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Con il T.U. dell’ edilizia non è pià possibile la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale. TAR PIEMONTE, SEZ. I – sentenza 20 aprile 2005 n. 1094
Con il T.U. dell’edilizia non è più possibile la cosiddetta “sanatoria
giurisprudenziale”.
TAR PIEMONTE, SEZ. I – sentenza 20 aprile 2005 n. 1094 – Pres. Gomez De Ayala, Est. Goso – Villa (Avv.ti
Santilli e Stefanetti) c.
Comune di Domodossola (Avv. Scaparone)
FATTO
La signora Angela Villa ha
presentato, in data 3 novembre 2004, domanda di sanatoria edilizia relativa a interventi eseguiti nell’immobile di proprietà in
Domodossola.
I lavori in questione erano
individuati nel ribassamento del piano di calpestio,
costituito da un assito in legno, al piano terra
dell’immobile, al fine di raggiungere un’altezza che consentisse l’abitabilità
dei locali, trasformandoli da accessori a residenziali.
Il Dirigente dell’ufficio edilizia
privata del Comune di Domodossola, rilevando che l’assito in
legno non risultava nella concessione edilizia originaria (n. 239/90 del
28.5.1991), accertava che l’incremento volumetrico, provocato dal ribassamento del piano di calpestio, era stato realizzato
contestualmente alla costruzione del fabbricato.
Procedeva, quindi, all’accertamento
di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, sia rispetto allo strumento urbanistico vigente al
momento della realizzazione dell’abuso (PRGC approvato con D.G.R.
103-16602 del 27.10.1987 e strumento attuativo PEC n.
10) sia rispetto a quello vigente al momento della presentazione della domanda
(PRGC adottato con deliberazione di C.C. n. 54 del 14.4.2004).
Accertato che l’intervento risultava conforme al PRGC adottato, ma in contrasto con lo
strumento urbanistico vigente al momento dell’abuso (poiché la volumetria di
progetto era pari a quella massima consentita dal PEC n. 10), il Dirigente
respingeva l’istanza di sanatoria.
Con successivo provvedimento, era
ordinata la rimessa in pristino dello stato dei luoghi.
L’interessata contesta la legittimità
di entrambi i provvedimenti, deducendo i motivi di
gravame che saranno meglio individuati in parte motiva e chiedendone
l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione.
Si costituiva in giudizio il Comune
di Domodossola, chiedendo la reiezione del ricorso.
DIRITTO
1) Il Collegio ritiene di dover
decidere il merito del ricorso con sentenza succintamente motivata – ai sensi
dell’articolo 26, commi 4 e 5, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come
sostituito dall’articolo 9 della legge 21 luglio 2000, n. 205 – considerata la
rituale instaurazione del contraddittorio, la proposizione dell’istanza cautelare e la sufficienza delle prove in atti.
2) Il tema del contendere, nel presente
giudizio, concerne la legittimità dei provvedimenti con i quali il Comune di
Domodossola ha, dapprima, denegato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria chiesto dalla ricorrente e, successivamente,
ordinato la riduzione in pristino dello stato dei luoghi.
Oggetto dell’istanza
di sanatoria erano interventi eseguiti in parziale difformità dalla concessione
edilizia rilasciata nel 1991, consistenti nella trasformazione d’uso del piano
terreno dell’immobile da locali accessori a nuova unità abitativa, con
incremento volumetrico.
La motivazione del diniego si fondava
sull’esito negativo della verifica del requisito della
cosiddetta "doppia conformità": le opere in questione, infatti, pur
non contrastanti con il piano regolatore adottato al momento della
presentazione della domanda di sanatoria, risultavano difformi dalle previsioni
dello strumento urbanistico vigente al momento della loro realizzazione.
3) Con il primo motivo del gravame,
la ricorrente deduce l’illegittimità del diniego di sanatoria (e, in via
derivata, dell’ordine di demolizione) in ragione della incontestata
conformità dell’intervento allo strumento urbanistico adottato al momento della
presentazione della domanda.
Sostiene, in buona sostanza, che debba trovare applicazione nella fattispecie la cosiddetta
"sanatoria giurisprudenziale" che comporta l’assentibilità
della sanatoria nel caso di conformità dell’intervento alla normativa
urbanistica vigente nel momento in cui l’Autorità provvede sulla domanda, pur
se in contrasto con lo strumento urbanistico vigente all’epoca dell’abuso.
L’esponente, a sostegno della propria
tesi, richiama precedenti decisioni della Quinta Sezione del Consiglio di Stato (in particolare, la n. 6498 del 21 ottobre 2003)
che, configurando le disposizioni sulla "doppia conformità" quali
norme contro l’inerzia dell’Amministrazione,
attribuiscono diritto di cittadinanza alla "sanatoria
giurisprudenziale", rimarcando che non vi è alcuna "ragione di
ritenere che l’ordinamento imponga di demolire un’opera prima di ottenere la
concessione per realizzarla nuovamente".
Nonostante l’autorevolezza di tali precedenti,
il Collegio ritiene di non doversi discostare dai principi affermati con la
sentenza di questa Sezione n. 2506 del 18 ottobre 2004.
Il d.P.R.
n. 380/2001 (come già, in precedenza, la legge n. 47/1985), infatti, ha
predisposto una disciplina puntuale ed esaustiva della sanatoria in materia
edilizia, tale da non ammettere spazi residui che consentano di affermare, in
via interpretativa, la sopravvivenza della cd.
"sanatoria giurisprudenziale".
Il permesso in sanatoria è, pertanto,
un provvedimento tipico la cui applicazione non può che essere specificamente
disciplinata dalla normativa e ammessa solo entro i limiti delineati dal
legislatore, senza che sia possibile, da parte dell’Amministrazione,
l’esercizio di un potere di sanatoria che vada oltre detti limiti.
La norma dettata
dall’articolo 36
del d.P.R. n. 380/2001 non è, quindi, estensibile al
di fuori dei presupposti (la cd. "doppia
conformità") da essa delineati.
Per quanto concerne le motivazioni
fatte proprie dall’orientamento favorevole alla cd.
"sanatoria giurisprudenziale", riassumibili nel rilievo
dell’incongruenza di un provvedimento che imponga la demolizione di opere di cui dovrebbe poi essere autorizzata la (ri)costruzione, si ribadisce come tali considerazioni non
risultino persuasive in ragione dell’appartenenza degli atti in parola a
distinti procedimenti amministrativi: il procedimento di rilascio del permesso
in sanatoria e quello, connesso ma autonomo, in cui si estrinseca l’attività sanzionatoria dell’Amministrazione.
Deve, pertanto, riaffermarsi che la
sanatoria di un’opera non conforme allo strumento urbanistico vigente al
momento della sua esecuzione rappresenterebbe una forzatura inaccettabile della
disciplina in materia (nonché dei principi
dell’ordinamento in tema di sanatoria di attività illecite in generale), senza
che ciò pregiudichi le autonome determinazioni che l’Amministrazione
riterrà di adottare nell’esplicazione dell’attività sanzionatoria
riferita all’abuso.
In conclusione, nel caso in esame,
considerando che la stessa ricorrente ammette la non conformità dell’intervento
allo strumento urbanistico vigente al momento della sua esecuzione, ne deriva
l’esito necessariamente negativo della verifica di "doppia
conformità" che inibisce il rilascio del permesso di costruire in
sanatoria.
4) E’ parimenti infondato il secondo motivo di ricorso, dedotto in
via subordinata, riferito al presunto difetto di motivazione del provvedimento
impugnato.
Ritiene il Collegio che il
provvedimento oggetto del gravame contenga
un’esposizione sufficientemente chiara dei presupposti di fatto e delle ragioni
giuridiche ritenute ostative alla concessione della sanatoria (riassumibile con
la formula sintetica dell’insussistenza della "doppia conformità) che non
è inficiata per effetto dell’omesso richiamo alla normativa regionale in
materia.
Il motivo, pertanto, deve essere
disatteso.
5) Appare, invece, condivisibile e
meritevole di accoglimento il terzo motivo del gravame
che è riferito alla sola ordinanza di demolizione e con il quale se ne censura
la carenza assoluta di motivazione.
In linea di principio, infatti, il
provvedimento che irroga la sanzione demolitoria di opere edilizie realizzate in difformità dal
titolo autorizzativo è atto vincolato che non
necessita di particolare motivazione circa l’interesse pubblico ad applicare la
sanzione.
Esso, pertanto, sarà sufficientemente
motivato mediante la descrizione degli interventi abusivi e il richiamo alle
disposizioni che si ritengono violate, essendo l’interesse alla rimozione
dell’abuso in re ipsa.
In casi particolari, però, l’Amministrazione è tenuta a motivare compiutamente il
provvedimento sanzionatorio, onde dimostrare l’attualità
dell’interesse a ripristinare la situazione di fatto antecedente l’esecuzione
delle opere.
Ciò avviene, ad esempio, nel caso in
cui la situazione del privato si sia consolidata per
effetto dell’inerzia protrattasi nel tempo dell’Amministrazione:
in tale caso, non sarà sufficiente un corredo motivazionale che renda ragione
della mera illegittimità dell’opera, ma dovrà anche essere dimostrato che
persiste l’interesse pubblico a ricondurre la situazione di fatto alle
previsioni urbanistiche.
Ad analoghe conclusioni deve
pervenirsi nel caso di intervento edilizio che, in
contrasto con lo strumento urbanistico vigente al momento della sua esecuzione,
risulti però conforme alle previsioni del piano regolatore adottato al momento
della presentazione della domanda.
In quest’ultimo
caso, l’interesse alla riduzione in pristino non può esser sui contenuti dei
provvedimenti finali ed appare pertanto inidonea a falsare gli stessi, atteso
che le scelte operate dall’Amministrazione
risultano fondate esclusivamente sull’autonoma
valutazione dell’abuso edilizio e non tengono in alcun conto il parere
erroneamente riportatofatto coincidere con la
constatazione dell’originaria violazione della legalità e l’Amministrazione dovrà offrire adeguata dimostrazione
della sussistenza di un prevalente interesse pubblico alla rimozione
dell’intervento, divenuto conforme alle previsioni del nuovo strumento
urbanistico.
In conclusione, l’Amministrazione era tenuta, nel caso di specie, a
supportare l’esercizio dell’attività sanzionatoria
con uno specifico apparato motivazionale atto a rendere palesi le ragioni
sottese all’interesse alla demolizione, nonostante l’intervenuta conformità
dell’opera.
L’omissione di tale onere
motivazionale determina l’illegittimità del provvedimento impugnato.
6) Per completezza di motivazione, ci
si sofferma sull’ultimo motivo di ricorso, nuovamente riferito a entrambi i provvedimenti impugnati.
Deduce la ricorrente il travisamento
dei presupposti fattuali, atteso che nel preambolo
dei provvedimenti si fa menzione del parere contrario espresso dalla
Commissione edilizia comunale, mentre, come dimostrato in atti, la Commissione
non espresse alcun parere, ritenendo di doversi astenere, salvo le valutazioni
favorevoli alla sanatoria formulate da uno dei suoi
componenti.
La censura non può essere condivisa,
ritenendosi che l’evidente errore in cui è incorsa l’Amministrazione abbia valenza di mero errore
materiale e non abbia contribuito a determinare il contenuto dei provvedimenti
finali, fondati su argomentazioni che prescindono del tutto dalla
considerazione del parere della Commissione edilizia.
In altre parole, l’erronea
considerazione del presupposto operata dall’Amministrazione
non risulta effettivamente proiettata, nel caso di
specie.
Il che appare ancor più vero qualora
si consideri che il parere contrario avrebbe comunque
richiesto l’esternazione delle ragioni considerate ostative alla sanatoria.
Il motivo è, quindi, privo di pregio.
7) In conclusione, e in conseguenza
dell’accoglimento del terzo motivo del ricorso, deve
essere disposto l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 11/05 del 15
febbraio 2005.
Il ricorso, invece, deve essere
respinto per quanto concerne la domanda di annullamento
del provvedimento in data 24 gennaio 2005 di diniego della sanatoria.
Sussistono giusti motivi per disporre
la compensazione delle spese del grado di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale
per il Piemonte, prima sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in
epigrafe, lo accoglie parzialmente, nei limiti specificati in motivazione, e,
per l’effetto, dispone l’annullamento dell’ordinanza 15 febbraio 2005, n.
11/05, prot. n. 3055.
Respinge la domanda di annullamento del provvedimento 24 gennaio 2005, prot. 1711.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in
Torino nella camera di consiglio del 20 aprile 2005.
IL PRESIDENTE L’ESTENSORE
f.to. Gomez de Ayala F.to R. Goso
il Direttore di segreteria
f.to M. Luisa Cerrato
Soave
Depositata in segreteria a sensi di
legge il 20 aprile 2005