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Thursday 15 April 2004

Crisi del calcio. Il TAR Lazio salva (per ora) il Cosenza dal fallimento

Crisi del calcio. Il TAR Lazio salva (per ora) il Cosenza dal fallimento

Tar del Lazio – Sezione terza ter – sentenza 25 marzo-1 aprile 2004, n. 2987

Presidente Corsaro – Relatore Russo

Ricorrente Cosenza Calcio 1914 Spa

Fatto

La Cosenza Calcio 1914 spa, corrente in Cosenza, dichiara d’esser stata retrocessa, in esito al Campionato nazionale di calcio serie B per l’anno 2002/2003, alla serie C/1, insieme alla Calcio Catania spa, al Genoa Cricket and Football Club spa ed alla Salernitana Sport spa.

Detta Società rende altresì noto d’aver chiesto alla Lega naz. professionisti serie C, con istanza del 27 giugno 2003, d’esser iscritta al Campionato nazionale di calcio serie C/1 per l’anno 2003/2004. Nondimeno, in data 22 luglio 2003, il Consiglio direttivo di tale Lega, su conforme parere della Covisoc, non ha ammesso la predetta Società al Campionato di serie C/1, in quanto essa sarebbe incorsa in svariate inadempienze. Avverso tale statuizione, detta Società ha proposto gravame alla Figc, evidenziando altresì il superamento, a suo dire, tempestivo delle questioni sollevate dalla Lega, proponendo a quest’ultima una nuova istanza in data 28 luglio 2003. Dopo alquante vicissitudini, il Consiglio federale della Figc ha respinto, con deliberazione in data 31 luglio 2003, tale impugnazione e ha disposto la definitiva non ammissione della predetta Società al Campionato de quo.

Nelle more, s’è sviluppata una vicenda giudiziaria avverso i risultati del Campionato di serie B, promossa dalla Catania Calcio spa e, poi, da altre Società retrocesse in serie C/1, in esito alla quale è stato emanato il Dl 220/03 (in Gu n. 192 del 20 agosto 2003), convertito, con modificazioni, dalla legge 280/03 (in Gu n. 243 del 18 ottobre 2003) e recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva. In base all’articolo 3, comma 5 del Dl 220/03 ¾norma, questa, non convertita, ma i cui effetti, prodottisi fino alla data d’entrata in vigore della legge 280/2003, sono rimasti salvi¾, con deliberazione in data 20 agosto 2003 (com. uff. n. 57/A), il c.f. della Figc ha sottoposto all’approvazione del Coni, anziché la Cosenza Calcio 1914 spa, l’acf Fiorentina spa per l’ammissione al Campionato nazionale di calcio serie B, per l’anno 2003/2004. Con deliberazione n. 380 del 21 agosto 2003, la Giunta esecutiva del Coni ha approvato detta proposta. Pertanto, anzitutto la Cosenza Calcio 1914 spa si grava innanzi a questo Giudice, con il ricorso n. 8642/2003 in epigrafe (notificato il 28 agosto 2003 e depositato il giorno successivo), avverso tali atti del Coni e della Figc, deducendo in punto di diritto, per un verso, il difetto di motivazione e, per altro verso, la violazione del citato articolo 3, comma 5 e lo sviamento di potere.

Nel frattempo, è stato emanato il lodo arbitrale in data 27 agosto 2003, con cui la Camera di conciliazione e arbitrato per lo Sport, sedente presso il Coni e adita dalla ricorrente contro la mancata ammissione attorea al Campionato di serie C/1, ne ha definitivamente respinto il gravame. La Cosenza Calcio 1914 spa impugna innanzi a questo Giudice, con il ricorso n. 8712/2003 in epigrafe (notificato il 2 settembre 2003 e depositato il giorno successivo), il lodo citato ed i presupposti atti della Figc di non ammissione della ricorrente al Campionato di serie C/1, deducendo in punto di diritto vari profili di censura.

Inoltre, la ricorrente riassume avanti a questo Giudice, ai sensi dell’articolo 3, comma 4 del Dl 220/03 (ricorso n. 9036/2003 in epigrafe, notificato il 12 settembre 2003 e depositato il successivo giorno 16), il gravame a suo tempo proposto innanzi al Tar Campania, sede di Salerno, avverso sia la deliberazione in data 9 luglio 2003 ¾con cui il c.f. della Figc ha ammesso, senza condizioni ed in forza della sentenza della Commissione d’appello federale, la Società Calcio Catania spa al compimento degli adempimenti previsti per l’iscrizione al Campionato nazionale di calcio serie B per l’anno 2003/2004¾, nella parte in cui non ha contestualmente disposto l’ammissione a tale Campionato anche a favore della ricorrente, sia, ove occorra, la deliberazione della g.n. del Coni n. 260 del 7 luglio 2003.

Infine, con il provvedimento di cui al comunicato ufficiale n. 96/A del 31 ottobre 2003, il Presidente della Figc ha dichiarato la decadenza della ricorrente, per inattività, dall’affiliazione alla Federazione stessa. Avverso tale statuizione la Cosenza Calcio 1914 spa, che sul punto ha proposto anche motivi aggiunti ai ricorso nn. 8642/2003 e 8712/2003 in epigrafe, si grava nuovamente innanzi a questo Giudice, con il ricorso n. 13143/2003 in epigrafe, notificato l’11 dicembre 2003 e depositato il successivo giorno 19. Al riguardo, la ricorrente deduce in punto di diritto, oltre a profili d’illegittimità derivata dai precedenti gravami, in via autonoma l’unico, articolato motivo della violazione degli articoli 3 e 7 della legge 241/90 e dell’eccesso di potere per varie ragioni.

In tutt’e quattro i giudizi si sono costituiti soltanto il Coni e la Figc, eccependo articolatamente vari profili d’inammissibilità dei ricorsi in epigrafe e, nel merito, l’infondatezza della pretesa attorea. Nei giudizi relativi ai ricorsi nn. 8642/2003 e 13143/2003 in epigrafe, si sono costituite pure la Lega nazionale professionisti serie C e la sola controinteressata Acf Fiorentina spa, corrente in Firenze, che concludono per l’inammissibilità e l’infondatezza delle domande attoree. Nel giudizio relativo al ricorso n. 8642/2003 intervengono ad adiuvandum il Codacons e l’Associazione degli utenti dei servizi sportivi e turistici, con sede in Roma, che agiscono a tutela di tali utenti e deducono in punto di diritto l’illegittimità dell’articolo 2, comma 1 del Dl 220/03 per violazione dell’articolo 24 Costituzione e del successivo articolo 3, comma 5 per violazione degli articoli 2, 3 e 18 Costituzione.

Le parti costituite hanno ritualmente depositato memorie e documenti. Alla pubblica udienza del 25 marzo 2004, su conforme richiesta delle parti stesse, i quattro ricorsi in epigrafe sono congiuntamente assunti in decisione dal Collegio.

Diritto

1. Come già accennato nelle premesse in fatto, la Cosenza Calcio 1914 spa, corrente in Cosenza, è stata retrocessa, in esito al Campionato nazionale di calcio serie B per l’anno 2002/2003, alla serie C/1. In relazione o in occasione di tale evento, detta Società ha sviluppato un ampio contenzioso, articolato nei quattro ricorsi in epigrafe, tre dei quali miranti ad ottenere la cooptazione nel Campionato di serie B ai sensi dell’articolo 3, comma 5 del Dl 220/03 (in Gu n. 192 del 20 agosto 2003, entrato in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione), l’annullamento degli atti inerenti alla mancata ammissione al Campionato di serie C/1 e, rispettivamente, la rimozione della decadenza della sua affiliazione alla Federazione italiana giuoco calcio – Figc. Il quarto gravame, ossia il ricorso n. 9036/2003, non è che la riassunzione, avanti a questo Giudice ed ai sensi dell’articolo 3, comma 4 del Dl 220/03, di quello a suo tempo proposto innanzi al Tar Campania, sede di Salerno, avverso l’atto della Figc d’ammissione incondizionata della Società Calcio Catania spa al compimento degli adempimenti previsti per l’iscrizione al Campionato nazionale di calcio serie B per l’anno 2003/2004, nella parte in cui non ha disposto l’ammissione a tale Campionato anche a favore della ricorrente.

Ciò posto, i quattro ricorsi in epigrafe, stante o il rapporto di presupposizione logica che li lega, oppure la sostanziale identità delle questioni controverse, vanno riuniti e contestualmente decisi con la presente sentenza.

2. Quanto al ricorso n. 9036/2003 in epigrafe, notificato il 12 settembre 2003 e depositato il successivo giorno 16, parte ricorrente dichiara di non aver più interesse alla risoluzione del relativo giudizio. Peraltro, al Collegio non sfugge che la domanda così posta riguarda vicende, le cui efficacia e validità sono state superate dal regime straordinario introdotto dall’articolo 3, comma 5 del Dl 220/03 e degli atti del Coni e della Figc che ne hanno dato attuazione, d’altronde impugnati dalla Cosenza Calcio 1914 spa con il ricorso n. 8642/2003 in epigrafe. Pertanto, il ricorso n. 9036/2003 dev’essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse, senz’uopo d’ulteriore disamina del merito.

3.1. In ordine, poi, agli altri tre gravami qui riuniti, reputa il Collegio che, per evidenti ragioni di presupposizione logica, occorra esaminare per primo il ricorso n. 13143/2003 in epigrafe, avente ad oggetto l’impugnazione attorea del provvedimento, di cui al comunicato ufficiale n. 96/A del 31 ottobre 2003, con cui il Presidente della Figc ha dichiarato la decadenza della ricorrente, per inattività, dall’affiliazione alla Federazione stessa.

3.2. Anzitutto è da rigettare l’eccezione di difetto di giurisdizione di questo Giudice sulla questione, alla luce della nuova formulazione dell’articolo 2, comma 1, lettera a) del Dl 220/03, nel testo modificato, in sede di conversione, dalla legge 280/03.

Le questioni sull’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni, al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive, concernono chiaramente la regolare conduzione tecnica delle gare, dei campionati e delle manifestazioni indette o disciplinate dalle relative norme interne di ciascuna Federazione sportiva. Il legislatore d’urgenza, nell’attribuire tali questioni alla disciplina dell’ordinamento sportivo (articolo 2, comma 1, alinea) ed alla competenza esclusiva della giustizia sportiva (articolo 3, comma 1, I per.), ha così inteso ribadire, cristallizzandolo in norme inderogabili e precise – per cui in claris non fit interpretatio -, l’arresto ormai consolidato della giurisprudenza sulla non rinvenibilità in sé, e tranne ipotesi di coinvolgimento di altri interessi, di posizioni soggettive tutelabili dall’ordinamento generale nelle competizioni de quibus. In particolare, l’ordinamento generale è indifferente alla verifica della regolarità delle competizioni sportive ed all’applicazione delle norme tecniche che ne determinano lo svolgimento e, con riguardo alle forze in campo, se del caso il risultato, tali vicende non implicando lesione alcuna tanto di diritti soggettivi, quanto di interessi legittimi (cfr., per tutti, Cassazione, Su, 4399/89; ma ciò è da lungo tempo affermato dalla Sezione: cfr. Tar Lazio, Sezione terza, 1099/85).

Il dato testuale non autorizza, quindi, a ritenere che sfuggano a qualunque controllo, da parte dell’ordinamento generale, i rapporti associativi in sé tra due soggetti di diritto, i quali, solo quando si perfeziona il vincolo associativo tra loro, soggiacciono a loro volta anche a quella parte dell’ordinamento sportivo le cui regole sono indifferenti all’ordinamento della Repubblica.

Appunto perché la relazione tra quest’ ultimo e l’ordinamento sportivo sono improntati al principio d’autonomia, l’articolo 1, comma 2 del Dl 220/03 fa salvi i casi di rilevanza, per l’ordinamento generale, di situazioni giuridiche soggettive connesse con quello sportivo. Senza incidere o modificare autoritativamente le regole dello sport, quelle statali non rinunciano a disciplinare (e tutelare) le posizioni dei soggetti di diritto quando operino in entrambi i settori. Quando vi sono atti il cui effetto finale è l’esclusione (recte, la revoca dell’affiliazione), ossia lo scioglimento del vincolo associativo rispetto al singolo associato, una volta divenuto definitivo il provvedimento ¾i cui motivi legittimanti la Federazione ed il relativo procedimento appartengono alla sfera interna di questa¾, il soggetto non appartiene più al gruppo sociale (la Federazione), di talché questi, esauriti tutti i gradi della giustizia sportiva e, se del caso, l’adizione della via arbitrale, si può rivolgere a questo Giudice, posto che la revoca è formalizzata in un provvedimento della Federazione stessa. Ebbene, il rapporto associativo (e, quindi, la sua cessazione), in sé considerato, è certo rilevante per l’ordinamento sportivo, ma impinge altresì su posizioni regolate dall’ordinamento generale, onde la relativa tutela spetta a questo Giudice, nella propria competenza esclusiva di cui al successivo articolo 3, comma 1, I per.

3.3. Ciò posto, sebbene, in linea di mero principio, l’impugnata decadenza non sia di per sé l’effetto ineluttabile e direttamente consequenziale della non ammissione della ricorrente, per l’anno 2003/2004, ad uno dei Campionati cui essa aspira, l’accoglimento, o meno, del ricorso in esame è propedeutico all’accertamento delle domande poste con i precedenti ricorsi.

Infatti, l’impugnata decadenza, se confermata, escluderebbe definitivamente la ricorrente dal novero dei soggetti dell’ordinamento sportivo e, quindi, da qualunque legittimazione all’ammissione ad uno di siffatti Campionati, e viceversa. Né varrebbe obiettare che, in fondo, tale atto è stato gravato dalla ricorrente con motivi aggiunti ai predetti due ricorsi, giacché non è possibile ampliare o modificare ad libitum il thema decidendum introdotto con il ricorso originario, mercé l’uso dei motivi aggiunti ex articolo 21, I comma della legge 1034/71, nel testo novellato dall’articolo 1 della legge 205/00. Ritiene il Collegio che detti motivi siano inutilizzabili: A) – nei confronti di atti che non sono in sequenza procedimentale, ma, pur se resi tra le stesse parti, esprimono potestà e/o si basano su presupposti diversi; B) – e, comunque, laddove non si verifichi quell’effettiva connessione tra le questioni, come prescrive la legge. Resta comunque fermo che detti motivi aggiunti costituiscono una facoltà per l’interessato e non già un obbligo prescritto a pena d’inammissibilità.

3.4. Nel merito, e valutando inammissibili i motivi d’illegittimità derivata ¾ ché l’impugnata decadenza sta in sé e condiziona, ma non è condizionata dalle altre vicende contenziose, essendo post hoc e non propter hoc¾, il ricorso in esame è fondato e va accolto, nei limiti e per le considerazioni di cui appresso.

Lamenta anzitutto la ricorrente che l’impugnata decadenza non sia stata preceduta dalle formalità d’avvio del relativo procedimento, ex articolo 7, comma 1 della legge 241/90, senza che ve ne fosse alcuna ragione. La doglianza è da condividere, in quanto, per un verso, essendosi tutta la complessa questione inerente alla posizione della ricorrente sviluppatasi nell’arco di svariati mesi, non riscontra nella specie quell’urgenza che, ai sensi del successivo comma 2, consente all’autorità procedente d’assumere rebus sic stantibus misure urgenti e cautelari e di differire l’emanazione dell’avviso d’avvio del procedimento, che resta pur sempre doverosa. In secondo luogo, tale avviso non può esser omesso, perché tutte le questioni inerenti alla cessazione del rapporto associativo tra una Società ed una Federazione sportiva riguardano l’esercizio di potestà non jure privatorum, ma nell’esclusivo interesse pubblico dello sport nazionale, che, quindi, trascende le posizioni di tali parti e cui dette Federazioni sono preposte – quali organi operativi del Coni, indipendentemente dalla loro soggettività privatistica, o meno (arg. ex Cassazione, Su, 14530/02; CdS, Sezione sesta, 5442/02), di talché i relativi atti devono esser preceduti dalle formalità ex articolo 7, comma 1 della legge 241/90 al fine d’assicurare trasparenza e partecipazione all’ azione amministrativa. Infine, la potestà esercitata nella specie dalla Figc, che fa riferimento ai casi di decadenza per inattività ai sensi dell’articolo 16 delle Noif, è sì priva di connotati di discrezionalità, ma non per ciò solo è anche necessitata, nel senso che l’inattività de qua non è un mero fatto giuridico, bensì va accertata e, soprattutto, ne va valutata l’imputabilità, o meno, a comportamenti colpevolmente omissivi del soggetto inerte. Pertanto, a più forte ragione nella specie – stante la novità delle regole poste dal Dl 220/03 e la mole del contenzioso attivato non solo dalla ricorrente, ma anche da altre Società¾, la Figc avrebbe dovuto avviare il procedimento di decadenza in contraddittorio con quest’ultima, non essendo chiari, né evidenti, né incontrovertibili i presupposti di fatto e la qualificazione giuridica dell’eventuale inerzia della Cosenza Calcio 1914 spa

La ragione è evidente: l’articolo 7, comma 1 della legge 241/90 s’ applica anche nei procedimenti vincolati, giacché la ragion d’essere della partecipazione, sottesa alle formalità poste dalla norma citata, si configura anche quando i presupposti del provvedimento conclusivo richiedano comunque un accertamento, nel cui ambito va garantita al destinatario la possibilità di prospettare fatti ed argomenti a suo favore.

Parimenti da condividere è l’assunto attoreo, laddove censura, per evidente difetto dei presupposti, la circostanza che l’inattività sia stata dichiarata per la ricorrente come facente parte della Lega nazionale dilettanti. L’intimata Figc, invero, non ha tenuto conto che, in disparte ogni considerazione sull’ammissibilità della ricorrente alla cooptazione nel Campionato di serie B, la ricorrente non ha prestato acquiescenza alla mancata sua iscrizione al Campionato di serie C/1, né è stata espressamente dichiarata decaduta dall’iscrizione a quello di serie C/2. In tal caso, la ricorrente è ex se ancora parte della Lega nazionale professionisti di serie C, tant’è che ben potrebbe essere iscritta a detto Campionato, per il quale possiede perlomeno il titolo sportivo.

Restano così assorbite le analoghe questioni poste, sotto forma di motivi aggiunti, con i ricorsi nn. 8642/2003 e 8712/2003.

4. Per quanto concerne, poi, questi ultimi, la Società ricorrente continua ad affermarne la sostanziale autonomia, ma ciò è frutto d’un evidente equivoco, già rilevato dalla Sezione in sede cautelare.

Ora, l’articolo 3, comma 5 del Dl 220/03 aveva attribuito al Coni, in coerenza ai principi sanciti dagli articoli 1 e 2, comma 1 e tenuto conto dell’eccezionale situazione determinatasi per il contenzioso instaurato da svariate Società sportive non solo verso la Figc, ma anche contro altre Federazioni, la potestà d’assumere, «… su proposta della Federazione competente,… i provvedimenti di carattere straordinario transitorio, anche in deroga alle vigenti disposizioni dell’ordinamento sportivo, per assicurare l’avvio dei campionati 2003-2004…». Tale norma, poi soppressa in sede di conversione dalla legge 280/2003, pose al Coni una potestà sì di carattere eccezionale, ma pure: A) – una tantum; B) – esercitabile non in via autonoma o sostitutiva, ma soltanto su proposta ad hoc della Federazione competente e, quindi, se questa l’avesse espressamente richiesto, laddove non fosse in grado, nonostante tutto, di provvedervi da sola; C) – concretantesi in provvedimenti extra ordinem, delimitati nel tempo; D) – all’esclusivo fine di consentire, se del caso derogando a regole federali vigenti, l’avvio dei predetti campionati. Come si vede, il pregresso contenzioso, ancorché rilevante, non fu assunto già dal legislatore d’urgenza quale elemento costitutivo della fattispecie, né tampoco per indirizzare ogni emanando provvedimento al suo superamento. Esso, in- vece, servì a guisa d’occasio dell’intervento e come vicenda, pur se non direttamente risolubile dai provvedimenti del Coni, di cui comunque questi ultimi avrebbero dovuto tener conto, se del caso per disinnescarne gli effetti più dirompenti e comporre le liti in atto. Certo, pur nella lata discrezionalità attribuitagli dalla norma, il Coni non avrebbe potuto provvedere legittimamente prescindendo sic et simpliciter da siffatto contenzioso, né dalla proposta federale. Tuttavia, né l’uno, né l’altra erano dati vincolanti e, quindi, ben sarebbero potuti esser sacrificati, nella comparazione di tutti gli interessi in gioco, rispetto al fine essenziale di cura dell’interesse pubblico sotteso all’avvio dei predetti Campionati.

Scevro dai denunciati vizi s’appalesa, allora, l’impugnata deliberazione della Giunta esecutiva del Coni n. 380 del 21 agosto 2003, laddove, su conforme proposta della Figc e per risolvere efficacemente tale avvio messo in forse dalle liti pendenti, ha deciso d’individuare una diversa formula del Campionato di serie B, mercé sia l’ ampliamento dell’organico fino a 24 squadre, sia «… l’inserimento di Società sportive che abbiano rilevanti bacini di utenza, strutture sportive attrezzate e di riconosciuta ricettività, frequenza di pubblico e indici di gradimento radiotelevisivo, tali da apportare un significativo aumento di interesse per l’intera competizione…». Invero, l’ ammissione al Campionato di serie B, nella nuova composizione a 24 squadre per l’ anno 2003/2004, avrebbe potuto concernere tutte e solo le squadre collocatesi negli ultimi quattro posti in esito al Campionato per l’anno 2002/2003, a guisa di mero repechage, sì da bloccare in tal modo ogni questione sulla retrocessione e senza bisogno d’adoperare altri parametri per raggiungere tale numero massimo. Tanto, però, a condizione che tutte queste squadre avessero al contempo instaurato un contenzioso sul punto e, alla data d’emanazione del provvedimento del Coni, fossero retrocesse alla serie C/1 e pleno jure iscritte a questo Campionato, ossia si trovassero nella situazione per il repechage. In difetto anche d’uno di tali presupposti ¾come per la ricorrente, che non propose impugnazione autonoma e non ha ottenuto l’iscrizione alla serie C/1¾, rettamente la Figc (in sede di proposta) ed il Coni (in sede decisoria) hanno fatto riferimento, per completare l’organico de quo, all’altro parametro considerato, il quale, a sua volta, tiene conto di elementi connessi alle tradizioni calcistiche dei luoghi, al seguito del pubblico e ad altri dati non strettamente tecnici, ma pur sempre inerenti all’essenza stessa del movimento sportivo. Né può seriamente la ricorrente, per un verso, non ritenere come tali elementi, che essa stessa ha invocato in sede di discussione orale dei gravami all’udienza pubblica, siano sì extra ordinem, ma non anche arbitrari, vessatori o estranei alla tradizione del movimento calcistico. Per altro verso, deve la ricorrente tener presente che l’Acf Fiorentina spa, pur non essendo la stessa Società costituita nel 1926 ¾vincitrice di due Scudetti, sei Coppe Italia e di altri prestigiosi titoli sportivi nazionali ed internazionali e dichiarata fallita nel 2002¾, ha titolo per raccoglierne il patrimonio culturale e affettivo e per continuarne la tradizione, essendo la prima squadra di Firenze, giocando nello stesso stadio e portando legittimamente il nome di colori del precedente sodalizio, oltre ad aver raccolto intorno a sé i tifosi ed i club della precedente Fiorentina.

Da ciò discende l’insussistenza dell’autonomia della domanda attorea relativa all’ iscrizione al Campionato di serie B (ricorso n. 8642/2003), rispetto a quella per ottenere l’iscrizione al Campionato di serie C/1 (ricorso n. 8712/2003) e, anzi, il rapporto di stretta presupposizione che colloca prioritariamente quest’ultimo nei riguardi del primo. Il ricorso n. 8712/2003 dev’essere esaminato prima dell’altro, perché ha per oggetto il possesso d’una posizione, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, che si pone come uno dei presupposti per la proponibilità del gravame contro la mancata ammissione al Campionato di serie B, appunto in applicazione dei criteri seguiti dalla Figc e dal Coni per l’adozione della deliberazione n. 380/2003, di carattere straordinario e transitorio.

5. Esaminando pertanto il ricorso n. 8712/2003, vanno rigettate le eccezioni di difetto di giurisdizione di questo Giudice, sollevate nei confronti dell’impugnazione spiegata a seguito ed avverso il lodo del 27 agosto 2003, emanato dall’Arbitro unico della Camera di conciliazione ed arbitrato per lo sport, sedente presso il Coni.

Al riguardo, reputa opportuno il Collegio rammentare, anche allo scopo di sgombrare ogni equivoco adombrato dalle parti e dagli interventori, che il previo ricorso ai gradi di giustizia sportiva, di cui parla l’articolo 3, comma 1, I per. del Dl 220/2003, configura sì un caso di giurisdizione condizionata, ma non di per sé censurabile per illegittimità costituzionale. Affinché sia conforme a Costituzione, ad avviso del Collegio il comportamento da tenere, nei casi di giurisdizione condizionata, non dev’essere eccessivamente oneroso in termini di tempo, di costi, di attività da svolgere e dev’esser finalizzato a soddisfare esigenze endoprocessuali. Ebbene, il modello delineato dall’articolo 3 s’appalesa rispondente alle predette esigenze, a loro volta espressive dei principi costituzionali di tutela delle posizioni soggettive regolate dall’ordinamento della Repubblica. Esso consente l’adizione in via esclusiva di questo Giudice (o dell’Ago, per le questioni sui rapporti patrimoniali tra Società, associazioni e atleti), escluse le vicende ex articolo 2, comma 1 (di cui l’ordinamento generale si disinteressa) e fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli Statuti e dai regolamenti del Coni e delle Federazioni sportive, una volta esauriti i ricorsi interni, a loro volta improntati ad una struttura deflattiva del contenzioso ordinario e, al contempo, poco costoso e, soprattutto, non improntato a rigorose formalità e ben noto e sperimentato dai soggetti del mondo sportivo. Questa tradizione è addirittura corroborata dalle previsioni del Dl 15/2004 (in Gu n. 21 del 27 gennaio 2004), che, nel novellare le norme di riordino del Coni ex Dl 242/99, riformano e razionalizzano il sistema di giustizia sportiva, sancendo, per un verso, l’obbligo di affiliati e tesserati, per la risoluzione delle controversie attinenti lo svolgimento dell’attività sportiva, di rivolgersi agli organi di giustizia federale e, per altro verso, la fissazione dei principi tipici del processo (contraddittorio tra le parti, diritto di difesa, terzietà ed imparzialità degli organi giudicanti, ragionevole durata, ecc.), oltre al coordinamento tra gli organi giudicanti federali e quelli del Coni.

Giova altresì far presente che le Federazioni sportive impongono ai loro associati il cosiddetto “vincolo di giustizia”, il quale si sostanzia nell’inserimento, negli Statuti e nei regolamenti federali, di clausole compromissorie (cfr., p.es., l’articolo 27 St. Figc). Queste, a loro volta, obbligano le Società ed i singoli tesserati d’adire, per le controversie connesse all’attività sportiva, gli organi della giustizia sportiva, che garantiscono, con forme similari al processo giurisdizionale statale, il controllo, da parte di altri organi federali, della legittimità e della giustizia dei provvedimenti emessi. Pertanto, gli interessati non possono rivolgersi direttamente ai Giudici statali per la risoluzione delle controversie o, perlomeno, ciò può avvenire solo, come s’è visto dianzi, dopo l’esperimento dei vari gradi di giustizia sportiva. Pertanto, dal punto di vista dell’ordinamento generale, il cosiddetto “vincolo di giustizia” non è che una norma organizzativa, la quale stabilisce, in una con le regole sulla competenza degli organi federali, quando un provvedimento si possa reputare definitivo e legittimo, alla stregua dei parametri dell’ordinamento interno alla Federazione.

Ora, si può discettare, e invero la dottrina dubita, sulla circostanza che il “vincolo di giustizia” implichi clausole effettivamente compromissorie o giudizi arbitrali propriamente detti, perché, da un lato, non v’è la certezza che gli organi federali interni siano qualificabili arbitri secondo una rigorosa accezione – dovendosi valutare l’esistenza d’una lite giuridica, l’eventuale compromettibilità della controversia e la stessa terzietà del decidente – e, dall’altro lato, il sistema è in divenire per effetto delle riforme recate dal Dl 15/04. Ciò che qui più importa non è tanto la previsione delle norme federali che mirano a portare all’interno della giustizia sportiva questioni altrimenti conoscibili dai Giudici statali, quanto, piuttosto, l’articolo 12 dello Statuto del Coni, in virtù del quale è istituita una Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport. Tale organo, peraltro adito dalla ricorrente avverso gli atti della Figc che ne decretarono la non ammissione al Campionato di serie C/1, ha competenza «… con pronunzia definitiva sulle controversie che contrappongono una Federazione Sportiva Nazionale, ovvero una Disciplina sportiva associata, ovvero un Ente di promozione sportiva a soggetti affiliati, tesserati o licenziati, a condizione che siano previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione o comunque si tratti di decisioni non soggette a impugnazione nell’ambito della giustizia federale…» ed il previo tentativo di conciliazione abbia avuto esito negativo. Tale procedura arbitrale, che si sostanzia in un arbitrato rituale ai sensi dell’articolo 12, comma 3 e che è esclusa per tutte le controversie tra soggetti affiliati, tesserati o licenziati per le quali siano già istituiti procedimenti arbitrali nell’ambito delle loro Federazioni, è ritenuta dallo stesso ente come vera e propria giustizia arbitrale, con potere di cognizione sulle controversie alternativa alla giurisdizione statale. Tanto perché, ad avviso del Coni, la potestas iudicandi della Camera di conciliazione si basa su esplicite clausole compromissorie inserite nei vari statuti federali, a norma degli articoli 806 e ss., Cpc (cfr. l’articolo 12, comma 5, ult. per.).

Ebbene, giova anzitutto precisare che la Camera di conciliazione pronuncia in modo alternativo alla giurisdizione statale solo per quelle controversie, sì devolutele mediante clausola compromissoria o altro espresso accordo delle parti ed in materia sportiva ed anche tra soggetti non affiliati, tesserati o licenziati, ma al contempo rilevanti anche per l’ordinamento statale e nei limiti oggettivi, soggettivi e temporali di validità di tali clausole, mentre per le altre vicende, indifferenti per tale ordinamento, la cognizione, o meno, della Camera non ha rilevanza generale.

Osserva altresì il Collegio che, nei casi rilevanti, l’adizione della Camera di conciliazione si pone in realtà come un ulteriore mezzo di gravame avverso quelli obbligatori interni a ciascuna Federazione sportiva nazionale, nel senso che può servire a risolvere la controversia all’interno del mondo sportivo. A differenza di quelli federali, l’adizione della Camera stessa non è del pari obbligatoria, giusta quanto indicato nell’articolo 12, comma 5 St. Coni, per cui la controversia può essere sottoposta a istanza del soggetto affiliato, tesserato o licenziato, ovvero a istanza della Federazione ad un procedimento arbitrale presso la Camera stessa. L’adizione di questa, quindi, non è, né s’atteggia a condizione d’ammissibilità per il ricorso innanzi alla giurisdizione statale ¾quale che sia il Giudice competente¾, tant’è che è effettivamente alternativo a questa, secondo le regole proprie dell’arbitrato rituale ed il giudizio è reso in base alle disposizioni del regolamento della Camera stessa ed applicando le norme di diritto, le norme e gli usi dell’ordinamento sportivo nazionale e internazionale. Non vale allora invocare la norma ex articolo 3, comma 1, II per. del Dl 220/03, che fa in ogni caso salvo quanto eventualmente stabilito da clausole compromissorie previste da Statuti e regolamenti del Coni e delle Federazioni sportive nazionali (oltreché da quelle inserite nei contratti degli sportivi professionisti ex articolo 4 della legge 91/1981), giacché ciò implica soltanto la necessità d’esperire l’arbitrato per le controversie di cui al precedente articolo 2, comma 2 (ossia quelle indifferenti per l’ordinamento della Repubblica) e non anche quando questo sia, come nella specie, facoltativo. Né giova affermare che, in fondo, la non ammissione al Campionato di serie C/1, configurando posizioni d’interesse legittimo, non sarebbe compromettibile per arbitri perché difetterebbe la disponibilità del diritto controverso, in quanto tale considerazione, condivisibile in linea di mero principio, non ha senso nella specie ove la Camera di conciliazione è istituita quale organo giudicante d’ultima istanza per la risoluzione d’ogni tipo di controversia sportiva che le venga sottoposta ad istanza di parte o della Federazione. Infatti, l’articolo 12, comma 7 St. Coni consente la devoluzione alla predetta Camera, mediante clausola compromissoria o altro espresso accordo delle parti, qualsiasi controversia in materia sportiva, anche tra soggetti non affiliati, tesserati o licenziati.

6. Da ciò discendono alcune conseguenze ben precise.

Anzitutto – e senza sottacere che fu la ricorrente a proporre arbitrato rituale ex articolo 12 St. Coni innanzi alla Camera di conciliazione il 25 agosto 2003-, il lodo da questa emanato è e resta pur sempre atto del Coni non riservato agli organi di giustizia sportiva ai sensi dell’articolo 2, commi 1 e 2 del Dl 220/03, essendo la Camera un organo (giudicante) dell’ente stesso. Quindi, l’impugnazione di tale lodo è devoluta alla giurisdizione esclusiva di questo Giudice, che conosce anche di questioni su diritti soggettivi, ferma restando la competenza in primo grado fissata ex lege alle Sezioni romane del Tar del Lazio e, dunque, il doppio grado di giurisdizione anche sul punto. Infine, dopo il nuovo criterio di riparto tra le giurisdizioni imposto dal successivo articolo 3, comma 1, l’impugnazione del lodo stesso non può giammai spettare alla Corte d’appello territorialmente competente, ché la cognizione dell’Ago in materia sportiva è circoscritta ai rapporti patrimoniali tra Società, associazioni e atleti.

Poiché, nondimeno, detto lodo è anche rituale, posto che la ricorrente in tal senso l’ha richiesto e promosso ed è stato a sua volta così reso dalla Camera di conciliazione, la sua impugnazione, ancorché conosciuta da questo Giudice, può avvenire, ai sensi dell’articolo 827, I comma, Cpc, oltreché per revocazione od opposizione di terzo, nei soli casi di nullità indicati dal successivo articolo 829. Pertanto, l’ammissibilità del ricorso n. 8712/2003 va valutata alla stregua di quest’ultima disposizione, nel senso che l’impugnazione del lodo per nullità non dà luogo ad un giudizio d’appello che abiliti in ogni caso il Giudice adito a riesaminare nel merito la decisione arbitrale, ma consente esclusivamente il cosiddetto iudicium rescindens, che serve ad accertare se sussista, o meno, taluna delle nullità previste dalla norma citata come conseguenza di errori in procedendo o in iudicando. Il Collegio ritiene, quindi, che la ricorrente, pur se ha impugnato gli atti a sua volta gravati con l’istanza d’arbitrato ex articolo 12 St. Coni, non possa sottoporre a questo Giudice questioni di merito, se non prima gli abbia fatto constare l’esistenza, o meno, d’una o più delle cause di nullità ex articolo 829 Cpc. Solo dopo che il giudizio rescindente si sia concluso con l’accertamento della nullità del lodo, è possibile, a norma del successivo articolo 830, il riesame di merito della pronuncia arbitrale, che forma oggetto dell’eventuale, successivo iudicium rescissorium (arg. ex Cassazione, I, 5857/00; id., 3383/04).

Ebbene, nella specie, in sede di gravame principale, la ricorrente, nel riservarsi motivi aggiunti al momento della pubblicazione del lodo, ne ha impugnato il dispositivo, censurandolo per le stesse ragioni per cui ha contestato la deliberazione del c.f. della Figc in data 31 luglio 2003, ossia per questioni di merito, ma ciò non integra alcuna delle ipotesi ex articolo 829 Cpc, onde sul punto l’impugnazione è inammissibile. Non aiutano al riguardo i motivi aggiunti notificati il 15 ottobre 2003 e depositati il successivo giorno 29, atteso che questi pongono solo la domanda risarcitoria non introdotta con il gravame principale. Ma neppure i cosiddetti “motivi nuovi” depositati il 27 novembre 2003 servono alla bisogna, perché, ad una serena lettura degli stessi, s’evince che questi sono stati proposti al precipuo fine di ribadire la competenza esclusiva di questo Giudice a conoscere dell’impugnazione del lodo -argomento, questo, su cui il Collegio non ha alcun dubbio-, mentre gli altri aspetti dedotti sono frutto di un evidente equivoco (sorto per il fraintendimento dell’obbligo d’esaurire tutti i gradi della giustizia sportiva, prima d’adire questo Giudice). Infatti, v’è un duplice erroneo convincimento nella ricorrente, secondo cui l’adizione della Camera di conciliazione sia una fase di gravame necessaria e necessariamente propedeutica al giudizio amministrativo e che l’emanazione del lodo in ogni caso precluderebbe il ricorso ex articolo 3 del Dl 220/03 e la competenza esclusiva di questo Giudice, cose, entrambe, già dianzi esaminate e confutate. Tali argomenti erano stati proposti dalla ricorrente, nella memoria per l’udienza del 13 novembre 2003, sì amplius, ma non con maggiori profili di fondatezza, onde sul punto nulla quaestio.

Per vero, la ricorrente impugna, con detti “motivi nuovi”, anche la natura arbitrale del giudizio reso dalla Camera di conciliazione, per difetto di terzietà dell’organo e per contrasto della fonte regolamentare che lo prevede con il citato articolo 3. Essa, però, non s’avvede che detta Camera possiede i requisiti necessari per poter considerare arbitrato vero e proprio il suo pronunciamento, essendo in posizione di terzietà rispetto alle controversie che contrappongono una Federazione sportiva ai soggetti affiliati, tesserati o licenziati. Tanto non solo perché in base al Regolamento della Camera spetta alle parti nominare gli arbitri, ma soprattutto perché la modalità di formazione dell’elenco, da cui vanno tratti i nominativi degli arbitri da scegliere, assicura un’equilibrata partecipazione ai rappresentanti tanto delle Federazioni, quanto degli atleti e dei tecnici. I membri della Camera, tra i quali l’articolo 11, comma 4 del relativo regolamento indica i soggetti eligendi ad arbitri, sono nominati dal Consiglio Nazionale del Coni su proposta della g.n. e non possono rivestire cariche presso organi elettivi o giudicanti delle Federazioni sportive nazionali. Tale terzietà non vien certo meno in base all’assunto attoreo circa il conflitto d’interessi che irretirebbe il Coni, quale intimato nel giudizio sul mancato repechage della ricorrente al Campionato di serie B, in quanto, a parte che l’elenco degli arbitri è stato formato prima di quella controversia, la ricorrente non può inferire l’assenza di terzietà dalle vicende d’una causa diversa e distinta dalla controversia compromessa per arbitri. Non v’è, quindi, alcun’antinomia tra le norme regolamentari della Camera di conciliazione e le norme processuali ex articolo 3 del Dl 220/03, neppure con riguardo alla natura rituale del relativo arbitrato, che è stata accettata senza riserve dalla ricorrente al momento della presentazione della sua istanza in data 25 agosto 2003 e non è stata da essa seriamente confutata in questa sede.

Poiché non v’è deduzione d’una o più cause di nullità dell’impugnato lodo, il ricorso n. 8712/2003 è in tal caso inammissibile, non essendo possibile per saltum pervenire, innanzi al Giudice dell’impugnazione, al giudizio rescissorio. Infatti, i limiti e la natura del giudizio di nullità, diretto a far valere, in sede rescindente, i soli vizi tassativamente previsti dall’articolo 829 Cpc, attribuiscono al Giudice dell’impugnazione la facoltà di riesame del merito soltanto in sede rescissoria e, comunque, secondo il petitum e la causa petendi dedotti dinanzi all’arbitro. Né basta: nel giudizio d’impugnazione per nullità del lodo, che è giudizio a critica limitata proponibile nei soli casi indicati dal ripetuto articolo 829, trova applicazione la regola della specificità della formulazione dei motivi, in considerazione della natura rescindente di tale giudizio e del fatto che solo il rispetto di detta regola può consentire al Giudice dell’impugnazione ed alla parte convenuta di verificare se le contestazioni formulate corrispondano esattamente ai casi d’impugnabilità previsti dalla norma stessa (cfr. Cassazione, I, n. 3383/04, cit.). Illegittimo è, allora, in sede di giudizio di nullità, tanto il riesame del merito in fase rescindente da parte del Giudice dell’impugnazione, quanto la conseguente sostituzione della motivazione del lodo con quella resa dal Giudice stesso (arg. ex Cassazione, I, 15126/00).

L’inammissibilità del ricorso n. 8172/2003 determina necessariamente anche un’identica dichiarazione nei confronti del consequenziale ricorso n. 8642/2003, i cui elementi essenziali, tuttavia, sono stati dianzi esaminati e confutati dal Collegio, in sede di valutazione dell’articolo 3, comma 5 del Dl 220/03 e degli atti applicativi del Coni e della Figc. Parimenti inammissibile è l’intervento spiegato nel ricorso n. 8642/ 2003 dal Codacons e consorte, da essi definito ad adiuvandum, ma privo di tali caratteristiche, perché rivolto ad ottenere un giudizio d’incostituzionalità di quegli articoli 2 e 3 del Dl 220/03, peraltro nel testo precedente alle modifiche recate dalla legge 280/03, che le parti principali invece invocano, sia pur con accenti diversi.

Ma quand’anche fosse ammissibile, non per ciò solo il ricorso n. 8172/2003 sarebbe meritevole d’accoglimento, essendo del tutto privo di pregio. Il primo motivo è manifestamente infondato, giacché la ricorrente oppone all’obbligo di prestare garanzia un credito vantato verso un soggetto, ossia la Lega nazionale professionisti di serie A e B , terzo rispetto al rapporto instaurato tra essa e la Lega nazionale di serie C, senza, peraltro, che ricorrano nella specie i presupposti oggettivi della compensazione. La ricorrente, inoltre, non tiene in alcun cale i termini d’adempimento per la presentazione della documentazione e delle garanzie, i quali, ancorché non di natura decadenziale, sono pur sempre essenziali, nel senso che, stante la natura lato sensu negoziale dei rapporti d’ammissione delle Società ai vari Campionati, ogni ritardo nell’ adempimento esaurisce l’utilità e l’interesse del soggetto organizzatore verso la prestazione tardiva, essendo detti termini stabiliti per la regolare e paritaria disciplina di tutte le attività inerenti ai Campionati ed avendo le ammissioni natura concorsuale. A tal riguardo, consta in atti una dichiarazione della ricorrente, pervenuta alla Figc in data 28 luglio 2003, ma, in realtà, essa è priva di documentazione, che il legale rappresentante della Società stessa allega e deposita con la successiva nota del 30 luglio, in congruo ritardo rispetto a quanto richiestole. La ricorrente, con i cosiddetti “motivi nuovi” depositati il 27 novembre 2003, impugna gli articoli 88 e ss. delle Noif, nella parte in cui obbligano le Società di non aver debiti ai fini della loro ammissione ai Campionati, ma tale gravame è manifestamente tardivo, essendo la ricorrente ben consapevole della loro lesività ex tunc, tant’è che si sforza inammissibilmente di ricondurre tali doglianze nell’àmbito della generica dizione «…ogni altro atto… presupposto, connesso o conseguente», di per sé, com’è noto, inidonea a fissare l’oggetto dell’impugnazione innanzi a questo Giudice.

7. La novità della questione e la parziale soccombenza costituiscono giusti motivi tali da suggerire l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.

PQM

Il Tar del Lazio, sede di Roma, Sezione terza ter, così dispone: A) – riunisce i quattro ricorsi in epigrafe; B) – accoglie in parte il ricorso n. 13143/2003 in epigrafe e per l’effetto annulla, per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione, l’impugnato provvedimento del Presidente della Figc in data 31 ottobre 2003; C) – dichiara inammissibile il ricorso n. 8712/2003 in epigrafe; D) – dichiara inammissibili il ricorso n. 8642/2003 e l’atto d’intervento del Codacons e dell’Associazione degli utenti dei servizi sportivi e turistici; E) – dichiara il ricorso n. 9036/2003 in epigrafe improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse.

Spese compensate.

Ordina all’Autorità amministrativa d’eseguire la presente sentenza.