Lavoro e Previdenza

Tuesday 29 November 2005

Cumulo tra reddito di lavoro e pensione anticipata. Il punto delle Sezioni Unite della Cassazione

Cumulo tra reddito di lavoro e pensione anticipata. Il punto delle Sezioni Unite della Cassazione

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI SENTENZA 21.10.2005 n° 20336

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del primo dicembre 2000 il Tribunale di Pistoia confermava la statuizione resa dal locale Giudice del lavoro n. 287 del 1999, con cui, in accoglimento del ricorso proposto da Luciano M., erano state dichiarate non dovute dal medesimo le somme pretese dall’Inps a titolo di rimborso di quote di pensione indebitamente percepite in violazione del divieto parziale di cumulo fra pensione e redditi di lavoro autonomo, stabilito dall’ari. 10 del decreto legislativo n. 503 del 1992.

Rilevava il Tribunale che l’art. 1 comma 189 della legge 662/96, nello stabilire il divieto di cumulo tra pensioni di anzianità e redditi da lavoro, aveva anche disposto che ai lavoratori titolari di pensione alla data del 30 settembre 1996 – com’era pacificamente il M. – continuavano ad applicarsi le disposizioni di cui alla previgente normativa di cui all’art. 10 del decreto legislativo 503/92; che questo a sua volta prevedeva la parziale incumulabilità delle pensioni di anzianità con il reddito da lavoro autonomo, fatta salva la posizione dei soggetti già titolari di pensione, ovvero m possesso dei requisiti minimi per la liquidazione della pensione di vecchiaia o di anzianità, alla data dei 31 dicembre 1994, ai quali continuava ad applicarsi la disciplina previgente se più favorevole. Ciò premesso e rilevato che il M. pacificamente aveva raggiunto, al 31 dicembre 1994, l’anzianità contributiva minima, sia pure avvalendosi dei contributi figurativi, affermava il Tribunale che la norma del 1992 – nell’escludere dall’area della incumulabilità i soggetti muniti dei requisiti minimi per la liquidazione della pensione – non consente di distinguere tra contribuzione effettiva e contribuzione figurativa e di limitare solo al primo caso l’esenzione dal divieto di cumulo, stante la mancanza di qualsiasi disposizione in tal senso.

Avverso detta sentenza l’Inps propone ricorso affidato ad un unico motivo.

Resiste il M. con controricorso (che reca erroneamente nell’epigrafe la indicazione di ricorso incidentale) illustrato da memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso l’Inps censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 189 della legge 662/96 e dell’art. 10 del D.lvo 503/92, commi 6 e 8, come modificati dall’art. 11 della legge 537/93, poiché l’interessato non avrebbe diritto al cumulo integrale tra pensione e reddito da lavoro autonomo in forza della disposizione del 1992, non rientrando nell’ambito di applicazione della disciplina transitoria più favorevole, per non avere raggiunto, alla data del 31 dicembre 1994, i requisiti minimi per il diritto alla pensione di vecchiaia ne di anzianità, essendo limitato il suo diritto unicamente al prepensionamento con l’accredito figurativo; questo infatti viene riconosciuto proprio in quanto non sussistono i requisiti per conseguire la prestazione. Le norme sul prepensionamento avrebbero carattere eccezionale, insuscettibile di applicazione analogica; inoltre i prepensionamenti non sarebbero contemplati dall’art. 10 del D.lvo del 1992.

Il ricorso non merita accoglimento.

La questione da decidere è se vi sia il diritto al cumulo integrale tra la pensione di anzianità in godimento del M. – conseguita a seguito di prepensionamento – e i redditi di lavoro autonomo, ovvero vi sia il diritto al cumulo solo nella misura del 50%, come sostiene l’Istituto ricorrente.

Si è determinato un contrasto all’interno della Sezione lavoro perché mentre con numerose sentenze (Cass. N. 13835 del 19 novembre 2000, n. 10709 del 22 luglio 2002, n. 11605 del 28 luglio 2003, n. 4436 del 4 marzo 2004) si è affermato il diritto al cumulo integrale, da ultimo, con la sentenza n. 12323 del 21 agosto 2003 detto diritto è stato negato.

Per procedere alla verifica del fondamento dei due contrastanti indirizzi è necessario fornire un quadro della complessa normativa di riferimento: in primo luogo della normativa sul pensionamento anticipato di cui il controricorrente ha goduto, ed in secondo luogo delle disposizioni che regolano il cumulo tra prepensionamento e reddito da lavoro autonomo.

1. Il prepensionamento per cui è causa.

1.1. I pensionamenti anticipati rientrano tra i provvedimenti approntati dalla legge per ilare fronte alla crisi delle imprese di grandi dimensioni o anche di interi settori produttivi (e si raccordano quindi alla cassa integrazione straordinaria ed alla indennità di mobilità) consentendo la espulsione, in forma socialmente indolore, di una molteplicità di lavoratori nei casi in cui – per ragioni diverse – sussiste ima eccedenza di sonale.

La disciplina non è unitaria ma differenziata a seconda dei particolari settori cui di volta in volta interviene, tuttavia il principio che accomuna tutti i i prepensionamenti è fondamentalmente quello di essere rivolto a quel personale (che ne faccia domanda) il quale:

a) per ragioni diverse (crisi economica del settore produttivo, innovazione tecnologica che ha reso obsolete delle professionalità ecc.) è divenuto definitivamente “eccedentario”, nei cui confronti non può quindi sopperire un mezzo temporaneo quale la cassa integrazione straordinaria;

b) che, dopo la perdita del posto di lavoro, difficilmente potrebbe trovare altra occupazione in ragione dell’età anagrafica;

c) che nel contempo non ha ancora i requisiti per fruire del pensionamento, ma che tuttavia ne è prossimo, di modo che con l’accredito (gratuito per il lavoratore, ed è perciò che il prepensionamento viene definito come “beneficio”) della contribuzione mancante – che non deve essere superiore ai cinque anni – può conseguire la pensione di vecchiaia, ovvero la pensione di anzianità, e quindi, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, può immediatamente ottenerne la liquidazione.

1.2. Nella specie il lavoratore si è avvalso del prepensionamento previsto dall’ari. 10 della legge n. 451 del 19 luglio 1994 (di conversione del DL 16 maggio 1994 n. 299), che concerne i processi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale. La procedura è analoga a quella già prevista per altri casi: il lavoratore deve avere una certa, anzianità assicurativa di almeno 30 anni (comma 1), gli viene concesso l’aumento dell’anzianità contributiva per arrivare ai 35 anni; l’impresa che intende partecipare al piano di pensionamenti anticipati deve farne domanda al Ministero del Lavoro, che deve dare l’approvazione (comma 4); la medesima impresa deve trasmettere all’Inps le varie domande, precisando anche la data di risoluzione del rapporto, che dovrà comunque i coincidere con l’ultimo giorno del relativo mese. La gestione Inps delle prestazioni I temporanee (sostanzialmente la gestione che eroga la cassa integrazione ex art. 37 legge n. 88 del 1989) versa al fondo pensioni lavoratori dipendenti, per ciascun mese di i anticipazione della pensione, una somma pari all’aliquota contributiva vigente (ad esempio per quattro anni se il lavoratore aveva 31 anni di contributi), e deve pagare anche una somma pari all’importo mensile della pensione anticipata (comma 6); ed infatti il fondo pensioni che deve erogare la prestazione non si troverebbe, in mancanza di tale pagamento, in possesso dei contributi necessari a liquidare la pensione in relazione all’aumento dell’anzianità riconosciuta. Si prevede poi (comma 7) che il 50% del costo complessivo del pensionamento anticipato è a carico del datore di lavoro.

2. Il regime di cumulo previsto per i prepensionamenti.

2.1. La citata sentenza di questa Corte n. 12323/2003, nell’ambito dell’indirizzo che nega il diritto al di cumulo integrale tra prepensionamento e reddito da lavoro autonomo, ne pone a fondamento la considerazione che la percezione di un reddito farebbe venire meno lo stato di bisogno collegato alla disoccupazione conseguente alla perdita del posto di lavoro.

Si obietta, però, che non è individuabile nell’istituto del I prepensionamento un nesso così decisivo con lo stato di disoccupazione, giacché è pur sempre ammesso il cumulo tra reddito da lavoro autonomo ed il 50% della pensione I anticipata, e nella specie si controverte appunto sul diritto al cumulo integrale, essendo pacifico, anche per l’Istituto previdenziale, il diritto al cumulo parziale. Inoltre è ben vero che la pensione anticipata tende anche a sopperire allo di disoccupazione, ma la sua finalità essenziale è quella di assicurare il conseguimento della pensione di vecchiaia o di anzianità attribuendo ope legis la copertura per gli anni mancanti, a determinate categorie di lavoratori, i quali hanno già almeno trenta anni di contribuzione, ma che – avendo difficoltà a reperire una nuova occupazione a causa della crisi del settore ed anche dell’età anagrafica – rischierebbero di non poter completare la posizione assicurativa. La pensione anticipata di anzianità non è dunque un tertium genus, come sostiene l’Istituto ricorrente, ma è una ordinaria pensione di anzianità, per la quale sono necessari i trentacinque anni, ma che ha la peculiarità di venire acquisita con un accredito ex lege dei requisiti mancanti.

Invero, la questione del cumulo tra pensionamento anticipato e reddito da lavoro autonomo va risolta, fondamentalmente, sulla base del diritto positivo e cioè sulla base delle disposizioni che lo hanno reiteratamente regolato, richiamando le regole previste per le pensioni di anzianità (nello stesso senso Cass. n. 4436 del 4 marzo 2004).

Ed infatti, praticamente tutte le molteplici nonnative che hanno introdotto, nei diversi settori, il pensionamento anticipato, hanno provveduto a regolamentarne il regime di cumulo con i redditi, facendo espresso richiamo alla disciplina del cumulo prevista per le pensioni di anzianità. La prima disposizione in ordine di tempo è quella di cui all’art. 16 penultimo comma della legge 23 aprile 1981 n. 155, la quale – come è noto – “inaugura” la stagione dei prepensionamenti. Si tratta dei pensionamenti anticipati nelle aziende industriali in stato di crisi, per i quali è previsto che « Agli effetti del cumulo del trattamento di pensione di cui al presente articolo con la retribuzione, si applicano le norme relative alla pensione di anzianità di evi ali ’art. 22 della legge 30 aprile 1969 n. 153». Disposizioni di uguale tenore, ossia il richiamo alla disciplina della pensione di anzianità, si rinvengono in moltissime altre leggi in tema di prepensionamento (art. 7 legge n. 416 del 1981: prepensionamenti nel settore dell’editoria; art. 3 legge 5.12.1986 n. 856: prepensionamenti nell’ambito della flotta pubblica; art. 9 D.l. 7.12.86 n. 873 convcrtito in legge 13.2.187 n. 26: prepensionamento nel settore I rituale; art. 2 comma 7 DL n. 14.1.1989 n. 120 convertito nella legge 15.5.1989 n. 81 (prepensionamento nel settore siderurgico); art. 7 comma 6 della legge 30.7.1990 n. 221 e art. 2 bis della legge 26.11.1992 n. 460, di conversione del DL 29.9.1992 n. 393 (prepensionamenti nel settore delle miniere); art. 8, comma 1 ultima parte del DL 16.5.1994 n. 299 convertito in legge 19 luglio 1994 n. 451: ancora in tema di prepensionamento nel settore siderurgico; art. 9 comma 2 della stessa legge: trasporto aereo; art, 14 comma 4 legge 7 marzo 2001 n. 62 : nuove nonne sull’editoria).

E’ ben vero che la legge sul prepensionamento di cui si è avvalso il ricorrente, ossia l’art. 10 della citata legge 589/94, tace sul punto, tuttavia non sembra esservi ragione per regolare la fattispecie in modo diverso da quanto previsto per tutti gli altri casi di (prepensionamento, che presentano un meccanismo assolutamente analogo.

Deve quindi concludersi che i! regime di cumulo di cui può godere l’attuale controricorrente è quello previsto per le pensioni di anzianità, che si passa dunque ad esaminare.

3. Le disposizioni in materia di cumulo tra pensione di anzianità e reddito da lavoro autonomo.

3.1. La disciplina del cumulo tra pensione e reddito da lavoro autonomo e subordinato, è stata diversamente regolata nel corso del tempo. Invero, è stata “sempre” esclusa la possibilità di cumulo tra pensione di anzianità e reddito da lavoro subordinato, ed infetti già l’art, 26 della legge 30 aprile 1969 n. 153 (che introdusse per la prima volta nell’ordinamento la pensione di anzianità) ne escludeva in via assoluta il cumulo con la retribuzione percepita in costanza di rapporto di lavoro subordinato, mentre nel silenzio della legge – il cumulo medesimo era “integralmente” consentito con i redditi da lavoro autonomo.

La disciplina – fu poi innovata ad opera dell’art. 10 del D.lvo 30 dicembre 1992 n. 503 (emanato in forza della delega di cui all’art. 3 della legge 23 ottobre 1992 n. 421), che al comma 6, da un lato, confermò l’incumulabilità assoluta tra pensione di anzianità e redditi da lavoro dipendente e, dall’altro, introdusse, per la prima volta, il divieto di cumulare con la pensione di anzianità i redditi da lavoro autonomo oltre la misura del 50%, (stante il richiamo fatto alla disciplina di cui al comma 1, ossia alla disciplina della pensione di vecchiaia). Pertanto la disciplina (applicabile ratione temporis) alla fattispecie ) è quella che consente il cumulo solo al 50% tra pensione di anzianità e redditi da lavoro autonomo (non rilevano in questa sede le successive modifiche di cui all’art. 1 comma 189 legge 23 dicembre 1996 n. 662, art. 59 comma 14 della legge 27 dicembre 1997 n. 449, art. 77 legge 23 dicembre 1998 n. 448, art. 72 legge 23 dicembre 2000 n. 388 e da ultimo con l’art. 44 legge 27 dicembre 2002 n. 289).

3.2. Occorre però tenere conto di una disposizione transitoria, che deroga alla regola testé illustrata, perché il medesimo art. 10 al comma 8 provvide ad escludere da questa nuova disciplina del cumulo al 50% alcuni lavoratori, disponendo che « Ai lavoratori, che alla data del 31 dicembre 1993 risultano già pensionati ovvero hanno maturato il diritto a pensionamento entro tale data e ne ottengano il trattamento nel corso del 1994, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alla previgente normativa».

E’ noto che poi detta disposizione fu sostituita dall’art. 11 comma 8 della legge 24 dicembre 1993 n. 537 per cui « Ai lavoratori che alla data del 31 dicembre 1994 sono titolari di pensione, ovvero hanno raggiunto i requisiti contributivi minimi per la liquidazione della pensione di vecchiaia o di anzianità, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alla previdente normativa, se più favorevole». La normativa vigente era appunto il citato art. 22 della legge 153/69, che, come detto, consentiva il cumulo integrale tra pensione di anzianità e reddito da lavoro autonomo e quindi era più favorevole.

4. Prepensionamento de quo e applicabilità del regime di cumulo più favorevole.

4.1. Se le pensioni anticipate (in forza della equiparazione alle pensioni di anzianità, come illustrato sub2), erano cumulabili con il reddito da lavoro autonomo solo per il 50%, secondo il disposto dell’ari 10 della legge 503/92, già ricordato al punto (recedente, allora il diritto al cumulo integrale – preteso dal lavoratore e attribuito dalla sentenza impugnata – può discendere solo dall’applicazione della norma transitoria

sopra citata, ossia dall’art. 11 comma 8 della legge 537/93. Occorre quindi verificare se il M. rientri in uno dei due casi ivi indicati in via alternativa, ossia se possa essere considerato “titolare di pensione” alla data del 31 dicembre 1994, oppure se possa essere considerato in possesso, alla medesima data, “dei requisiti contributivi minimi” per la pensione di anzianità.

Si tratta di due ipotesi distinte perché legate dalla proposizione disgiuntiva ” ovvero” di talché non appare invero condivisibile la tesi, enunciata con la sentenza di questa Corte 21 agosto 2003 n. 12323, secondo cui la previsione riguardo alla “titolarità’ della pensione” non avrebbe autonomia rispetto a quella del “raggiungimento dei requisiti contributivi minimi”. Viceversa tra le due e’ ravvisabile una diversità’ di significati, e una non coincidenza delle situazioni di riferimento. Le due ipotesi vanno quindi esaminate separatamente.

4.2. Quanto alla prima ipotesi prefigurata dalla disposizione transitoria di cui all’art. 11 comma 8 della legge n. 537/1993 per avere diritto al regime di cumulo integrale, occorre chiedersi se il M., alla data del 31 dicembre 1994, potesse considerarsi “titolare” della pensione di anzianità anticipata, tenendo conto che questa fu liquidata con decorrenza dal primo gennaio 1995.

Al quesito va data risposta negativa.

Se infatti si mettono a confronto le due ipotesi alternative cui la citata disposizione transitoria fa riferimento ossia “lavoratori che alla data del 31 dicembre 1994 sono titolari di pensione” e “lavoratori che (alla medesima data) hanno raggiunto i requisiti contributivi minimi per la liquidazione della pensione di vecchiaia o di anzianità”, si rileva che esse si distinguono Runa dall’altra perché la prima presuppone che la pensione sia già in godimento, altrimenti, se ciò non fosse richiesto e fosse sufficiente solo il conseguimento dei requisiti minimi, le due ipotesi – previste dalla legge in via alternativa – finirebbero per identificarsi: sia nell’uno che nell’altro caso sarebbe sufficiente il conseguimento dei requisiti minimi, in tal modo però, i due casi, indicati dalla legge come diversi e distinti, finirebbero con l’equivalersi. In altre parole, la prima espressione “titolari di pensione” implica necessariamente un quid pluris rispetto alla seconda “hanno raggiunto i requisiti contributivi minimi”, altrimenti le stesse risulterebbero equivalenti e non vi sarebbe stata necessità di prevederle in via alternativa con la disgiuntiva “ovvero”.

Si deve quindi concludere che la prima ipotesi contemplata dalla norma transitoria, attiene ai soggetti i quali, alla data del 31 dicembre 1994, abbiano il godimento effettivo della pensione. Detta interpretazione, che appare invero necessitata nella logica della disposizione in commento, art. 11 comma 8 della legge n. 537/1993, (prescindendo da fattispecie legali diverse in cui il concetto di “titolarità” della pensione è stato identificato nel momento in cui concorrono tutti i relativi elementi costitutivi, cfr. Cass.

7 gennaio 2000 n. 93) comporta, conclusivamente, che il M., non essendo titolare di pensione, ossia non godendone alla data del 31 dicembre 1994, ma dal primo gennaio 1995, non rientra nella prima ipotesi prevista dalla norma transitoria.

4.3. In relazione alla seconda ipotesi (conseguimento dei requisiti minimi al 31 dicembre 1994), sostiene l’Istituto ricorrente che il M., alla data di estinzione del rapporto di lavoro, ossia al 31 dicembre 1994, non aveva conseguito i requisiti minimi prescritti per la pensione di anzianità, ossia i 35 anni, dal momento che questi furono conseguiti solo dopo il versamento, da parte del datore, dei contributi relativi agli anni mancanti.

La tesi dell’Istituto, ancorché suggestiva, non appare aderente al dato normativo.

In primo luogo la prestazione in esame si denomina pensionamento anticipato non già perché la pensione maturi “prima” del conseguimento dei requisiti minimi – come sostiene l’Istituto – perché nessuna disposizione induce a ritenere che in questo caso Venga sovvertito il criterio generale di sistema per cui la pensione decorre “dopo” il conseguimento dei requisiti. La denominazione di pensione anticipata o

prepepensionamento è dovuta invece al fatto che questa viene erogata con anticipo, ossia prima del momento in cui normalmente maturerebbe con i requisiti effettivamente m possesso del lavoratore.

Infatti, se si ha riguardo al tenore letterale della disposizione sul prepensionamento per cui è causa e cioè (art. 10 legge 451/94) “ai lavoratori ammessi al benefìcio del pensionamento anticipato è concesso un aumento dell’anzianità contributiva pari ….” si rileva in primo luogo che al lavoratore non vengono accreditati i “contributi” mancanti, che come tali dovrebbero essere necessariamente riferiti ad un preciso periodo temporale il quale – secondo la condivisibile prospettazione dell’Istituto, non potrebbe che essere successivo al momento del pensionamento. Infatti, in luogo dei contributi, viene direttamente concessa un “aumento dell’anzianità contributiva ” per il periodo necessario al compimento dei trentacinque anni, di talché la posizione previdenziale dell’interessato viene ad essere completata integralmente “prima” della erogazione della pensione; in altri termini, nel momento in cui viene erogata la pensione, la maggiorazione dell’anzianità utile è già stata considerata. Ne consegue che al 31 dicembre 1994 la maggiorazione della anzianità assicurativa e contributiva risulta già concessa, i requisiti minimi sono stati quindi conseguiti e la pensione decorre normalmente secondo la regola generale, dal primo giorno del mese successivo, ossia dal primo gennaio 1995.

E’ ben vero che il datore di lavoro paga il costo dell’operazione, in quanto deve versare all’Istituto una somma pari al 50% dei contributi per gli anni mancanti e dei ratei della pensione anticipata, ma questo è il finanziamento che si presta all’Ente erogatore, il quale, non essendo stata maturata la effettiva anzianità prescritta, non avrebbe la provvista per pagare il trattamento. Tuttavia il finanziamento a carico del datore non costituisce contribuzione previdenziale, perché, secondo le regole generali, il versamento della contribuzione è consentito solo in costanza di rapporto di lavoro, mentre nella specie il rapporto è ormai risolto. Ed invero la concessione della maggiorazione, nel rapporto tra ente previdenziale e lavoratore, viene immediatamente assicurata e non viene per nulla condizionata al pagamento del finanziamento a carico del datore. Ed allora si deve concludere che, dovendosi considerare acquisiti i requisiti contributivi minimi al 31 dicembre 1994, il caso in esame ricade nella seconda delle due ipotesi previste alternativamente dalla disciplina transitoria (art. 11 comma 8 legge 537/93) e quindi sussiste il diritto al cumulo integrale tra pensione anticipata e redditi da lavoro autonomo.

5. Restano le seguenti considerazione per spiegare la ragionevolezza e la conformità a Costituzione dell’interpretazione adottata: a) il costo del prepensionamento è solo parzialmente a carico dell’Ente previdenziale, giacché, come già detto, l’onere economico è per il 50% a carico del datore; b) il prepensionamento ha sicuramente tra le sue finalità quella di sopperire allo stato di disoccupazione conseguente alla perdita del posto del lavoratore eccedentario, ma da ciò non deriva la assoluta inconciliabilità con il reddito da lavoro autonomo, come prescritto per i veri e propri trattamenti di disoccupazione, dal momento che lo stesso legislatore dispone l’applicazione ai prepensionati dello stesso regime di cumulo previsto per i pensionati di anzianità; e) in forza di detto richiamo l’attuale controricorrente dovrebbe usufruire, ratione temporis, del regime di cumulo al 50%; egli però ricade nel regime transitorio, di cui sopra si è detto, finendo cosi per beneficiare del cumulo integrale, e questo trattamento di miglior favore è dovuto alla applicazione della nonna transitoria che lo collega, per tutte le pensioni di anzianità, ad un mero dato temporale (titolarità delta pensione o conseguimento dei requisiti minimi entro il 31 dicembre 1994), con le incongruenze che da ciò possono derivare; d) come già osservato, la legge appronta il beneficio della maggiorazione per i lavoratori che, avendo già una ragguardevole anzianità assicurativa (almeno trent’anni). sono prossimi al pensionamento, e che, perdendo il posto di lavoro per la crisi irreversibile dell’impresa o del settore cui erano addetti, rischiano di non potere conseguire i requisiti mancanti per acquisire il trattamento pensionistico e che nel contempo hanno una età anagrafica non tale da precludere lo svolgimento di attività lavorativa autonoma.

Sembra quindi – nell’ambito del contemperamento di opposti interessi e tenendo conto della peculiarità della disciplina transitoria che ricollega l’esistenza del diritto al cumulo integrale ad un mero dato temporale – che la interpretazione adottata non presenti manifesti aspetti di incostituzionalità, considerando anche che secondo il Giudice delle leggi (Corte Costituzionale n. 374 del 2002, n. 311 del 1995 e n. 6 del 1994) la diversità di trattamento non lede il principio uguaglianza quando si pone come mero fatto collegato al fluire del tempo.

Devesi affermare dunque il seguente principio: « Le pensioni anticipate sono equiparate – quanto alla disciplina del cumulo con i redditi da lavoro autonomo – alle pensioni di anzianità, per le quali vigeva la regola del cumulo solo nella misura del 50%, (art. 10 comma 6 decreto legislativo n- 503 del 30 dicembre 1992, come modificato dall’ari 11 comma 9 della legge n. 537 del 24 dicembre 1993); nella disposizione transitoria – che prevedeva il diritto al cumulo integrale esclusivamente a coloro i quali, alla data del 31 dicembre 1994 erano titolari di pensione, ovvero, alla medesima data, avevano raggiunto i requisiti minimi per la pensione di anzianità o di vecchiaia (art. 10 comma 8 decreto legislativo 503/93, come modificato, dall’ari 11 comma 8 della legge 537/93) – rientrano i beneficiari del pensionamento anticipato di cui all’art. 10 della legge 19 luglio 1994 n. 451 (di conversione del DL 16 maggio 1994 n. 299) il cui rapporto è estinto per legge al 31 dicembre 1994, giacché – attraverso la maggiorazione della anzianità assicurativa e contributiva prevista dalla legge – hanno acquisito i requisiti contributivi minimi per la pensione di anzianità al 31 dicembre 1994. »

II ricorso va pertanto rigettato. Stante il contrasto di giurisprudenza, si compensano tra le parti le spese del giudizio.