Penale
Coltivare piante da marijuana è reato finchè non viene dimostrata l’ assenza di effetto drogante e quindi l’ offensività della condotta Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, sentenza n.32949/2005
Coltivare piante da marijuana è reato finchè
non viene dimostrata l’assenza di effetto drogante e
quindi l’offensività della condotta
Suprema Corte di Cassazione, Sezione
Quarta Penale, sentenza n.32949/2005 (Presidente: R.
Olivieri; Relatore: M. Battisti)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il giudice per l’udienza preliminare
del Tribunale di Ivrea, con sentenza del 22 novembre
2001, assolveva perché il fatto non costituisce reato I. C.
dall’imputazione di detenzione di 3 piante di canapa indiana, contenenti mg.
291 di THC, fatto accertato in S. Giusto Canadese sino al 20
luglio 2000.
Il g.i.p., rilevava che, nel caso di specie, si era di
fronte non ad una coltivazione tecnico agraria, ma ad una coltivazione
domestica, la quale equivale alla detenzione e che, non essendovi alcuna prova
che la detenzione fosse destinata allo spaccio, doveva ritenersi destinata
all’uso personale, donde il proscioglimento.
Se così non fosse, aggiungeva il g.i.p., si porrebbe il problema di
legittimità costituzionale sotto il profilo della irragionevole disparità di
trattamento tra la coltivazione di modesta entità e la detenzione di modesta
quantità, entrambe destinate all’uso personale, punibile la prima e non
punibile la seconda.
Il procuratore della Repubblica
ricorre per cassazione denunciando erronea applicazione della legge penale e
manifesta illogicità della motivazione.
Deduce che: la distinzione tra
coltivazione domestica e coltivazione tecnico agraria
non è autorizzata dall’art.73 d.p.r. 309/1990, il
quale, inoltre, non legittima la sussistenza della c.d. coltivazione domestica
nella detenzione, che, a ben vedere, è la coltivazione che sussume
la detenzione e non viceversa; la sentenza è in contrasto con la giurisprudenza
della corte di cassazione, la quale afferma che la coltivazione è reato di
pericolo astratto per la cui configurabilità non rilevano ne
la quantità, ne la qualità delle piante; la Corte Costituzionale,
con sentenza 24 luglio 1995, n. 360,
ha già risolto, dichiarandola infondata, la questione di
legittimità costituzionale prospettata nella sentenza impugnata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato.
Secondo un indirizzo della
giurisprudenza della corte di cassazione, ricordato
dal ricorrente, la coltivazione di piante di canapa indiana integra un reato di
pericolo astratto.
La coltivazione non autorizzata di
piante dalle quali sono estraibili sostanze
stupefacenti o psicotrope, attività distinta dalla produzione, costituisce
reato di pericolo astratto, per la cui configurabilità non rilevano la qualità
e la quantità delle piante, la loro effettiva tossicità, la quantità di
sostanza drogante da esse estraibile (Cass. 21 aprile 1998, n. 4696, rv. 211060).
E, ancora: la coltivazione di piante
di canapa indiana integra un reato di pericolo astratto per la cui
configurabilità non rilevano la quantità e la qualità delle piante, la loro
effettiva tossicità o la quantità di sostanza drogante da esse estraibile,
trattandosi di fattispecie volta a vietare la produzione di specie vegetali
idonee a produrre l’agente psicotropo, indipendentemente dal principio attivo
estraibile (Cass., 1
dicembre 2004, n. 46529, rv. 230571; conformi, rv. 211060, 216215, 221527, 229311; contra,
217258, 218692, 229366).
Ove, peraltro, si volesse tenere
conto del temperamento che introduce una parte della giurisprudenza, la quale,
dopo avere riaffermato che la qualità delle piante ed, in particolare, il grado
di tossicità della stessa potrà avere rilievo solo ai fini della considerazione
della gravità del reato e della commisurazione della pena, aggiunge che solo
laddove risulti l’assenza o l’insufficienza di effetto
drogante della sostanza coltivata è consentito escludere l’offensività della condotta, configurandosi così il reato
impossibile previsto dall’art. 49 c.p. (Cass., 6
febbraio 2004, n. 4386, Felsini, rv.
229366; conformi, rv. 217258, 218692, 221527), nella
specie risulta della stessa sentenza impugnata che le
piantine contenevano mg. 291 di THC, donde anche la accertata
offensività della condotta.
Ne può dirsi che si ponga una
questione di legittimità costituzionale se le norme degli artt. 73 e 75 d.p.r.
n. 309/1990, l’art. 73 punisce, tra le altre, la condotta di coltivazione e
l’art. 75 non include la coltivazione tra le condotte per le quali sia
invocabile la non punibilità per essere destinato lo stupefacente all’uso
personale, vengono così interpretate.
Come, infatti, ha sottolineato
il ricorrente, la
Corte Costituzionale è già stata investita dalla questione e,
con sentenza del 24 luglio 1995, n. 360, l’ha dichiarata infondata sul
presupposto che nella coltivazione difetta il nesso di immediatezza con l’uso
personale e ciò giustifica un possibile atteggiamento di maggior rigore
rientrando nella discrezionalità del legislatore anche la scelta di non
agevolare comportamenti propedeutici all’approvvigionamento di sostanze
stupefacenti per uso personale.
È da escludere, dunque, sia che possa
configurarsi la c.d. coltivazione domestica sussumibile nella detenzione, sia,
conseguentemente, che a questa giuridicamente inesistente coltivazione
domestica possa applicarsi la norma dell’art. 75 d.p.r. n. 309/1990.
Ciò premesso, la sentenza deve essere
annullata con rinvio.
PQM
La Corte di Cassazione annulla la
sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello
di Torino.
Roma, 23 febbraio 2005.
Depositata in Cancelleria l’8 settembre 2005.