Civile
Deve risarcire il danno esistenziale il padre che evita qualsiasi rapporto con la figlia e non ottempera agli obblighi di assistenza familiare. Tribunale di Venezia – Sezione Terza Civile – Sentenza 16 – 30 giugno 2004
Deve risarcire il danno esistenziale il padre che evita qualsiasi
rapporto con la figlia e non ottempera agli obblighi di assistenza
familiare
Tribunale di
Venezia – Sezione Terza Civile – Sentenza 16 – 30 giugno 2004Fatto e diritto
Le attrici in epigrafe
premesso, in
fatto, la paternità naturale del convenuto di X.; che l’unione si era
interrotta durante la stessa gravidanza e a causa della volontà della madre,
L., di portarla comunque a termine; che il convenuto mai si era interessato
alla bambina, da alcun punto di vista, malgrado incontrovertibile pronuncia di
riconoscimento di paternità, nonché malgrado ulteriore incontrovertibile
accertamento dell’obbligo contributivo alimentare, come documentato, appunto
mai assolto; che la figlia raggiunta la maggiore età aveva inutilmente tentato
un contatto con il padre subendone l’indifferenza; che indipendentemente dal
titolo esecutivo inerente il coacervo delle somme mai versate per il contributo
al mantenimento andava valutato l’ulteriore danno, anche morale, come
rappresentato dalla consumata inottemperanza ed indifferenza agli obblighi
tutti scaturenti dal rapporto, non trascurate le conseguenze lesive
apprezzabili anche da un punto di vista medico legale relativamente alla
figlia, rassegnavano le epigrafate conclusioni in
punto risarcimento del danno sofferto.
Nella contumacia del convenuto,
espletata c.t.u. medico legale su X. V., la causa,
previa istruzione anche orale, era trattenuta in decisione all’udienza del
19.3.2004, con assegnazione di termini per la redazione di scritti
defensionali.
I fatti di causa sono incontroversi
ed incontrovertibili.
Il convenuto, pervicace nel
disinteresse verso la figlia naturale anche in questo procedimento, è il padre
di X. V.; non se ne è mai interessato da alcun punto di vista; ignorandone, sin
dalla gravidanza dell’allora compagna, la nascita, le sorti, la vita, le
esigenze economiche, maturando, per così dire, un debito per omessi contributi
alimentari, certo non oggetto del presente procedimento, di cospicua entità.
Ciò premesso in fatto la domanda
risarcitoria come svolta va qualificata e riferita dal Tribunale adito al danno
morale conseguente alla consumazione del reato p.e.p.
dall’art. 570 c.p., certo
quivi astrattamente valutabile, nonché alle ulteriori conseguenze lesive che le
predette condotte, illecite ex art. 2043 c.c.,
avrebbero determinato nella sfera psico fisica e in
ogni caso esistenziale dell’attrice X..
Dal primo punto di vista non v’è
difficoltà alcuna nel riconoscere la consumazione del reato: è incontestato che
il G. K., pur dovendo versare mensilmente l’importo di lire 500.000, per
effetto del documentato accertamento in giudicato Tribunale di Venezia sentenza
n. 758/1987, nulla ha mai versato (nulla ha provato di avere mai versato in questa
sede processuale).
L’esito del procedimento penale è a sua volta non contestato: estinzione per amnistia (in ogni
caso cfr. doc. n. 9).
Il dato, ovviamente, è in sé
irrilevante.
Non è allegata in ogni caso dal
convenuto eccezione in senso proprio e stretto alcuna: né dal punto di vista della esistenza di un giudicato assolutorio di merito; né
dal punto di vista della costituzione di parte civile delle odierne attrici; né
dal punto di vista, consequenziale, della avvenuta corresponsione, per eventuale
condanna, al risarcimento del danno relativo, danno, dunque, che, in atti,
risulta mai accertato né evidentemente liquidato.
Legittimate attive, dal punto di
vista in esame, sono senz’altro entrambe le attrici:
madre e figlia.
E’ infatti
nei confronti di entrambe che il convenuto ha consumato il reato di violazione
degli obblighi familiari.
Quanto al non semplice problema della entificazione andrà valutata
l’intensità del dolo.
Tentando una non semplice contestualizzazione della vicenda umana per
cui è causa non appare imprudente ritenere che il convenuto non abbia di
fatto accettato l’ipotesi della gravidanza; non abbia aderito all’idea della
nascita del frutto del concepimento; il tutto in età giovanile,
ragionevolmente, dunque, nella non giustificabile seppur comprensibile
condizione di immaturità rispetto all’evento (all’epoca il G. K. aveva circa vent’anni).
Ai fini di causa, quanto al danno non
patrimoniale da reato ex art. 2059 c.c., rileva tuttavia il solo periodo successivo alla statuizione
sopra ricordata risalente all’anno 1987 ed immediatamente esecutiva prima
ancora dell’incontestato passaggio in giudicato.
A tutt’oggi, dunque,
quand’anche si assuma che raggiunta la maggiore età X. goda o possa godere di
relativa autonomia patrimoniale, in effetti secondo l’esito della istruttoria
abbandonata l’università lavora come cameriera, il G. K. continua,
malgrado il detto esistente titolo giudiziale, a consumare il reato, non
avendo, in fatto, adempiuto all’adempimento dell’obbligo per circa vent’anni.
Un lungo periodo di tempo, dunque.
Lasso di tempo durante il quale nulla, si deve
ritenere, è stato fatto: neppure per giustificare il perdurante inadempimento;
laddove, e anche di ciò non v’è contestazione in causa, l’onerato gode di una
buona posizione sociale ed economica.
Intenso, per l’effetto, il dolo che
connota la condotta del convenuto: all’iniziale disinteresse, forse rimozione,
della vicenda della nascita, pur raggiunta una età
matura, e relativa sopradetta capacità economica, a fronte della esistenza di
un titolo finanche incontrovertibile, nulla ha mai ritenuto di versare; nulla
ritiene, in questo procedimento, di allegare a giustificazione di tale e tanta
trascuratezza.
Ciò premesso, tenuto conto della
durata dell’inadempimento, della assenza di
ragionevole motivazione alcuna, della detta intensità del dolo, il Tribunale,
anche in via equitativa, liquida il danno morale in commento nella somma,
espressa in valori attualizzati e comprensiva degli interessi compensativi
maturati, di euro 80.000,00.
Nessuna conseguenza direttamente
apprezzabile dal punto di vista del danno patrimoniale è in
effetti allegata in causa.
E’ vero che la domanda, nella sua
genericità, consente il riferimento al coacervo di ogni
astratta possibile voce risarcitoria.
E’ vero tuttavia che L. V. possiede relativo titolo esecutivo per l’omessa
contribuzione alimentare.
Quanto ad ulteriori
voci di danno patrimoniale astrattamente correlabili all’inadempimento
descritto, riguardanti anche X., come riferibili, in sostanza, alle possibili
occasioni perdute, dal punto di vista della scolarizzazione e dell’inserimento
concorrenziale nella vita, ebbene nulla viene di fatto allegato (aut
richiesto).
L’interessata, per sua fortuna, ha in effetti goduto dell’aiuto ed apporto economico della
madre, di cui s’è detto, e di terzi, estranei al presente giudizio.
La mancata prosecuzione negli studi
universitari non è seriamente correlata, in punto allegazioni e offerta di
prova, alla condotta del convenuto.
Si venga dunque, come anticipato, alle ulteriori implicazione lesive della condotta del
convenuto.
L’espletata consulenza esclude,
piuttosto categoricamente che X. V. a tutt’oggi presenti un quadro psico –
fisico apprezzabile dal punto di vista della esistenza di un danno biologico.
Si tratta di valutazioni complete ed
accurate che il Tribunale ritiene senz’altro di fare proprie.
Quasi paradossalmente, d’altra parte,
proprio l’esistenza di congrue figure sostitutive, i nonni e l’attuale marito della attrice, poi, e naturalmente l’impegno ed il coraggio
della stessa madre, hanno posto l’interessata nella condizione di crescere
secondo un percorso sostanzialmente regolare, con una regolare evoluzione .
E’ culturalmente evidente che la
mancanza di un padre, del vero padre, non rende la
condizione della figlia assimilabile alla posizione di chi abbia goduto della
presenza fattiva, costruttiva ed affettuosa del genitore naturale.
Si tratta di una valutazione tanto
ovvia quanto irrilevante ai fini di causa dal punto di vista del lamentato
danno biologico: e tanto poiché non esistono elementi apprezzabili dal punto di
vista di un danno permanente quale lesione eclatante all’integrità psico fisica della interessata.
Dette
considerazioni aprono la strada al tema ragionevolmente più delicato della controversia.
Liquidato il danno morale da reato,
accertata l’esistenza di un titolo esecutivo che copre il danno patrimoniale
sofferto dalla madre che, da sola, e comunque con
l’aiuto di terzi, ha sopperito all’obbligo alimentare e di mantenimento,
esclusi ulteriori profili di danni patrimoniali apprezzabili dal punto di vista
delle chances perdute dalla figlia, perché non
allegate aut non provate; escluso, ulteriormente, un danno biologico in senso
stretto, per l’accertata capacità di X. di correlazionarsi
con la vita e con i rapporti sociali e sentimentali senza presentare profili
apprezzabili in punto disagi clinicamente manifesti, resta da accertare se la
condotta palesemente illecita del G. K. abbia arrecato un danno
ulteriore, non apprezzabile in senso strettamente patrimoniale alla
figlia, danno non coincidente con le mere conseguenze risarcitorie del
consumato reato ovvero con il liquidato danno morale.
Va premesso, quanto alla fonte
dell’illecito le cui ulteriori conseguenze lesive sono
in discussione, che diritti soggettivi assoluti di rango costituzionale
appaiono pacificamente violati: perché il concepimento, che piaccia o meno, non
si riduca a fatto meramente materiale, come accade invece in buona parte del
regno animale; la nostra carta costituzionale obbliga i genitori, anche
naturali e senza distinzione alcuna sulla natura del vincolo che li lega, ad
assistere materialmente e moralmente la prole, dunque un obbligo non meramente
patrimoniale ma esteso, come è ovvio, alla assistenza educativa.
Solo in assenza aut incapacità di
costoro la stessa fonte costituzionale prevede forme sostitutive di assistenza.
Inutile ricordare che si tratta di
una scelta assai chiara ed univoca, non essendo estranea alla
esperienza di ordinamenti pur vigenti nel ventesimo secolo
l’individuazione di un ruolo non solo meramente sostitutivo ovvero vicario e
necessitato dello Stato nell’assistenza ed educazione dei minori e della prole.
Non assolvere tale obbligo, anzi
omettere ogni condotta assimilabile all’assolvimento in questione, come nel
caso di specie, ove non si controverte di una non corretta gestione del ruolo paterno ma della assoluta obliterazione del medesimo, è
dunque un fatto illecito.
La sanzione penale che lo tipicizza e punisce ne è
ulteriore riprova.
Il danno non patrimoniale sofferto da
X. è interamente assorbito ovvero coincide con il liquidato danno morale?
O v’è piuttosto un ambito di ulteriori conseguenze lesive che, se ed in quanto
provate, anche per presunzioni semplici, meritano tutela risarcitoria?
I noti recenti approdi della S.C. e
della stessa Corte Costituzionale, in una lettura congiunta, tendono,
certamente riproponendo chiavi di lettura non del
tutto innovative, a proporre all’interprete, anche con riferimento al c.d.
danno esistenziale (ma non solo e non perspicuamente) le seguenti linee guida:
riconoscere un danno non strettamente patrimoniale ulteriore e diverso dal
danno morale, quale tradizionalmente inteso; individuare, ben oltre le ipotesi
previste dalla legge (sostanzialmente quelle di cui all’art. 185 c.p.),
situazioni giuridiche suscettibili di una lesione – danno conseguenza – appunto
monetizzabile ma non patrimoniale; restringere all’ambito dei diritti
soggettivi costituzionalmente tutelati e come tali riconosciuti detta tutela.
I detti recenti approdi, come
accennato, si inseriscono in un tema la cui soluzione
è periodicamente oscillante nella giurisprudenza delle corti superiori e, anche
in alternativa, di merito: ora l’utilizzazione dell’art. 2059 c.c. in termini
elastici; ora l’interpretazione costituzionalmente orientata del disposto
dell’art. 2043 c.c. (come fu nel rapporto con l’art. 32 della Costituzione;
ovvero, in altri meno noti approdi, come fu nel rapporto con l’art. 29 della
stessa), tanto al fine di estendere l’ambito delle situazioni giuridiche
soggettive tutelabili dal punto di vista del danno non strettamente
patrimoniale.
Quale che sia
il percorso da scegliere, rileva, piuttosto, in tema, un altro decisivo e non
più confutabile approdo della stessa giurisprudenza di legittimità: quello per
il quale l’ingiustizia del danno, salvo il criterio di imputazione della
condotta, sia esso schiettamente colposo o meno, giammai va strettamente
riferito alla natura della situazione legittimante (e che si assume
illecitamente compressa aut violata).
Ecco allora gli estremi per una ennesima pericolosa involuzione (da altro punto di vista
argomentativo, ecco i presupposti per un passo indietro rispetto all’approdo
predetto).
Lo spirito e l’esito che pervade
detti ultimi autorevoli precedenti – che certo vanno letti con prudenza e quali
ulteriori elementi argomentativi di una disputa e di
un terreno certamente ancora aperto ad ogni indagine – appare essere, nel suo
complesso, in parte non esente da contraddizioni in termini: il fine è quello
di ampliare l’ambito della tutela, ancorandola, tuttavia, in senso che può
apparire limitativo (salvo assumere che la detta rilevanza costituzionale
legittimante la risarcibilità del danno non patrimoniale vada riferita appunto
al danno in quanto tale, rectius al diritto
costituzionale alla tutela risarcitoria), a situazioni giuridiche degne della
medesima ovvero i soli diritti fondamentali.
Altro, in realtà, è il tema
dell’ambito delle situazioni giuridicamente apprezzabili e meritevoli di tutela
(tutte tranne le aspettative di mero fatto), rispetto
al tema, più accademico che altro, della giusta collocazione del danno non
patrimoniale, ulteriore e diverso dal danno morale strettamente inteso.
Chi scrive, dunque, non ritiene che i
citati recenti approdi della giurisprudenza della S.C. e della Corte
Costituzionale tolgano o aggiungano alcunché ad un
dibattito che la giurisprudenza di merito da molti anni ha pienamente scevrato e colto nei suoi termini essenziali.
In ogni caso, anche alla luce dei
detti citati pronunciamenti, non v’è dubbio che anche astrattamente il caso di
specie rientri a pieno titolo nelle ipotesi descritte: si tratta in tesi di un
danno non strettamente morale; fa capo ad un diritto soggettivo assoluto
certamente di valenza costituzionale, appunto il diritto di ogni
figlio all’assistenza morale e materiale di ciascun genitore.
Che nella specie detta assistenza non vi
sia stata, non ve ne sia stata parvenza, è fuor di dubbio.
Non rileva in questa sede tentarne di
dedurne le ragioni.
Invero tale impostazione può essere utile
ai soli fini, non certamente etici, di individuare l’ambito di una lesione,
salva la relativa qualificazione, e tentare, assumendone provati i fatti
costitutivi, una quantificazione possibile, anche in via ineludibilmente
equitativa.
In effetti l’attrice allega detta voce di
danno: il danno, che lo si definisca pure esistenziale (le parole e le
definizioni servono alla dottrina più che agli uomini e alle donne che agiscono
per la tutela dei propri diritti), derivante dalla totale ed immotivata
privazione dell’apporto paterno, qualsiasi ne fosse stato, se esercitato, il
contenuto e il precipitato.
Non lamenta, per così dire, il
cattivo esercizio di un obbligo: lamenta la totale assenza dell’adempimento
dell’obbligo medesimo.
Lamenta, dunque, la privazione
assoluta di un padre, quello vero, reiterata e consumatasi negli anni, sino
alla maggiore età e, a ben vedere, perdurante.
Il fatto, storicamente indiscutibile,
ha comportato, in sé, un danno?
La risposta non può essere univoca,
ferma l’azionabilità, per quanto osservato, della
pretesa.
In tesi la presenza di un padre
oppressivo o particolarmente ignorante, ovvero
culturalmente violento, ovvero ancora palesemente immaturo rispetto alla
funzione che la natura gli ha dato (se non imposto, perché no?), può costituire
presenza ben più alienante di una mera assenza: tanto più nel caso, come nella
specie, in cui altri abbiano preso sostanzialmente cura della interessata.
Se l’art. 30 della Costituzione fosse eticamente interpretato nessun genitore, ragionevolmente,
andrebbe, astrattamente, esente da censure.
Il rischio, palese per chi scrive, è,
allora, la lettura distorta delle norme citate.
L’art. 30 II comma non si limita ad
imporre allo Stato una funzione assistenziale
sostitutiva.
Dice, cosa ben più importante, che i
figli non appartengono, come sarebbe argomentando nazionalsocialisticamente,
allo Stato medesimo; che ad esso e alle sua
diramazione autoritative, anche alla giurisdizione,
certo non è dato un potere di valutazione, in chiave di dover essere, per così
dire eticheggiante, delle modalità dell’esercizio
delle funzioni genitoriali.
In sostanza è del mondo che sono i
figli: ai genitori l’obbligo, forse meglio dire il compito, di contribuire, per
quanto possibile, alla loro educazione, con progressivo prudente inserimento di
dati, utili, per quanto di ragione, ad uno sviluppo sereno del bambino.
Non si esige una
costante qualificata presenza (quali i parametri di valutazione?); non si esige
l’appropriazione di un ruolo (come valutarne l’apporto concreto in termini di
contributo fattivo; forse alla mera luce delle ore trascorse insieme senza
alcuna valutazione qualitativa?); non si esige un risultato.
Più semplicemente, ex art. 30
Costituzione, si esige lo spiegamento di forze, qualunque ne sia
l’esito: in altri termini tutto, o quasi tutto, salvi i maltrattamenti, purchè al fatto naturale del concepimento, proprio ad ogni
specie animale, non consegua il mero disinteresse, la morte presunta, per così
dire, della figura genitoriale.
Ed ecco allora, poichè
detta morte presunta, nella specie, si è consumata per certo con tutto quanto
ne consegue in termini schiettamente privativi, che il tema si sposta sul piano
probatorio e ancor prima eziologico.
Date le predette coordinate (il
dovere genitoriale di essere in qualche modo
presente; nella specie la totale immotivata reiterata e perdurante assenza del
padre quivi convenuto), ebbene X. V. ha sofferto conseguenze lesive, manifeste
e apprezzabili, nel suo percorso di maturazione e crescita evolutiva, fossero anche esse, come è ovvio nella specie, fortemente legate
alle stesse valutazioni soggettive dell’interessata?
Soccorre, in primo luogo, il dato
tanto ovvio quanto empirico per il quale la circostanza, comprovata, di una
totale assenza di contributo assistenziale, oltre
l’ambito strettamente patrimoniale, sia, ragionevolmente, foriera di
conseguenze lesive.
X. ebbe negli anni, ma solo
progressivamente, l’apporto, anche affettivo, dei nonni e del marito della
madre: ma appunto solo progressivamente.
Come riferito al c.t.u., e non v’è ragione di non credere alla interessata,
(d’altra parte il convenuto contumace nulla ci dice in merito), la bambina
conosceva sin dall’età di tre anni l’esistenza di un padre naturale che non
viveva con la famiglia; a tutt’oggi, su domanda del
perito, indica nella madre la persona di riferimento, con la quale sostituì, in
sostanza, il padre; nega di avere maturato, ma sarebbe strano il contrario,
sentimenti affettivi negativi verso la figura assente; ricorda, con senso
critico, osserva il c.t.u. sufficientemente
elaborato, un senso di diversità rispetto ai compagni ai tempi della
frequentazione delle scuole elementari, un qual certo disagio ovvero
disorientamento nel dover riferire il cognome della madre; l’attrice, X., è, a tutt’oggi, a conoscenza del tentativo del padre naturale di
inviare, senza successo, la madre ad una interruzione della gravidanza; ricorda
di avere sostanzialmente fantasticato sulla figura paterna, non avendo altri
dati a disposizione, sino, tuttavia, alla maturata e determinata decisione di
rintracciarlo; descrive, e si tratta di fatti interessanti ai fini di causa,
l’ansia che ha accompagnato la ricerca, la brevità del colloquio infine
ottenuto; la maturazione di aspettative per altri incontri costruttivi, sino
allo scambio dei rispettivi numeri di telefono; l’esito sostanzialmente
negativo di tale tentato contatto, sino all’abbandono del relativo disegno; la
delusione provata nella constatazione, affatto scontata, a ben vedere, del
detto esito così deludente.
Quanto al resto, ma per ogni altra
valutazione per così dire storica, si fa espresso rinvio alla c.t.u. e alla relativa anamnesi aut colloquio,
la perizianda vive con serenità, oggi, un
proprio autonomo rapporto affettivo.
Non ha sviluppato, come già
osservato, alcuna apprezzabile patologia, non
emergendo elemento alcuno dal punto di vista di alterazione psicopatologicamente
apprezzabile, data l’assenza, appunto, di sintomi di disturbi comportamentali.
Ma non è di questo, di un danno
biologico chiaramente da escludersi, che si va ora discorrendo.
Dunque, anche alla luce delle
dichiarazioni della interessata, ma si legga anche
l’esito dell’indagine istruttoria testimoniale, il convenuto non ha mai
contattato né tentato di contattare la figlia; una volta trovato, sembra
proprio la parola giusta, con ogni ragionevolezza, non ha messo la giovane
nelle condizioni di maturare un seppur tardivo contatto.
X. è consapevolmente cresciuta nella
consapevolezza di avere un padre (quello vero) completamente assente; il marito
della madre ha avuto un ruolo certo positivo, peraltro
mai vissuto come sostitutivo.
Non si è verificato, e questo appare
ragionevole, come osservato dal c.t.u., un improvviso distacco: bensì, più realisticamente, una
totale assenza, tuttavia nota, consapevolmente nota, all’attrice.
Con specifico riferimento a tale
descritto ultimo deludente esito della annosa vicenda,
non trascurando certo il lungo tempo trascorso, ritiene dunque provato il
Tribunale che la totale assenza della figura paterna sia stata avvertita e
sofferta, seppur con la fortunata esistenza di strumenti compensativi che hanno
consentito alla giovane di sviluppare con sostanziale equilibrio la propria
personalità.
Ciò detto, malgrado
l’assenza di esiti apprezzabili sul piano psicopatologico, nonché valutato,
anche sulla base della c.t.u., il relativo predetto
equilibrio complessivo e l’assenza di turbe comportamentali, vi è stata e v’è
lesione del diritto fondamentale dell’attrice all’apporto anche morale ed
assistenziale chiaramente mancato.
Trattasi di un coacervo di situazioni
e fatti, apporti concreti, i quali, a prescindere dalla qualità del di loro contenuto, certo non giudicabile dallo
scrivente, non sono stati forniti, malgrado l’obbligo di legge relativo.
L’effetto privativo, tanto premesso,
è eclatante: nello sviluppo della propria personalità, nel coacervo delle
scelte esistenziali della crescita di cui l’attrice avrebbe potuto godere, con
un contributo, con le modalità, i tempi ed i criteri, sostanzialmente non
sindacabili, offribili dal convenuto, X. non ha in sostanza ricevuto alcunché.
La violazione del detto diritto
fondamentale – il diritto alla educazione, alla
assistenza non solo economica, comunque mancata – è stato in effetti
reiteratamente violato: in effetti ne perdura, senza nessuna giustificazione,
la violazione.
La percezione di quanto sopra da
parte della interessata, che in tutti questi anni non
ha ricevuto alcun segnale da chi aveva, volente o nolente, che importa,
contribuito alla di lei generazione, ne è la prima prova, in uno con elementi
presuntivi di intuibile comprensione.
La consapevolezza, infine raggiunta, dalla attrice di essere stata trattata come il figlio di un
mammifero di specie diversa da quella umana (sebbene molti mammiferi, a ben
vedere, pongono a lungo cura alla prole), è in sé una conseguenza lesiva della
altrui condotta illecita e merita un risarcimento riequilibratorio.
La relativa domanda va dunque
accolta.
Quanto alla non semplice entificazione del danno soccorre, nell’economia di
liquidazione equitativa, il coacervo degli elementi di fatto ricordati, anche
con riferimento all’intensità del dolo, riflesse nella percezione della
danneggiata.
Il convenuto, a quanto è dato di
conoscere in causa, una volta rifiutata la paternità, per ragioni che, si ribadisce, non hanno rilievo, si è creato una famiglia e una
professionalità: la circostanza aggrava, per cosi’
dire, la valutazione della di lui condotta dal punto di vista della percezione
negativa che della stessa ha avuto l’attrice, con quanto ne consegue in punto
intensità dell’immotivata dolorosa privazione di un apporto che la Costituzione le
garantiva (le avrebbe dovuto garantire).
Tutto ciò premesso,
con riferimento alla sola posizione processuale dell’attrice X. V., si liquida,
al titolo in esame, danno non patrimoniale non coincidente con il mero danno morale come già entificato, l’ulteriore importo di euro 50.000,00, somma
anche in questo caso espressa in valori attualizzati e comprensiva degli
interessi compensativi maturati e scaduti.
Le spese seguono la soccombenza e
sono liquidate come in dispositivo.
Sentenza esecutiva.
P.Q.M.
1) In accoglimento,
per quanto di ragione, delle domande, CONDANNA il convenuto G. K., ai titoli di cui in
motivazione, al pagamento in favore delle attrici, in solido, della somma di
euro 80.000,00, e, in favore della sola X. V., dell’ulteriore importo di euro
50.000,00, somme entrambe comprensive degli interessi legali maturati dalla
domanda;
2) CONDANNA il convenuto alla
rifusione in favore delle attrici delle sostenute spese di lite che si
liquidano in complessivi euro 7.550,00, di cui euro 4.100,00 per onorari, euro
3.050,00 per diritti e il residuo per spese, oltre I.V.A., contributi e rimborso forfetario;
3) Onere della c.t.u.
a carico definitivo di parte convenuta;
4) Sentenza esecutiva.
Venezia, 16.6.2004
Il giudice istruttore giudice unico
Enrico Stefani
pubblicata il 30 giugno 2004