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CONTRIBUZIONE VOLONTARIA. Il tardivo pagamento di un solo bollettino trimestrale non può comportare la decadenza dalla facoltà di contribuzione volontaria
Secondo la disciplina dell’art. 10 d.P.R. 31 dicembre 1971 n. 1432, la risoluzione del rapporto costituitosi in forza dell’autorizzazione alla prosecuzione volontaria dell’assicurazione obbligatoria, per effetto del mancato o ritardato versamento dei contributi nel termine di legge, dipende dalla volontà dell’assicurato, che può essere esclusa solo se il mancato tempestivo versamento sia dovuto a caso fortuito o forza maggiore, cioè ad una causa non imputabile all’assicurato (art. 1218 c.c.) concretantesi in un evento estraneo alla volontà del soggetto che renda impossibile l’esecuzione della prestazione. Tuttavia il mero ritardato pagamento di un solo bollettino trimestrale non può comportare altra conseguenza oltre alla mancata copertura assicurativa del trimestre precedente cui il ritardato pagamento si correla.
Lo afferma la Corte di Cassazione, sezione lavoro con ordinanza n. 19054 pubblicata il 14 settembre 2020.
Il caso esaminato
Una lavoratrice in mobilità, già alle dipendenze di società di erogazione gas, veniva ammessa alla contribuzione volontaria del Fondo Integrativo previdenziale delle aziende private gas (Fondo Gas). A seguito del ritardato pagamento di un bollettino trimestrale con scadenza 30 giugno 2009, effettuato il 22 settembre 2009, l’Inps disponeva l’annullamento della contribuzione volontaria versata dalla lavoratrice.
Proposto ricorso al Tribunale, veniva accolto da questo giudice, che dichiarava illegittimo l’annullamento disposto dall’Inps. Quest’ultimo proponeva appello, ma la corte di merito lo rigettava. Ricorreva infine in Cassazione l’ente previdenziale.
La contribuzione volontaria.
Il sistema del versamento dei contributi volontari mediante bollettini di conto corrente postale, con periodicità trimestrale, è soggetto al regime risultante dal combinato disposto degli art. 7 e 10 d.P.R. 31 dicembre 1971 n. 1432, in base al quale i contributi versati dopo la scadenza del trimestre successivo a quello cui i contributi stessi si riferiscono sono indebiti, e quindi inefficaci ai fini del conseguimento delle prestazioni assicurative; e vengono rimborsati d’ufficio, salvo che il ritardo sia determinato da caso fortuito o forza maggiore. In particolare, l’articolo 10 del D.P.R. citato così recita: “I contributi volontari versati in ritardo rispetto ai termini stabiliti dalle disposizioni del presente decreto o in contrasto con le disposizioni stesse o per periodi comunque coperti da contribuzione effettiva o figurativa sono indebiti e vengono rimborsati d’ufficio all’assicurato o ai suoi aventi causa, all’atto dell’accertamento dell’indebito versamento.
Le disposizioni di cui al comma precedente non si applicano quando il ritardo nel versamento dei contributi è determinato da cause di forza maggiore”.
Sulla base di tale disposto, l’inps riteneva decaduta la lavoratrice dalla facoltà di contribuzione volontaria, disponendo l’annullamento della contribuzione versata. La Suprema Corte, confermando le decisioni assunte dai giudici di merito, non ritiene corretto quanto sostenuto dall’ente previdenziale.
La contribuzione volontaria, affermano gli Ermellini, è caratterizzata dalle seguenti connotazioni: a) si tratta di un meccanismo dettato nell’esclusivo interesse del soggetto che intende conservare i diritti derivanti dalla assicurazione generale obbligatoria interrotta o sospesa o raggiungere i requisiti per il diritto a pensione; b) riguarda soggetti i quali non espletano alcuna attività lavorativa, onde non sussiste alcun obbligo nei loro confronti da parte dell’ente gestore dell’a.g.o.; c) la persistenza del diritto alla prosecuzione volontaria è connessa strettamente con la posizione del soggetto rispetto alla sussistenza o sopravvenienza di altre forme assicurative, per la riacquistata possibilità lavorativa, ovvero per la percezione di pensioni a carico dell’assicurazione obbligatoria.
La contribuzione costituisce così una mera facoltà dell’assicurato, che tale facoltà può esercitare o non esercitare liberamente e senza alcuna conseguenza dopo il rilascio dell’autorizzazione.
L’art. 10 del citato D.P.R. n. 1432/1971 prevede infatti la possibilità di recesso dal rapporto, costituitosi in forza della autorizzazione, per effetto del mancato o ritardato versamento dei contributi nel termine di legge, senza alcun pregiudizio per l’assicurato al quale, al contrario, spetta il diritto al rimborso di quanto eventualmente pagato.
La risoluzione del rapporto di fatto è perciò voluta dall’interessato ed opera automaticamente per l’inutile decorso del termine di pagamento fissato dalla legge.
Non può ritenersi sussistente una volontà di recedere soltanto se il mancato versamento nel termine sia imputabile a caso fortuito o forza maggiore, cioè a una causa non imputabile all’assicurato (art. 1218 cod. civ.), concretantesi in un evento estraneo alla volontà del soggetto che renda impossibile la esecuzione della prestazione.
Ma, prosegue il Supremo Collegio, dalla disciplina sopra richiamata non si rinviene alcun elemento logico o testuale che possa far ritenere che il tardivo pagamento di un solo bollettino trimestrale comporti effetti ulteriori rispetto alla mancata copertura assicurativa del trimestre precedente a quello cui il pagamento intempestivo si riferisca. Non può, in altre parole, desumersi la volontà di recedere soltanto dal ritardato pagamento di un unico bollettino trimestrale.
Ipotizzare, come ha fatto l’Inps la conseguenza della perdita del trattamento pensionistico in funzione del quale la contribuzione volontaria si giustifica, equivale ad introdurre una decadenza in relazione non all’esercizio di un diritto ma all’esercizio di una facoltà che ha per oggetto un pagamento. Come tale dunque non soggetto a decadenza né prescrizione, posto che l’assicurato in tal caso non è creditore di una prestazione, ma debitore.
Il ricorso proposto dall’Inps è stato così ritenuto infondato e di conseguenza rigettato.
Avv. Roberto Dulio