuato, nella ipotesi di accusa, come il colui il quale esaminò la lettera e ne dispose la pubblicazione integrale) la responsabilità per la condotta omissiva ex articolo 57 Cp.

Diverso discorso va fatto per il Bottari, il cui ricorso appare fondato, non essendo a lui attribuibile, alla luce di quanto si legge nelle decisioni di merito, un comportamento che integri la condotta del reato contestato, Nei suoi confronti, conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per non avere egli commesso il fatto, con inevitabile caducazione di tutte le statuizioni civili pronunziate in danno di tale imputato.

E’ pacifico in punto di fatto che questo ricorrente, ricevuta la lettera, si limitò a “girarla” al giornale, per altro seguendo le indicazioni che telefonicamente gli erano state fornite dalla redazione, con la quale egli aveva preso contatto. Ritenere, come fanno i giudici del merito, che egli deve ritenersi colpevole del delitto ex articolo 595 Cp, perché: a) la missiva era stata da lui “filtrata” e perché b) egli la aveva accompagnata con una sua nota con la quale ne raccomandava la pubblicazione, è erroneo. Infatti, la espressione sub a) non ha, nel caso di specie, un precis9o significato, giuridicamente rilevante. Se “filtrare” sta a significare che a Bottari la lettera fu indirizzata perché egli fu ritenuto (da altri) il naturale destinatario della stessa, è evidente che non trattasi di condotta addebitabile all’imputato, il quale la trasmise a quello che appariva (ed era) il destinatario finale, Se, viceversa, sta a significare che il Bottari esercitò uni sorta di delibazione del contenuto della missiva, trattasi di condotta penalmente irrilevante, atteso che la decisione di pubblicarla certamente non competeva a lui (che, come scrive la Corte territoriale, era un semplice “opinionista” del giornale).

Quanto alla circostanza sub b), con essa sembra adombrarsi una sorta di responsabilità del Bottari quale istigatore di colui che compì l’azione tipica del reato di diffamazione (non certo del direttore, che, dovendo rispondere di un delitto colposo, non può essere ritenuto destinatario di una condotta di istigazione). Ma in motivazione non è affatto chiarito in qual maniera (ed in qual misura) la opinione che questo imputato espresse circa la opportunità di rendere noti i fatti a lui comunicati con la lettera in questione abbia effettivamente determinato il responsabile (rimasto ignoto, non potendo costui essere identificato nel Ciancio Sanfilippo, chiamato a rispondere di diverso reato) a consumare il delitto ex articolo 595 Cp. Neanche viene chiarito se il Bottari abbia realmente insistito per la pubblicazione integrale della lettera o perché fosse semplicemente fornita notizia della sua esistenza e del suo contenuto. In ultima analisi, la decisione di pubblicare la lettera competeva ai responsabili del periodico, mentre il ruolo di “suggeritore” del Bottari non risulta affatto delineato, nei suoi contorni essenziali, dalla sentenza impugnata.

Il rigetto del ricorso di Ciancio Sanfilippo comporta condanna del predetto alle spese del procedimento ed alla rifusione delle spese sostenute da coloro che contro di lui si sono costituiti PpCc. Costoro, tra i querelanti sopra indicati, sono solo Sgroi e Stracuzzi. Dette spese vanno liquidate in ragione di € 1200 per ciascuna Pc, delle quali € 200 per onorario del difensore.

PQM

la Corte annulla la sentenza impugnata senza rinvio nei confronti di Bottari Francesco per non aver commesso il fatto; rigetta il ricorso di Ciancio Sanfilippo Mario, che condanna al pagamento delle spese processuali, nonché a rifondere le spese sostenute dalle parti civili Sgroi e Stracuzzi, che liquida in milleduecento euro ciascuno, di cui mille per onorario di avvocato.