Penale

Thursday 01 December 2005

Dare del raccomandato è diffamatorio.

Dare del “raccomandato” è
diffamatorio.

Suprema Corte
di Cassazione, Sezione Quinta Penale, sentenza n.37455/2005 (Presidente: R. L.
Calabrese; Relatore: P. F. Marini)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

V SEZIONE PENALE

SENTENZA

LA CORTE OSSERVA

Con sentenza del 15/5/2003, il
giudice di pace di Rodi Garganico ha condannato O. N alla pena di Euro 258,23 di multa, oltre al risarcimento del danno
(liquidato in Euro 500,00) in favore della parte civile, quale responsabile del
reato di ingiuria continuata ed aggravata in persona di F. G..

Investito dl gravame
dell’imputato, il Tribunale di Lucera, sezione distaccata di Rodi Garganico,
con sentenza 7/11/2003 ha confermato il giudizio di colpevolezza, tuttavia
riducendo la pena, per effetto delle già concesse attenuanti generiche ora
ritenute prevalenti sull’aggravante, in Euro 180,00 di multa.

Si è così conformemente ritenuto,
dai giudici di merito, che l’imputato, rimproverato dal F., vice comandante dei
vigili di Peschici, per essersi rifiutato di cambiare ad un cliente del proprio
esercizio una banconota da Euro 20,00 per un acquisto minimo (per il che il F.
aveva invitato tale cliente a denunciare il fatto dichiarandosi disponibile a
testimoniare in merito), avesse indirizzato al F. la frase offensiva:
raccomandato, raccomandato, raccomandato, tu la legge non la conosci, te la
insegno io, vai via, vai a scuola; e si è poi rifiutata l’invocata esimente
della ritorsione in difetto di un fatto ingiusto della persona offesa, nonché
escluso, da ultimo, il fatto di particolare tenuità come causa di
proscioglimento stante l’opposizione della persona offesa.

Avverso la sentenza propone
ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del
difensore.

Con un primo motivo, il
ricorrente deduce l’omessa assunzione di prova decisiva e sopravvenuta,
riferita al decreto di archiviazione del procedimento
nei confronti del F. in ordine al reato di ingiurie, per il quale si era
querelato l’imputato, in applicazione dell’esimente ex art. 599 comma 1 cod.
pen.

Tale motivo è infondato,
stante il difetto di decisività della prova riferibile al decreto di archiviazione.

Tale provvedimento (che non ha comunque gli effetti caratteristici della cosa giuridica)
non nega, invero, e semmai rafforza, l’ipotesi delle ingiurie da parte dell’O.,
ne nella specie riveste attitudine probatoria in senso liberatorio, in presenza
di incensurabile ricostruzione del fatto, da parte del giudice di plena
cognitio, ed in esito ad una valutazione di inattendibilità delle testimonianze
favorevoli all’imputato, caratterizzate da non univocità ovvero incompletezza
narrativa dell’effettivo dialogo intercorso fra imputato e persona offesa, alle
quali risulta, dunque, coerentemente prescelto il deposto testimoniale di segno
accusatorio che esclude che l’O. sia stato egli stesso ingiuriato.

Peraltro, e sul punto specifico,
la sentenza riferisce di una dichiarazione testimoniale, in ogni caso non
creduta, rappresentativa di un semplice rimprovero rivolto all’esercente, nella
nota vicenda, da parte di un pubblico ufficiale legittimamente intervenuto per
comporre il dissidio con il cliente e, dunque, di una condotta per nulla
ingiuriosa; derivando da ciò, in termini assolutamente coerenti, il difetto del
presupposto dell’inapplicabilità dell’esimente della
provocazione.

Con un secondo motivo, il
ricorrente denuncia mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine all’apprezzamento delle prove, sul rilievo che
sarebbero state ignorate le discrasie fra le versioni dei testi a carico nonché
sarebbe mancata qualsiasi valutazione della reale capacità diffamatoria della
frase pronunciata; trattasi, palesemente, di motivo che presenta insuperabili
profili di inammissibilità, sia perché privo, sotto il primo profilo, della
necessaria specificità (non essendo allegate le discrasie asseritamene
ignorate) sia perché tralucentesi, sotto il secondo profilo, nella mera
enunciazione di personale dissenso circa l’apprezzamento di offensività delle
espressioni, esattamente colta nella qualificazione del pubblico ufficiale, in
presenza di più persone, come un soggetto raccomandato e, dunque, affidato alla
protezione di qualcuno nell’assunzione dell’incarico.

Con un terzo motivo, si deduce
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in
ordine all’esclusione dell’esimente dell’art. 599 cod. pen., sul rilievo
che la sentenza aveva pur descritto la condotta del F. (la decisa intromissione
nella discussione fra esercente e cliente) in termini di un fatto provocatorio,
ma tale motivo è manifestamente infondato, e
dunque anch’esso inammissibile, perché la sentenza impugnata non ha minimamente
descritto un fatto di provocazione che, anzi, ha categoricamente escluso, di
tal che la censura va apprezzata come surrettizio tentativo di rivalutazione e
rilettura del compendio probatorio già compiutamente esaminato dai giudici di
merito.

Conclusivamente, il ricorso deve
essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Roma, 20/09/2005.

Depositata in Cancelleria il 14
ottobre 2005.