Tributario e Fiscale
Cooperative: art. 6 del decreto legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito dalla legge 15 giugno 2002, n. 112. Ulteriori chiarimenti in merito al trattamento fiscale riservato alle società cooperative. Agenzia delle Entrate CIRCOLARE N. 37 del 09.07.2003
Cooperative: art. 6 del decreto legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito dalla legge 15 giugno 2002, n. 112. Ulteriori chiarimenti in merito al trattamento fiscale riservato alle società cooperative.
Agenzia delle Entrate CIRCOLARE N. 37 del 09.07.2003
Premessa
1. MODALITA’ DI DISTRIBUZIONE E TRATTAMENTO FISCALE DEI RISTORNI
1.2 Ristorni attribuiti mediante emissione di azioni di sovvenzione
1.3 Ristorni erogati da cooperative di produzione e lavoro sotto forma di integrazione delle retribuzioni
1.3.1 Modalità di determinazione dell’avanzo documentato di gestione
1.4 Ristorni distribuiti da cooperative costituite tra imprenditori o tra lavoratori autonomi
2. COOPERATIVE AGRICOLE
2.1 Articolo 10 del d.P.R. n. 601 del 1973
2.2 Ambito soggettivo di applicazione dell’articolo 6, comma 4, lettera b) del decreto legge n. 63 del 2002.
2.3 Cooperative agricole di trasformazione
3. TRATTAMENTO DELLE PERDITE
4. TRATTAMENTO DELLE ECCEDENZE DI REDDITO AGEVOLABILE AI SENSI DELL’ARTICOLO 1 DEL D.LGS. 446 DEL 1997
Premessa
L’articolo 6 del decreto legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, ha introdotto rilevanti modifiche alla tassazione ai fini Irpeg del reddito prodotto dalle società cooperative, in attesa che i principi enunciati nella legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, vengano trasfusi in appositi provvedimenti legislativi.
In particolare, il predetto articolo 6 prevede, per i due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2001, la disapplicazione delle esenzioni previste a favore delle società cooperative agricole, della piccola pesca e di produzione e lavoro dagli articoli 10 e 11 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, e la limitazione dell’ammontare degli utili netti annuali destinati a riserve indivisibili che in base all’articolo 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, non concorre alla formazione del reddito.
Chiarimenti sulle nuove modalità di tassazione delle società cooperative sono stati già fornite con la circolare 18 giugno 2002, n. 53/E.
Con la presente circolare, si forniscono ulteriori chiarimenti riguardanti questioni rappresentate dagli operatori del settore che sono connesse alla concreta applicazione della nuova disciplina.
1. MODALITA’ DI DISTRIBUZIONE E TRATTAMENTO FISCALE DEI RISTORNI
1.1 Ristorni
L’articolo 6, comma 2, del decreto legge 15 aprile 2002, n. 63, prevede una peculiare disciplina per le somme di cui all’articolo 3, comma 3, lett. b) della legge n. 142 del 2001 e all’articolo 12 del decreto del presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, di seguito individuati come “ristorni”.
Tali ristorni, se destinati ad aumento del capitale sociale della società cooperativa o del consorzio, non concorrono, infatti, a formare il reddito imponibile ai fini delle imposte dirette né il valore della produzione netta rilevante ai fini Irap in capo ai soci.
Nella circolare 18 giugno 2002, n. 53/E, è stato chiarito che tale regime di sospensione d’imposta è circoscritto alle sole somme che costituiscono il risultato della gestione della cooperativa derivante dall’attività della stessa effettuata nei confronti dei soci, non anche all’eventuale avanzo di gestione conseguito nei confronti di soggetti terzi.
Si tratta, più precisamente, delle somme attribuite dalle società cooperative e loro consorzi ai propri soci a titolo di restituzione di una parte del prezzo dei beni e servizi acquistati ovvero di maggiore compenso per i conferimenti effettuati (articolo 12 del DPR 29 settembre 1973, n. 601).
1.2 Ristorni attribuiti mediante emissione di azioni di sovvenzione
Come chiarito dalla risoluzione 2 luglio 2002, n. 212/E, l’erogazione delle somme a titolo di ristorno può essere effettuata mediante:
* integrazione delle retribuzioni;
* distribuzione gratuita di azioni di partecipazione cooperativa. Tale forma di partecipazione al capitale delle cooperative è disciplinata dall’articolo 5 della legge 31 gennaio 1992, n. 59 che prevede l’emissione (a favore dei soci beneficiari del ristorno) di azioni di partecipazione cooperativa destinate al finanziamento di un piano pluriennale di sviluppo ed ammodernamento aziendale della cooperativa a condizione che lo Statuto della cooperativa ne preveda espressamente la possibilità di emissione. Il “piano pluriennale finalizzato allo sviluppo o all’ammodernamento aziendale” deve essere approvato dalla cooperativa, a norma del medesimo articolo 5 della legge n. 59 del 1992. Si ricorda, che nell’ipotesi di modalità di assegnazione del ristorno mediante l’emissione di azioni di partecipazione cooperativa, devono essere rispettate le previsioni (contenute nel citato articolo 5) riguardanti il limite massimo di emissione delle APC, l’obbligatorietà di assoggettamento a certificazione del bilancio d’esercizio (ai sensi dell’articolo 15 della medesima legge n. 59 del 1992) e le procedure di successiva approvazione degli stati di attuazione dei piani pluriennali;
aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato in deroga ai limiti stabiliti dall’articolo 24 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947 n. 1577, ratificato, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, e successive modificazioni. In proposito, si precisa che tale, ultima, modalità di erogazione del ristorno comprende anche l’emissione di azioni di sovvenzione disciplinate dall’articolo 4, della legge n. 59 del 1992.
Tale disposizione, operando un espresso richiamo agli articoli 2548 e 2355 del codice civile, attribuisce implicitamente all’emissione di azioni di sovvenzione dignità giuridica di aumento di capitale sociale al pari delle azioni di cooperazione.
Si ritiene, tuttavia, che l’agevolazione spetti solo nell’ipotesi in cui tali azioni siano effettivamente destinate al finanziamento di piani pluriennali di sviluppo e ammodernamento aziendale, analogamente a quanto prevede l’articolo 5 della legge n. 59 del 1992 per le azioni di partecipazione cooperativa. Solo in tal modo, infatti, si ottiene lo scopo di vincolare per un congruo periodo di tempo le somme che godono della predetta agevolazione.
1.3 Ristorni erogati da cooperative di produzione e lavoro sotto forma di integrazione delle retribuzioni
Per quanto concerne il trattamento fiscale dei ristorni erogati sotto forma di integrazione delle retribuzioni si ritiene utile, innanzitutto, esaminare l’ipotesi in cui tali somme siano erogate da cooperative di produzione e lavoro.
Con riguardo alle cooperative di produzione e lavoro la legge 3 aprile 2001, n. 142, nel disciplinare la posizione del socio lavoratore, individua i possibili rapporti che si possono instaurare fra socio e cooperativa stabilendo, in relazione a tali rapporti, quali siano i limiti dei trattamenti economici spettanti ai soci, nonchè quelli relativi alle ulteriori somme erogate a favore degli stessi.
In particolare, la citata legge n. 142 del 2001, all’articolo 1, comma 3, prevede che il socio lavoratore di cooperativa stabilisca con la cooperativa un rapporto di lavoro ulteriore rispetto al rapporto associativo.
Tale rapporto di lavoro può essere costituito nella forma di lavoro subordinato, autonomo o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
Particolarmente significativa è la previsione recata dall’ultimo periodo del predetto articolo 1, comma 3, per effetto della quale dall’instaurazione dei predetti rapporti derivano i conseguenti effetti di natura fiscale e previdenziale nonchè tutti gli altri effetti giuridici.
Nella risoluzione 2 luglio 2002, n. 212/E, è stato chiarito che ai rapporti instaurati ai sensi della citata norma non si applicano i limiti posti dall’articolo 47, comma 1, lett. a) del TUIR.
Il comma 2 dell’articolo 3 prevede, inoltre, la possibilità per la società cooperativa di corrispondere trattamenti economici ulteriori a favore del socio lavoratore a titolo di maggiorazione retributiva o di ristorno.
Le modalità di erogazione dei trattamenti economici ulteriori corrisposti a titolo di maggiorazione retributiva ai sensi del predetto articolo 3, comma 2, lettera a), sono stabiliti in sede di accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali dei lavoratori più rappresentative.
I trattamenti economici ulteriori erogati a titolo di ristorno, ai sensi dell’articolo 3, comma 2, lettera b) non possono superare il 30 per cento dei trattamenti economici complessivi aumentati dei trattamenti economici ulteriori erogati a titolo di maggiorazione retributiva di cui alla lettera a), comma 2, dello stesso articolo 3.
Tale limite non può essere mai superato, attesa la tassatività della norma che lo prevede. Esso opera anche nel caso in cui l’avanzo documentato di gestione derivante da attività effettuate nei confronti dei soci – che, si ricorda, in base all’articolo 6, comma 2, del decreto legge n. 63 del 2002 non concorre alla formazione del reddito imponibile del socio – sia di importo superiore al predetto limite del 30 per cento delle retribuzioni.
A titolo di esempio, si ipotizzino le seguenti situazioni:
_________________________________________________________________________
Ipotesi 1.
UTILE 10.000
AVANZO (dell’attività mutualistica) 3.000
RETRIBUZIONI 5.000
_________________________________________________________________________
In questo caso, ai sensi dell’articolo 3, comma 2, lettera b) della legge n. 142 del 2001, il limite di erogazione di somme a titolo di ristorno è pari a 1500. A nulla rileva, infatti, la circostanza che, in tal caso,l’avanzo documentato di gestione generato esclusivamente dalle transazioni intercorse con i soci sia d’importo superiore (nell’esempio, pari a 3000).
_________________________________________________________________________
Ipotesi 2.
UTILE 1.000
AVANZO (dell’attività mutualistica) 300
RETRIBUZIONI 10.000
______________________________________________________________________________
In questo caso, ai sensi dell’articolo 3, comma 2, lettera b) della legge n. 142 del 2001, il limite teorico di erogazione di somme a titolo di ristorno è pari a 3000. Tuttavia, in applicazione del principio secondo cui ciò che può essere retrocesso è solo l’avanzo documentato di gestione generato dalle sole transazioni intercorse con i soci (e non anche quelle derivanti da transazioni con i non soci) non sarà possibile erogare ristorni per un ammontare superiore a 300.
La parte di utile che eccede tale, ultimo, ammontare rappresenterebbe, nell’eventualità di una distribuzione, un dividendo, quindi soggetto ai limiti di cui all’articolo 26 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947 n. 1577, ratificato, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, e successive modificazioni oltre a quelli previsti dalla citata legge n. 59 del 1992.
In conclusione, quindi, il limite di cui all’articolo 3, comma 2, lettera b) della legge n. 142 del 2001 e quello dell’avanzo – documentato – di gestione generato esclusivamente con le transazioni intercorse con i soci si renderanno applicabili contemporaneamente.
1.3.1 Modalità di determinazione dell’avanzo documentato di gestione
Considerata la peculiarità dell’attività mutualistica svolta dalle società cooperative, si rende opportuno fornire alcune linee di comportamento per determinare l’avanzo documentato di gestione originato dall’attività con i soci, nel caso in cui le cooperative che intendono erogare i ristorni operino anche con non soci.
Per la determinazione del predetto avanzo di gestione è necessario utilizzare parametri diversificati in relazione al modello cooperativo utilizzato, che riflettano le diverse tipologie di scambio mutualistico.
In particolare, laddove lo scambio mutualistico sia misurabile attraverso i ricavi (è il caso delle cooperative di consumo o di servizi) è necessario identificare la percentuale di questi ultimi che deriva dall’attività svolta con i soci rispetto al totale dei ricavi. Tale percentuale, applicata all’avanzo di gestione dell’esercizio, fornirà l’avanzo di gestione generato dall’attività con i soci.
A titolo d’esempio si assuma il caso di una cooperativa che produce ricavi dalle vendite e dalle prestazioni (voce A1 del conto economico) pari a 10.000 di cui 7.000 (pari al 70%) ottenuti dalle transazioni con i soci ed ha conseguito un avanzo di 1.000, come rilevabile dal risultato dalla gestione ordinaria in applicazione dei corretti principi di redazione del bilancio d’esercizio; in tal caso l’ammontare massimo assegnabile a titolo di ristorno è pari a 700 (1000* 70%).
Nell’ipotesi in cui lo scambio mutualistico sia misurato, invece, attraverso i costi, al fine di ottenere la quota parte dell’avanzo di gestione destinabile ai ristorni, dovrà correlarsi l’ammontare dei costi relativi ai rapporti con i soci con l’ammontare dei costi complessivi riferibili alle medesime voci del conto economico.
In particolare, per le cooperative di lavoro, le poste interessate sono la voce B9 del conto economico e, qualora la cooperativa abbia instaurato rapporti diversi da quello di lavoro subordinato, parte della voce B7.
In tal caso, infatti, occorrerà escludere dal numeratore del rapporto i costi sostenuti per le prestazioni fornite da terzi che abbiano la stessa natura di quelle fornite dai soci. Lo stesso può dirsi per le cooperative di servizi che utilizzano come riferimento la voce B7 del conto economico: si deve, in altre parole, scorporare da tale voce i costi per le prestazioni ottenute dai terzi di carattere omogeneo.
1.4 Ristorni distribuiti da cooperative costituite tra imprenditori o tra lavoratori autonomi
Nell’ipotesi in cui i ristorni siano distribuiti da società cooperative costituite fra imprenditori o fra lavoratori autonomi assumono rilevanza le precisazioni contenute nella risoluzione 2 luglio 2002, n. 212/E, con la quale è stato chiarito che il tipo di rapporto di lavoro prescelto determina, per espressa previsione normativa (articolo 1, comma 3, della citata legge n. 142 del 2001), il regime fiscale dei trattamenti economici corrisposti per l’attività lavorativa (che ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP rileva, nel caso di destinazione ad aumento del capitale sociale, solo al momento della loro successiva distribuzione, ai sensi dell’art. 6, comma 2, citato).
Conseguentemente, se il socio instaura un rapporto di lavoro autonomo con la società cooperativa, il trattamento economico complessivo, comprensivo delle ulteriori maggiorazioni e integrazioni per l’attività prestata, si configura come reddito di lavoro autonomo. Allo stesso modo, nell’ambito di società cooperative costituite tra imprenditori, le somme erogate a titolo di ristorno, rappresentando un’integrazione del corrispettivo a fronte dei conferimenti effettuati, ne seguiranno il medesimo regime fiscale.
Ad analoghe conclusioni si perviene con riferimento all’imposta sul valore aggiunto, ove è necessario, preliminarmente, verificare la natura del rapporto di lavoro del socio, al fine d’individuare il regime fiscale dei maggiori compensi percepiti a titolo di ristorno.
Conseguentemente, i maggiori compensi per l’attività prestata o per i conferimenti effettuati, erogati sotto forma di ristorni, che in applicazione del beneficio di cui al citato art. 6, comma 2, non concorrono a formare il reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e il valore della produzione netta dei soci, devono invece seguire il regime d’imponibilità IVA della prestazione nel suo complesso.
Per quanto concerne il profilo soggettivo, pertanto, i maggiori compensi di cui trattasi saranno imponibili ai fini IVA se la prestazione principale è imponibile in capo al soggetto che la effettua (lavoratore autonomo o imprenditore).
Il suddetto trattamento ai fini IVA non muta nell’ipotesi in cui il ristorno stesso sia erogato mediante aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato (in deroga ai limiti stabiliti dall’articolo 24 del d.l.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577), ovvero mediante distribuzione gratuita di azioni di partecipazione cooperativa o azioni di sovvenzione.
Le differenti modalità di “erogazione”, infatti, non fanno perdere al ristorno il carattere di corrispettività ulteriore del conferimento o della prestazione, in quanto tale assoggettabile al tributo secondo i principi generali.
Di conseguenza il momento impositivo, ai sensi dell’articolo 6 del d.P.R. n. 633 del 1972, coincide con la delibera assembleare che approva il bilancio inciso dai ristorni, vale a dire nel momento in cui il socio perde il diritto al credito ed acquista il diritto a ricevere quote di capitale.
2. COOPERATIVE AGRICOLE
2.1 Articolo 10 del d.P.R. n. 601 del 1973
La risoluzione n. 9/1280 del 18 novembre 1991, ha precisato che sono redditi d’impresa, anche se non eccedono i limiti stabiliti dall’articolo 29 del citato TUIR, i redditi derivanti dall’esercizio di attività agricole, qualora gli stessi siano conseguiti dalle società cooperative agricole.
Ciò in quanto l’art. 51, comma 2, lett. c) del TUIR, dispone che sono considerati redditi d’impresa quelli derivanti dall’esercizio di attività agricole, pur se nei limiti stabiliti dall’articolo 29 del TUIR, qualora siano prodotti dai soggetti indicati nelle lettere a) e b), del comma 1 dell’art. 87, fra cui sono comprese anche le società cooperative.
L’articolo 10 del d.P.R. n. 601 del 1973 stabilisce, al primo comma, che “sono esenti dall’IRPEG e dall’ILOR i redditi conseguiti da società cooperative agricole e loro consorzi mediante l’allevamento di animali con mangimi ottenuti per almeno un quarto dal terreno dei soci, nonchè mediante la manipolazione, trasformazione ed alienazione nei limiti stabiliti alla lettera c) dell’articolo 29 del DPR 917/86 di prodotti agricoli e zootecnici e di animali conferiti dai soci nei limiti della potenzialità dei loro terreni”.
Ai sensi della citata lettera c) dell’articolo 29, “sono considerate attività agricole: (…) le attività dirette alla manipolazione, trasformazione e alienazione di prodotti agricoli e zootecnici, ancorché non svolte sul terreno, che rientrino nell’esercizio normale dell’agricoltura secondo la tecnica che lo governa e che abbiano per oggetto prodotti ottenuti per almeno la metà dal terreno e dagli animali allevati su di essi”.
Affinché il reddito (prodotto dall’imprenditore individuale) abbia la natura di reddito agrario (nella risoluzione 31/E/2000 abbiamo affermato che producono redditi d’impresa) possa essere pertanto assoggettato a tassazione come tale devono ricorrere simultaneamente tutte le predette condizioni essendo, in particolare, necessario:
1) che sussista l’esercizio normale dell’agricoltura secondo la tecnica che lo governa, cioè che l’attività di manipolazione, trasformazione o alienazione rientri nell’esercizio normale dell’agricoltura;
2) che i prodotti oggetto di manipolazione, trasformazione e alienazione siano ottenuti prevalentemente dal terreno e dagli animali allevati su di esso.
Le stesse condizioni devono essere rispettate, ai fini dell’applicazione del citato articolo 10 del d.P.R. n. 601 del 1973, nell’ipotesi in cui il medesimo imprenditore agricolo si associ in cooperativa conferendole i prodotti agricoli ottenuti dai propri terreni al fine di svolgere collettivamente una parte del ciclo agrario.
Nella fattispecie, infatti, la cooperativa si pone nei confronti del socio come strumento operativo per svolgere in comune una parte del ciclo agrario che il produttore agricolo avrebbe potuto svolgere in proprio; l’attività della cooperativa deve pertanto ritenersi sostitutiva di quella dei singoli imprenditori agricoli associati e perciò connessa soggettivamente ed oggettivamente con l’attività agricola primaria degli stessi.
Nella interpretazione del predetto articolo 10, in altre parole, occorre avere a riferimento entrambi i limiti previsti dall’articolo 29: qualitativi (l’esercizio normale dell’attività) e quantitativi (i prodotti ottenuti prevalentemente dal terreno).
Dalla lettura combinata delle due disposizioni (articolo 10 del DPR 601/73 e articolo 29 del TUIR) si desume pertanto che, come è agricola produce reddito agrario l’attività di trasformazione dei prodotti agricoli ottenuti per almeno la metà dal terreno e dagli animali allevati su di esso (nel caso di impresa agricola individuale), alla stessa stregua deve considerarsi agricola anche produce reddito d’impresa esente l’attività di trasformazione effettuata dalle cooperative agricole a condizione che abbia per oggetto prodotti agricoli conferiti per almeno la metà dai soci.
2.2 Ambito soggettivo di applicazione dell’articolo 6, comma 4, lettera b) del decreto legge n. 63 del 2002.
L’articolo 6 del decreto legge 15 aprile 2002, n. 63 (convertito con legge 15 giugno 2002, n.112), disciplina ex novo l’applicazione dell’articolo 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904 per i due periodi di imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2001.
In particolare, al comma 4, il provvedimento in esame fissa la quota di utile, al netto della destinazione a riserva legale e di ulteriori destinazioni specificatamente elencate, che non concorre alla formazione del reddito ai sensi del citato articolo 12 della legge n. 904 del 1977.
La lettera b) del comma 4, con riferimento alle cooperative agricole e della piccola pesca, fissa la predetta quota di utile nella misura del 60 per cento.
Interpretando tale disposizione, la circolare ministeriale 18 giugno 2002, n. 53/E, esplicativa del decreto legge in esame, ha precisato che “in assenza di specificazioni normative, si rende necessario chiarire l’ambito soggettivo di applicazione della lettera b) appena citata e quindi individuare i soggetti da comprendere nella definizione di cooperativa agricola. Al fine di individuare le società cooperative da ammettere al beneficio, si ritiene che debba farsi riferimento alle relative disposizioni in materia di impresa agricola contenute nell’articolo 2135 del codice civile, così come novellato dall’articolo 1 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228”.
L’articolo 8 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227, dispone, inoltre, che “le cooperative ed i loro consorzi che forniscono in via principale, anche nell’interesse di terzi, servizi nel settore selvicolturale, ivi comprese le sistemazioni idraulico-forestali, sono equiparati agli imprenditori agricoli”.
La risoluzione 13 marzo 2000, n. 31/E, alla quale si fa rinvio, ha chiarito che le cooperative forestali, pur producendo reddito d’impresa, svolgono “un’attività di tipo agricolo”.
Ciò premesso, si ritiene che l’equiparazione contenuta nel citato decreto legislativo n. 227 del 2001 sia produttiva d’effetti anche in relazione all’applicazione delle disposizioni contenute nel decreto legge n. 63 del 2002.
Pertanto, l’agevolazione prevista per le cooperative agricole dall’articolo 12, comma 4, lettera b), della legge n. 904 del 1977 e successive modificazioni può essere applicata anche alle cooperative forestali che forniscono in via principale servizi nel settore selvicolturale di cui all’articolo 8 del d.Lgs. n. 227 del 2001.
Si ricorda che, analogamente a quanto chiarito dalla circolare n. 53/E del 2002 con riferimento alle società cooperative agricole, anche le società cooperative che operano nel settore selvicolturale – ai fini del beneficio di cui all’articolo 6, comma 4, lettera b) del d.l. n. 63 del 2002 – devono risultare iscritte nella sezione cooperazione agricola dei registri prefettizi previsti dall’articolo 13 del decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577.
2.3 Cooperative agricole di trasformazione
Si è ricordato che i ristorni rappresentano quella parte del vantaggio mutualistico attribuita al socio, non già contestualmente al rapporto di scambio con la società cooperativa, ma al termine del periodo di gestione. Tale vantaggio si concretizza con la “restituzione di una parte del prezzo pagato per acquistare beni e servizi, nonchè sotto forma di eventuali maggiori compensi per i conferimenti effettuati”.
Nelle cooperative agricole di trasformazione è assai diffuso il fenomeno di valorizzare i prodotti conferiti dai soci a consuntivo, sulla base delle risultanze di bilancio, se tale modalità è contenuta negli statuti sociali.
Nella pratica, al termine dell’esercizio, la cooperativa di trasformazione – verificati i ricavi conseguiti e i costi sostenuti – determina un importo complessivo imputabile al costo delle materie prime o comunque dei prodotti, conferiti dai soci.
In altre parole, nelle cooperative agricole di trasformazione, laddove gli statuti prevedano che la valorizzazione dei prodotti conferiti avvenga al termine dell’esercizio sociale, dopo aver verificato l’andamento dello stesso, non si attribuisce un “valore-base” allo scambio mutualistico e non è, quindi, individuabile “l’eventuale maggior compenso per i conferimenti effettuati”, che corrisponde al ristorno.
Nel corso dell’esercizio, la consegna dei prodotti alla cooperativa avviene con prezzo da determinare ed ai soci vengono corrisposti acconti periodici secondo quanto stabilito dai regolamenti interni, fatturati secondo le regole dettate dal D.M. 15 novembre 1975.
In materia di imposta sul valore aggiunto, infatti, il citato Decreto 15 novembre 1975 del Ministero delle Finanze afferma che “per le cessioni di beni il cui prezzo, in base a disposizioni legislative, usi commerciali, accordi economici collettivi o clausole contrattuali, è commisurato ad elementi non ancora conosciuti alla data di effettuazione dell’operazione la fattura può essere emessa entro il mese successivo a quello in cui i suddetti elementi sono noti o il prezzo è stato comunque determinato”.
Ne consegue che le cooperative agricole di trasformazione che in forza del dettato statutario e/o regolamentare definiscono il valore dei prodotti conferiti dai soci solo alla chiusura dell’esercizio sociale, non hanno la possibilità di applicare l’istituto del ristorno né, quindi, il disposto di cui al comma 2 art. 6 del decreto legge n. 63 del 2002.
3. TRATTAMENTO DELLE PERDITE
Come è noto, fra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche di cui all’articolo 87, comma 1, lett. a), del TUIR, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sono incluse anche le società cooperative le quali determinano il reddito complessivo netto secondo i criteri enunciati dagli articoli 52 e seguenti del medesimo TUIR, ossia apportando al risultato di esercizio (utile o perdita di bilancio) le variazioni fiscali.
In presenza delle condizioni di cui agli articoli 10 o 11 del d.P.R. n. 601 del 1973, alcune cooperative (agricole e di produzione e lavoro) pur mantenendo la qualifica di soggetti passivi d’imposta, beneficiano dell’esenzione IRPEG corrispondente a una parte o a tutto il reddito prodotto.
Per effetto di tali disposizioni è, quindi, prevista un’agevolazione tributaria non in termini di riduzione dell’aliquota, ma in termini di esenzione totale del reddito. Ne consegue che il reddito prodotto dalle cooperative che si trovano nelle condizioni previste dalla norma, è esente dall’IRPEG e non concorre a formare il reddito complessivo ai fini dell’applicazione dell’imposta medesima.
Nel caso in cui dalla dichiarazione dei redditi si evidenzi una perdita fiscale la riportabilità della stessa è regolata dall’articolo 102 del TUIR, il quale fissa una serie di limitazioni specifiche riguardanti il periodo entro il quale le perdite sono utilizzabili.
In merito all’applicazione del citato articolo 102 del TUIR ed alla conseguente riportabilità delle perdite generate in periodi d’imposta in cui si beneficia di un regime d’esenzione (nella fattispecie, in applicazione dell’art. 14, comma 5 della legge 1 marzo 1986, n. 64, che disciplina l’esenzione decennale IRPEG ed ILOR) la scrivente è intervenuta con la risoluzione 15 maggio 2003, n. 108/E, le cui conclusioni si ritiene che possano applicarsi anche alle cooperative.
In generale, ai sensi dell’articolo 102 del TUIR, le perdite di un periodo d’imposta possono essere utilizzate, in sede di dichiarazione dei redditi, in diminuzione del reddito complessivo nei periodi d’imposta successivi ma non oltre il quinto.
Occorre valutare, però, se nel caso di specie operi il meccanismo limitativo previsto dal secondo periodo dell’art. 102 del TUIR in base al quale la perdita riportabile deve essere diminuita dei proventi esenti dall’imposta per la parte del loro ammontare che eccede i componenti negativi non dedotti ai sensi degli articoli 63 e 75, commi 5 e 5-bis del TUIR.
Tale disciplina, introdotta dall’art. 1, comma 1, lett. m) del decreto legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, al fine di limitare il riporto delle perdite e di eliminare gli effetti distorsivi che si creano in presenza proventi esenti, riduce le perdite stesse degli eventuali proventi esenti conseguiti nello stesso periodo d’imposta.
La norma si riferisce a componenti positivi di conto economico (proventi) esenti per effetto di leggi speciali e non si applica in presenza di componenti di reddito d’impresa non imponibili per ragioni di ordine sostanziale o esenti in applicazione delle disposizioni agevolative di cui agli articoli 10 e 11 del d.P.R. n. 601 del 1973.
Ne consegue che le perdite che si sono generate in periodi d’imposta in cui una società cooperativa beneficiava dell’esenzione totale o parziale del reddito sono interamente riportabili nei periodi d’imposta successivi ed utilizzabili nei limiti del quinquennio previsto dall’art. 102 del TUIR.
Ciò premesso, occorre poi valutare se tali perdite devono essere utilizzate in compensazione nei periodi d’imposta in cui la cooperativa stessa ha evidenziato un utile d’esercizio, che non ha dato luogo ad un reddito complessivo imponibile per effetto dell’esenzione IRPEG.
Si ritiene che, negli esercizi chiusi con un utile da conto economico il reddito complessivo imponibile, poiché usufruisce dell’esenzione, sia pari a zero. Di conseguenza non si creano i presupposti per l’utilizzazione delle perdite dei periodi d’imposta precedenti che, in base all’art. 102 del TUIR, vanno computate in diminuzione del reddito complessivo.
Pertanto, le perdite – se regolarmente indicate nel relativo prospetto della dichiarazione dei redditi – potranno essere riportate integralmente e, in caso di mancanza dell’agevolazione, utilizzate in diminuzione del reddito complessivo e per l’intero importo che trova capienza nel reddito imponibile, sempre nei limiti temporali previsti dall’art. 102 del TUIR (cinque anni a decorrere dall’esercizio nel quale la perdita si è generata).
4. TRATTAMENTO DELLE ECCEDENZE DI REDDITO AGEVOLABILE AI SENSI DELL’ARTICOLO 1 DEL D.LGS. 446 DEL 1997
Le società cooperative, comprese quelle cui si rendono applicabili le previsioni di cui agli articoli 10 o 11 del DPR 601/1973, sono soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche.
Con circolare 51/E del 20/03/2000 è stato chiarito che alle società cooperative di cui all’articolo 11 si rendono applicabili, in linea di principio, le previsioni di cui all’articolo 1 del d.Lgs. n. 466 del 1997, secondo cui il reddito complessivo netto dichiarato dalle società e dagli enti indicati nell’articolo 87, comma 1, lettere a) e b), del TUIR, è assoggettabile all’IRPEG con l’aliquota del 19 per cento per la parte corrispondente alla remunerazione ordinaria della variazione in aumento del capitale investito rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 30 settembre 1996.
Il comma 3 del medesimo articolo 1 del d.Lgs. n. 466 del 1997 prevede che la parte della remunerazione ordinaria che supera il reddito complessivo netto dichiarato è computata in aumento del reddito assoggettabile all’aliquota ridotta dei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quinto.
Come precedentemente affermato, in presenza delle condizioni di cui agli articoli 10 o 11 del d.P.R. n. 601 del 1973, alcune cooperative beneficiano di un’esenzione IRPEG su parte o su tutto il reddito prodotto.
Anche in presenza della predetta esenzione, si ritiene applicabile il disposto dell’articolo 1, comma 3, del d.Lgs. n. 466 del 1997 e quindi riportabile l’eccedenza di reddito agevolabile ai fini della DIT, non utilizzata per “incapienza” del reddito imponibile.
Tale conclusione, in analogia con quanto affermato in materia di riportabilità delle perdite prodotte in periodi d’imposta in cui le società cooperative hanno goduto di regimi di parziale o totale esenzione dall’IRPEG, si fonda sulla considerazione che il riporto dell’eccedenza è ordinariamente previsto nei casi di assenza, ovvero incapienza del reddito imponibile.
L’incapienza o l’assenza di reddito imponibile possono dipendere sia da risultati economici negativi dell’attività d’impresa, sia da fattori esterni, quali, nel caso di specie, un’esenzione del reddito stesso.
In altre parole, è opinione della scrivente che alle società cooperative le quali hanno fruito nei periodi d’imposta precedenti del regime di esenzione dall’Irpeg, vada riconosciuta, analogamente a quanto affermato per le perdite, la possibilità di riportare le eccedenze di reddito assoggettabile ad aliquota agevolata, ed a condizione che sia stato regolarmente compilato il quadro RJ della dichiarazione dei redditi.