Tributario e Fiscale
Circolari IRES/5. Il nuovo regime di tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria. Decreto Legislativo 12 dicembre 2003, n. 344. Agenzia delle Entrate CIRCOLARE N. 52 del 10.12.2004
Circolari IRES/5. Il nuovo regime di tassazione dei redditi diversi di natura
finanziaria. Decreto Legislativo 12 dicembre 2003, n. 344. Agenzia delle
Entrate CIRCOLARE N. 52 del 10.12.2004
INDICE
1.
Premessa
2.
La nuova definizione di capital gain
nell’ambito dei redditi diversi di natura finanziaria
2.1
Ambito soggettivo
2.2
Ambito oggettivo
2.2.1
Plusvalenze derivanti dalla cessione di
partecipazioni qualificate
2.2.2
Plusvalenze assimilate a quelle realizzate
mediante cessione di partecipazioni qualificate
2.2.2.1
Cessione di strumenti finanziari
2.2.2.2
Cessione di contratti di associazione
in partecipazione e cointeressenza
2.2.3
Plusvalenze derivanti dalla cessione di titoli
e strumenti finanziari esteri
2.2.4
Casi particolari
2.2.5
Plusvalenze realizzate mediante cessione di
partecipazioni non qualificate
2.2.6
Plusvalenze assimilate a quelle realizzate mediante cessione di partecipazioni non
qualificate
3.
Modalità di determinazione del capital gain
3.1
Plusvalenze derivanti dalla cessione di
partecipazioni qualificate
3.1.1
Partecipazioni in società residenti in Stati o
territorio a fiscalità privilegiata
3.2
Plusvalenze derivanti dalla cessione di
partecipazioni non qualificate
4.
Modalità di applicazione
dell’imposta sul capital gain
5.
Plusvalenze realizzate da soggetti non residenti
6.
Entrata in vigore e regime transitorio
1. Premessa
Il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n.
344, recante la riforma dell’imposta sul reddito delle
società (IRES), in attuazione della legge delega 7 aprile 2003, n. 80, ha
apportato rilevanti modifiche al regime fiscale dei redditi diversi di natura
finanziaria.
In particolare, in
attesa della omogeneizzazione dell’imposizione su tutti i redditi di natura
finanziaria secondo i principi dettati dall’articolo 3, comma 1, lettera d),
della citata legge delega, sono state modificate le disposizioni degli articoli
81 e 82 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), ora confluite
negli articoli 67 e 68 del TUIR secondo la numerazione risultante dalle
modifiche apportate dal medesimo D.Lgs. n. 344 del
2003.
Tali modifiche discendono, altresì,
dall’attuazione della disposizione di cui all’articolo 3, comma 1, lettera c),
n. 5), della legge delega laddove è prevista l’inclusione parziale
nell’imponibile degli utili percepiti e delle plusvalenze realizzate su partecipazioni
societarie qualificate al di fuori dall’esercizio di
impresa, al fine di attenuare la doppia imposizione economica.
Inoltre, l’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. n. 344 del 2003 ha apportato
le opportune modifiche di coordinamento a talune disposizioni del decreto
legislativo 21 novembre 1997, n. 461 concernenti la tassazione dei redditi
diversi di natura finanziaria derivanti dal possesso di partecipazioni
qualificate e non, con particolare riferimento al regime della dichiarazione e
al regime del risparmio amministrato.
2. La nuova definizione di
capital gain nell’ambito dei redditi diversi di natura finanziaria
Per effetto delle modifiche
apportate dal decreto legislativo n. 344 del 2003 al testo unico delle imposte
sui redditi, la disciplina delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo
oneroso di partecipazioni, titoli o diritti che attribuiscono il diritto di
acquistare partecipazioni (cosiddetto "capital
gain") è contenuta negli articoli 67 e 68 del TUIR.
2.1 Ambito
soggettivo
Le fattispecie che danno luogo a redditi
diversi di natura finanziaria sono elencate nell’articolo 67 del TUIR, laddove
è specificato che sono tali "se non costituiscono redditi di capitale
ovvero sono conseguiti nell’esercizio di arti e
professioni e di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in
accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente".
Pertanto, possono essere possessori dei predetti redditi diversi:
– le persone fisiche residenti, purché
il reddito non sia conseguito nell’esercizio di attività
d’impresa, arti o professioni o in qualità di lavoratore dipendente;
–
le società semplici e i soggetti ad essi equiparati ai
sensi dell’articolo 5 del TUIR;
– gli enti non commerciali di cui
all’articolo 73, comma 1, lettera c), del TUIR, se l’operazione da cui deriva
il reddito non è effettuata nell’esercizio di impresa
commerciale;
– le persone fisiche, le società e gli
enti di ogni tipo, non residenti, senza stabile
organizzazione nel territorio dello Stato, quando il reddito si considera
prodotto nel medesimo territorio ai sensi dell’articolo 23 del TUIR;
– le persone fisiche, le società e gli
enti di ogni tipo, non residenti, con stabile
organizzazione nel territorio dello Stato, se il reddito è prodotto nel
territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 23 del TUIR al di fuori dalla
stabile organizzazione.
In sostanza, quindi, le novità introdotte
dal decreto legislativo n. 344 del 2003 in materia di tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria non hanno
modificato l’ambito soggettivo entro il quale le fattispecie elencate
nell’articolo 67 costituiscono redditi diversi.
Con particolare riferimento agli enti non
commerciali residenti appare opportuno precisare che
l’articolo 3, comma 1, lettera a), della legge delega n. 80 del 2003, ha
previsto l’inclusione di tali enti tra i soggetti dell’imposta sul reddito
(IRE). Tuttavia, il legislatore delegato ha ritenuto di non recepire
immediatamente tale principio ed ha stabilito che gli enti non commerciali
siano ancora ricompresi tra i soggetti a cui si applica l’imposta sul reddito
delle società (IRES), in linea generale, con l’aliquota del 33 per cento sul
reddito imponibile formato dalla sommatoria delle diverse categorie reddituali
individuate dal testo unico, compresi i redditi diversi.
In merito a tale argomento, si fa presente
inoltre che l’articolo 2, comma 4, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, abrogando il
comma 2 dell’articolo 12 del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, ha
soppresso la riduzione alla metà dell’aliquota IRES per le fondazioni bancarie.
Tale disposizione si applica a decorrere dal periodo di imposta
in corso alla data del 12 luglio 2004, data di entrata in vigore del citato
decreto-legge n. 168 del 2004.
Come accennato, il nuovo regime fiscale
dei redditi diversi di natura finanziaria si inserisce
nell’ambito di un quadro normativo basato sul principio di inclusione parziale
nell’imponibile degli utili percepiti e delle plusvalenze realizzate su
partecipazioni societarie, finalizzato alla riduzione degli effetti di doppia
imposizione economica.
A completamento del predetto quadro
normativo occorre inoltre considerare che è stata
prevista l’esenzione delle plusvalenze (e l’irrilevanza delle minusvalenze)
realizzate dai soggetti passivi dell’IRES, dalle società di persone e dalle
persone fisiche titolari di reddito d’impresa – cosiddetta "participation
exemption" – allorché si verifichino i requisiti previsti dall’articolo
87, comma 1, lettere da a) a d), del TUIR.
L’istituto della participation exemption
non si applica alle persone fisiche, ad eccezione dell’ipotesi in cui si tratti
di titolari di reddito d’impresa, per effetto del rinvio alle disposizioni dell’articolo 87 contenuto nell’articolo 58, comma 2, del
TUIR; in questo caso, tuttavia, l’esenzione delle plusvalenze è limitata al 60
per cento del loro ammontare.
Si fa presente, infine, che la disciplina
prevista per il capital gain si applica altresì in caso di cessione di
partecipazioni ricevute a seguito del conferimento
dell’unica azienda da parte dell’imprenditore individuale, per effetto di
quanto specificamente previsto dall’articolo 175, comma 4, del TUIR.
Tale disposizione prevede, infatti, che
"Qualora il conferimento abbia ad oggetto l’unica azienda
dell’imprenditore individuale, la successiva cessione delle partecipazioni
ricevute a seguito del conferimento, è disciplinata
dagli articoli 67, comma 1, lettera c) e 68 assumendo come costo delle
partecipazioni il valore attribuito alle stesse ai sensi del presente
articolo".
Come si ricorda, l’articolo 3, comma 3,
del decreto legislativo 8 ottobre 1997, n. 358 (ora abrogato dall’articolo 3,
comma 1, del D.Lgs. n. 344
del 2003) prevedeva che, qualora il conferimento avesse ad oggetto l’unica
azienda dell’imprenditore individuale, la cessione delle partecipazioni
ricevute a seguito del conferimento si considerava effettuata nell’esercizio
d’impresa ed era fatta salva l’applicazione dell’articolo 16, comma 1, lettera
g), del TUIR, concernente la tassazione separata delle plusvalenze realizzate
mediante cessione a titolo oneroso di aziende, sussistendone i presupposti con
riferimento alla data del conferimento. La cessione delle partecipazioni, effettuata oltre i tre anni dal conferimento, era invece disciplinata
dagli articoli 81, comma 1, lettere c) e c-bis), e 82 del TUIR.
L’applicazione delle imposte sostitutive
previste nell’ambito del regime del capital gain si rendevano applicabili alle
cessioni delle partecipazioni ricevute a seguito del conferimento soltanto se
esse erano effettuate oltre i tre anni dalla data del
conferimento, applicandosi il regime ordinario di dismissione dell’impresa nel
primo triennio dal conferimento, onde evitare che la norma potesse prestarsi ad
essere invocata per assicurarsi il più vantaggioso regime di imposizione sul
capital gain.
Ciò premesso, il nuovo articolo 175, comma
4, del TUIR, nel riproporre la disciplina del conferimento dell’unica azienda e
della successiva cessione delle partecipazioni ricevute a seguito del
conferimento medesimo, ne prevede, comunque, la
tassazione secondo il regime del capital gain, assumendo come costo delle
partecipazioni il valore attribuito alle stesse ai sensi del medesimo articolo
175, anche se la cessione delle partecipazioni avviene nel corso del triennio.
In particolare, considerato che sono
richiamati gli articoli 67, comma 1, lettera c), e 68 del TUIR, il trattamento
riservato a tali trasferimenti è sempre quello relativo alla
cessione di partecipazioni qualificate, non risultando più possibile far
rientrate tale operazione nell’ambito delle cessioni di partecipazioni non
qualificate – ricomprese nella lettera c-bis) dell’articolo 67 del TUIR.
Nella sostanza, quindi, il legislatore ha
inteso attribuire alla cessione delle partecipazioni in argomento l’analogo
trattamento che sarebbe stato riservato alle stesse se
il cedente avesse mantenuto la figura di imprenditore. Infatti,
per la persona fisica esercente attività d’impresa le plusvalenze derivanti
dalla cessione di partecipazioni immobilizzate concorrono alla formazione del
reddito nella stessa misura del 40 per cento stabilita dall’articolo 67, comma
1, lettera c), del TUIR per le persone fisiche non imprenditori.
2.2 Ambito
oggettivo
Il trattamento tributario delle
plusvalenze realizzate da persone fisiche non imprenditori è
differenziato a seconda che le stesse derivino o meno da partecipazioni che si
possono definire qualificate ai sensi di quanto disposto dall’articolo 67,
comma 1, lettera c), del TUIR.
2.2.1 Plusvalenze derivanti dalla
cessione di partecipazioni qualificate
La nuova formulazione dell’articolo 67,
comma 1, lettera c), del TUIR – confermando quanto previsto dal previgente
articolo 81, comma 1, lettera c) – considera cessioni di partecipazioni
qualificate le cessioni a titolo oneroso di azioni,
diverse dalle azioni di risparmio, e di ogni altra partecipazione al capitale o
al patrimonio di:
– società di persone ed equiparate
residenti nel territorio dello Stato di cui all’articolo 5 del TUIR (ad esclusione delle associazioni tra artisti e professionisti);
– società ed enti
commerciali residenti nel territorio dello Stato (art. 73, comma 1, lettere a)
e b), del TUIR);
– società ed enti non residenti nel
territorio dello Stato (art. 73, comma 1, lett. d), del TUIR), nel cui ambito
sono compresi anche le associazioni tra artisti e professionisti e gli enti non
commerciali.
Come già chiarito nella circolare n. 165/E
del 24 giugno 1998 di commento alla riforma della tassazione dei redditi di
natura finanziaria attuata dal decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461,
sono considerate cessioni a titolo oneroso le compravendite (sia a pronti che a
termine) e le permute; inoltre, ai sensi dell’articolo 9, comma 5, del TUIR, ai
fini delle imposte sui redditi, le medesime disposizioni relative
alle cessioni a titolo oneroso (e quindi il regime del capital gain) si
applicano anche agli atti che importano costituzione o trasferimento di diritti
reali di godimento e ai conferimenti in società. In particolare, i conferimenti
in società sono infatti considerati atti realizzativi
soggetti alla disciplina del capital gain se posti in essere da soggetti
diversi dagli esercenti attività d’impresa.
Tuttavia permane
l’agevolazione consistente nella neutralità delle operazioni di permuta e
conferimento di partecipazioni in società residenti in Stati membri della
Comunità Europea realizzate ai sensi degli articoli 178, comma 1, lettera e), e
179, comma 4, del TUIR. Si tratta, come noto, di permute e conferimenti di azioni o quote mediante i quali si acquisisce o si
integra una partecipazione di controllo in una delle predette società estere
ovvero di permute e conferimenti effettuati nell’ambito di operazioni di
fusione, scissione e scambio di partecipazioni tra società residenti in Italia
e società residenti in altri Stati europei.
Si fa presente, inoltre, che i rimborsi
ricevuti dai soci nei casi di cui all’articolo 47, comma 7, del TUIR, ossia a
seguito di recesso, di esclusione, di riscatto e di
riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale di
società ed enti danno luogo a redditi di capitale (in particolare utili) e non
a redditi diversi, in quanto le lettere c) e c-bis) del predetto articolo 67,
comma 1, non comprendono, tra i presupposti di realizzo delle plusvalenze, il rimborso
di partecipazioni.
Tuttavia, occorre tener presente che il
citato articolo 47, comma 7, del TUIR fa riferimento al recesso tipico che
comporta l’annullamento delle azioni o quote, compreso il caso in cui il
rimborso venga effettuato previo acquisto delle azioni
o quote da parte della società utilizzando gli utili e le riserve disponibili
anche in deroga ai limiti previsti dall’articolo 2357, terzo comma, del codice
civile, per l’acquisto di azioni proprie.
Pertanto, come già
precisato nella circolare n. 26/E del 16 giugno 2004, emanata per illustrare il
nuovo regime fiscale dei dividendi introdotto per effetto della riforma
dell’imposizione sul reddito delle società, qualora il recesso avvenga con
modalità diverse, ossia mediante acquisto da parte degli altri soci in
proporzione alle loro partecipazioni, oppure da parte di un terzo (cfr. art. 2437-quater, commi 1 e 4, del codice civile, per le
S.p.A. e art. 2473, comma 4, dello stesso codice, per le S.r.l.), si configura
un’ipotesi che va inquadrata più propriamente nell’ambito degli atti produttivi
di redditi diversi di natura finanziaria, semprechè si tratti di cessioni a
titolo oneroso (cfr. par. 3.1 della predetta circolare
n. 26/E).
Ciò premesso, è noto che costituisce
"cessione di partecipazioni qualificate" la cessione a titolo oneroso
di partecipazioni, titoli e diritti che rappresentino una percentuale superiore
al 2 o al 20 per cento dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea
ordinaria, ovvero al 5 o al 25 per cento del capitale o del patrimonio, a
seconda che si tratti, rispettivamente, di titoli negoziati in mercati
regolamentati italiani o esteri o di altre
partecipazioni.
Si ricorda che la nozione di "mercati
regolamentati" comprende non solo la borsa ed il mercato ristretto, ma ogni altro mercato disciplinato da
disposizioni normative; più specificamente, si intende far riferimento ai
mercati regolamentati di cui al testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria (TUIF) approvato con decreto legislativo 24
febbraio 1998, n. 58, nonchè a quelli di Stati appartenenti all’OCSE,
istituiti, organizzati e disciplinati da disposizioni adottate o approvate
dalle competenti autorità in base alle leggi in vigore nello Stato in cui detti
mercati hanno sede.
Essendo il criterio della partecipazione
al capitale o al patrimonio e quello dei diritti di voto fra loro alternativi,
affinché una cessione di partecipazione possa essere considerata qualificata è
sufficiente che sia integrato anche uno soltanto di tali due criteri.
Pur non costituendo vere
e proprie partecipazioni, per stabilire se sia stata superata la percentuale
minima di partecipazione o di diritti di voto, si deve tener conto anche dei
titoli o dei diritti attraverso cui possono essere acquisite partecipazioni
qualificate (ad esempio: warrants di sottoscrizione e di acquisto, opzioni di
acquisto di partecipazioni, diritti d’opzione di cui agli articoli 2441 e
2420-bis del codice civile, obbligazioni convertibili).
Pertanto, si può verificare un’ipotesi di
cessione di partecipazione qualificata anche nel caso in cui vengano
ceduti soltanto titoli o diritti che, autonomamente considerati (o che insieme
alle altre partecipazioni cedute), rappresentino una percentuale di diritti di
voto e di partecipazione superiori ai limiti indicati.
Al fine di individuare le percentuali di
diritti di voto e di partecipazione, la nuova
formulazione dell’articolo 67, comma 1, lettera c), del TUIR conferma che
occorre cumulare le cessioni effettuate nell’arco di dodici mesi. Pertanto, in
occasione di ogni cessione si devono considerare tutte
le cessioni effettuate dal medesimo contribuente che hanno avuto luogo nei
dodici mesi dalla data di essa, anche se ricadenti in periodi d’imposta
diversi.
L’applicazione della regola che impone di
tener conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi è tuttavia subordinata alla condizione che il
contribuente possieda, almeno per un giorno, una partecipazione superiore alle
percentuali sopra indicate.
Conseguentemente, fintanto che il
contribuente non possieda una partecipazione qualificata, tutte le cessioni
effettuate nel corso dei dodici mesi, anche se complessivamente superiori alle
predette percentuali per effetto di reiterate operazioni di acquisto
e di vendita, non possono considerarsi cessioni di partecipazioni qualificate.
Per contro, dal momento in cui sia stata superata, come possesso, una delle predette
percentuali, le cessioni effettuate nei dodici mesi successivi sono considerate
cessioni di partecipazioni qualificate (se a loro volta sono superiori alle
percentuali stesse) e ciò fino a quando non siano trascorsi dodici mesi dal
momento in cui il possesso della partecipazione da parte del contribuente sia
sceso al di sotto della percentuale prevista dalla norma.
Pertanto, qualora il contribuente, dopo
aver effettuato una prima cessione non qualificata,
ponga in essere, nell’arco di dodici mesi dalla prima cessione, altre cessioni
che comportino il superamento delle percentuali di diritti di voto o di
partecipazione, per effetto della predetta regola del cumulo, si realizza una
cessione di partecipazione qualificata.
In altri termini, in sede di
dichiarazione, si deve tener conto nella determinazione del reddito complessivo
di tutte le plusvalenze realizzate in occasione di cessioni di partecipazioni
considerate qualificate.
In tal caso si ritiene che l’imposta
sostitutiva del 12,50 per cento corrisposta fino al superamento delle
percentuali possa essere detratta in sede di presentazione della dichiarazione
dei redditi, in quanto, come verrà meglio specificato,
le plusvalenze derivanti da partecipazioni qualificate concorrono a determinare
il reddito complessivo del contribuente, seppure in misura limitata al 40 per
cento.
Ai fini della identificazione
della natura della partecipazione, qualificata o non qualificata, si evidenzia
che la riforma del diritto societario, attuata con decreto legislativo 17
gennaio 2003, n. 6, fornisce talune nuove indicazioni rilevanti sotto il
profilo fiscale. Ci si riferisce, in particolare, alla disciplina delle nuove
tipologie di azioni e altri strumenti finanziari, che
possono avere riflessi in materia di imposizione dei redditi diversi di natura
finanziaria.
In particolare, l’articolo 2346, comma 4,
del codice civile dispone che "A ciascun socio è assegnato un numero di azioni proporzionale alla parte del capitale sociale
sottoscritta e per un valore non superiore a quello del suo conferimento".
Tuttavia, il medesimo comma stabilisce che "L’atto costitutivo può
prevedere una diversa assegnazione delle azioni" fermo restando che,
secondo quanto disposto dal successivo comma 5, "In nessun caso il valore
dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale".
Pertanto, l’assegnazione delle azioni
avviene in linea di principio in proporzione ai conferimenti effettuati.
Tuttavia, semprechè venga rispettato il principio
della copertura integrale del capitale sociale, l’atto costitutivo può
stabilire una diversa assegnazione delle azioni che non rispetti la regola
della proporzionalità tra conferimenti e azioni; un socio può, quindi, ricevere
meno azioni rispetto a quanto conferito, mentre un altro socio ne può riceverne
in misura maggiore al proprio conferimento.
Tale disposizione appare dettata dalla esigenza di tener conto degli apporti di utilità che
non possono formare oggetto di conferimenti veri e propri (come ad esempio
prestazioni di fare o di non fare, il consenso all’uso del nome, etc.).
Ai fini fiscali, in caso di cessione di azioni acquisite sulla base di un conferimento non
proporzionale – al fine di verificare la natura qualificata o meno della
partecipazione ceduta – occorre far riferimento in ogni caso alla percentuale
di capitale sociale ovvero di diritti di voto nell’assemblea ordinaria
assicurata dalla partecipazione ceduta.
Si osserva inoltre, con riferimento alla
società a responsabilità limitata, che l’articolo 2468, comma 3, del codice
civile consente che, nell’atto costitutivo delle S.r.l.,
siano attribuiti a singoli soci particolari diritti amministrativi riguardanti
l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili. Sulla base di tale previsione, quindi, sono possibili
clausole contrattuali che riservino a uno o più soci percentuali degli utili
disancorate dalla misura della partecipazione, oltre che – per quanto attiene
ai particolari diritti amministrativi – la possibilità di nomina degli
amministratori o di veto su determinati atti gestori.
Anche in tal
caso, nonostante i diritti di voto potrebbero non essere proporzionali al
capitale posseduto e al diritto agli utili, si ritiene che si debba fare
riferimento alla percentuale di capitale sociale o di diritti di voto
esercitabili nell’assemblea ordinaria assicurati dalla partecipazione ceduta.
Infine, occorre tener presente che
l’articolo 2351, comma 3, del codice civile stabilisce che: "Lo statuto
delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale può prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso
soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o disporre
scaglionamenti."
Al riguardo, si ritiene che, al fine di
determinare la natura qualificata o meno delle azioni con voto limitato o
scaglionato, occorrerà far riferimento alla effettiva
percentuale di diritti di voto assicurata globalmente da tali partecipazioni.
Anche in tali ipotesi si deve comunque tener presente
che se la partecipazione supera, nell’arco di dodici mesi, sulla base delle
regole di "scaglionamento" dei diritti di voto indicate nello statuto
della società, la percentuale indicata dalla lettera c), comma 1, del predetto
articolo 67, la relativa cessione rientra nell’ambito oggettivo di applicazione
di tale disposizione.
2.2.2 Plusvalenze assimilate a
quelle realizzate mediante cessione di partecipazioni
qualificate
A norma dell’articolo
67, comma 1, lettera c), ultimo periodo, nn. 1) e 2), del TUIR, sono
assimilate alle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni
qualificate quelle realizzate mediante la cessione di:
1) strumenti finanziari di cui alla
lettera a), comma 2, dell’articolo 44 quando non
rappresentano una partecipazione al patrimonio;
2) contratti di associazione
in partecipazione e cointeressenza di cui alla lettera f), comma 1,
dell’articolo 44 qualora il valore dell’apporto sia superiore al 5 per cento o
al 25 per cento del valore del patrimonio netto contabile alla data di stipula
del contratto secondo che si tratti di società i cui titoli sono negoziati in
mercati regolamentati o di altre partecipazioni;
3) contratti di cui alla medesima
lettera f), comma 1, dell’articolo 44 qualora il
valore dell’apporto sia superiore al 25 per cento della somma delle rimanenze
finali e del costo complessivo dei beni ammortizzabili, al netto dei relativi
ammortamenti, nel caso in cui l’associante determini il reddito in base alle
disposizioni di cui all’articolo 66 del TUIR (imprese minori).
2.2.2.1
Cessione di strumenti finanziari
La riforma del diritto societario prima
citata ha introdotto la previsione di nuovi strumenti finanziari per mezzo dei
quali le società raccolgono i mezzi necessari per lo svolgimento dell’attività
sociale.
Tali particolari strumenti rispondono
all’esigenza di acquisizione di apporti patrimoniali
di soci o di terzi anche nel caso in cui tali apporti, non potendo formare
oggetto di conferimento, non sono imputabili a capitale sociale.
Trattasi, in particolare, degli strumenti
finanziari partecipativi emessi anche a seguito dell’apporto di
opere o servizi ai sensi dell’articolo 2346, comma 6, del codice civile,
degli strumenti finanziari emessi a seguito degli apporti effettuati a favore
di patrimoni destinati ad uno specifico affare di cui all’articolo 2447-ter,
comma 1, lettera e), del codice civile, e degli strumenti finanziari che
condizionano l’entità del rimborso del capitale all’andamento economico delle
società di cui all’articolo 2411, comma 3, del codice civile.
Come già chiarito nel
paragrafo 2.2 della circolare del 16 giugno 2004, n. 26/E, i proventi
degli strumenti finanziari non sono qualificabili come "utili" da
partecipazione per il fatto che essi non sottendono una partecipazione al
capitale o al patrimonio della società emittente nel senso richiesto dalla
lettera e), comma 1, dell’articolo 44 del TUIR.
Tuttavia, per effetto dell’assimilazione
alle azioni degli strumenti finanziari italiani di natura partecipativa ad opera della lettera a), comma 2, del medesimo articolo 44
del TUIR, la partecipazione al patrimonio va intesa, con riferimento ai
predetti strumenti, come diritto alla restituzione del capitale apportato.
L’assimilazione alle partecipazioni trae
conforto anche dal disposto del comma 1 dell’articolo 27
del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 secondo cui i proventi derivanti dai
predetti strumenti finanziari devono essere assoggettati alla ritenuta a titolo
d’imposta del 12,50 per cento, ogniqualvolta il valore dell’apporto non sia
superiore al 5 per cento o al 25 per cento del valore del patrimonio netto contabile
risultante dall’ultimo bilancio approvato dalla società emittente.
La stessa disposizione contenuta
nell’articolo 67, comma 1, lettera c), del TUIR, infine, considera come
cessione di partecipazione qualificata la cessione di strumenti finanziari
assimilati alle azioni "quando non rappresentano
una partecipazione al patrimonio".
Attuata in linea di principio
l’assimilazione degli strumenti in esame alle partecipazioni, occorre
considerare i presupposti in presenza dei quali la
cessione di strumenti finanziari di natura partecipativa può dar luogo alla
cessione di una partecipazione qualificata. Le conclusioni sono diverse a
seconda che tali strumenti trovino o meno
contropartita in un apporto di capitale.
Nel primo caso, essendo il diritto alla
restituzione dell’apporto di capitale equiparabile ad un diritto di
partecipazione al patrimonio, per quanto si è appena precisato, si configurerà
una cessione di partecipazione qualificata soltanto se il valore dell’apporto
sia superiore al 5 o al 25 per cento del patrimonio netto contabile della
società emittente, secondo che le relative partecipazioni siano o meno quotate, qualora il valore dell’apporto sia pari o
inferiore al 25 per cento della somma delle rimanenze finali e del costo
complessivo dei beni ammortizzabili, al netto dei relativi ammortamenti, nel
caso in cui l’associante determini il reddito in base alle disposizioni di cui
all’articolo 66 del TUIR (imprese minori).
3. Modalità di determinazione del
capital gain
L’articolo 68 del TUIR contiene le
disposizioni relative alla determinazione dei redditi
derivanti dalla cessione di partecipazioni.
Rispetto al contenuto del previgente articolo 82 del TUIR, una rilevante novità è costituita
dalla modalità di determinazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di
partecipazioni qualificate e di quelle ad esse assimilate ai sensi
dell’articolo 67, comma 1, lettera c), del TUIR, che saranno ampiamente
esaminate nei paragrafi successivi.
La disciplina previgente
Come noto, l’articolo 82, commi 3 e 4, del
TUIR nel testo in vigore alla data del 31 dicembre 2003, poneva
l’obbligo di distinguere i redditi diversi di natura finanziaria in due diverse
masse. Nella prima massa erano destinate a confluire soltanto plusvalenze e minusvalenze
derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate di cui alla lettera c),
comma 1, del previgente articolo 81 del TUIR. Nella seconda massa confluivano,
invece, le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalla cessione a titolo
oneroso di partecipazioni non qualificate di cui alla lettera c-bis), comma 1,
del medesimo articolo, nonchè quelle derivanti dalla cessione di titoli non
partecipativi, certificati, valute, metalli preziosi, crediti pecuniari e altri
strumenti finanziari dagli altri redditi diversi di
natura finanziaria elencati nelle successive lettere da c-ter) a c-quinquies).
I redditi diversi di natura finanziaria,
così classificati, prima della riforma in commento, non erano soggetti alle
imposte sui redditi ordinarie, ma ad un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi ad aliquota proporzionale. Base di
commisurazione dell’imposta sostitutiva era il risultato ottenuto effettuando la somma algebrica dei componenti positivi e
negativi di reddito riconducibili in ciascuna delle due masse sopra
individuate.
Sulla prima massa l’imposta sostitutiva
era applicata con l’aliquota del 27 per cento, mentre sulla seconda massa
l’aliquota era del 12,50 per cento.
Nel caso in cui, all’interno di ciascuna
delle due predette masse, l’ammontare delle minusvalenze (o perdite) fosse superiore a quello delle plusvalenze (o redditi)
l’eccedenza era portata in deduzione, fino a concorrenza, dalle plusvalenze dei
periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quarto, a condizione che tale
situazione venisse distintamente indicata per le due masse nella dichiarazione
dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui essa si era verificata.
Per effetto di questa distinzione, le
minusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate (quelle cioè della prima massa) non potevano essere portate in
deduzione dalle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non
qualificate, nonchè dai redditi derivanti dagli altri redditi diversi di natura
finanziaria (quelli cioè della seconda massa) e viceversa.
La nuova disciplina
Le disposizioni relative
alla determinazione delle plusvalenze indicate nell’articolo 67, comma1,
lettere c), c-bis) e c-ter) sono ora confluite nel comma 6 dell’articolo 68 del
TUIR.
Così come era
previsto nel comma 5 del previgente articolo 82 del TUIR, le plusvalenze
relative alla cessione di partecipazioni sono costituite dalla differenza tra il
corrispettivo percepito (ovvero la somma percepita o il valore dei beni
rimborsati), ed il costo (ovvero il valore d’acquisto), aumentato di ogni onere
inerente alla sua produzione (bolli e altre imposte indirette, commissioni,
spese notarili, ecc), con l’esclusione degli interessi passivi.
La determinazione del costo o
valore di acquisto
Con riferimento all’individuazione del
costo cui contrapporre il corrispettivo ai fini della determinazione delle
plusvalenze o minusvalenze, si riassumono le seguenti precisazioni, rinviando
per un quadro maggiormente dettagliato, alla citata circolare n. 165/E del
1998.
Il costo di acquisto
dei titoli partecipativi deve intendersi comprensivo anche dei versamenti in
denaro o in natura, a fondo perduto o in conto capitale, nonchè della rinuncia
ai crediti vantati nei confronti della società da parte dei soci o
partecipanti.
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 47,
comma 5, del TUIR, sono portati in diminuzione del valore di acquisto
le somme ed il valore normale di beni ricevuti dai soci di società soggette
all’IRES, a titolo di ripartizione di riserve o altri fondi costituiti con
sovrapprezzi di emissione di azioni o quote, con interessi di conguaglio
versati dai sottoscrittori di nuove azioni o quote, con versamenti fatti dai
soci a fondo perduto o in conto capitale o e con saldi di rivalutazione
monetaria esenti da imposta.
Il costo unitario di acquisto
di azioni, quote od altre partecipazioni acquisite a seguito di delibere di
aumento gratuito di capitale è determinato, per espressa disposizione del
predetto comma 6 dell’articolo 68, ripartendo il costo originario sul numero
complessivo delle azioni quote o partecipazioni di compendio; vale a dire
quelle acquistate prima dell’aumento e quelle acquistate dopo.
Relativamente alle
partecipazioni nelle società indicate nell’articolo 5 del TUIR, il vigente
comma 6 dell’articolo 68 del TUIR prevede per tutti i tipi di società personali
(ivi comprese quelle immobiliari e finanziarie) che, ai fini della
determinazione delle plusvalenze o delle minusvalenze il costo o valore
d’acquisto deve essere aumentato o diminuito dei redditi e delle perdite
imputate al socio e che dal costo si scomputano, fino a concorrenza dei redditi
già imputati, gli utili distribuiti al socio.
Si ricorda che la corrispondente
disposizione contenuta nell’articolo 82, comma 5, del TUIR, in vigore fino al
31 dicembre 2003, riservava tale criterio per la determinazione del costo delle
partecipazioni nelle società indicate nell’articolo 5, ma
diverse da quelle immobiliari e finanziarie.
Come noto, la finalità della disposizione
in esame è evidentemente quella di evitare che i redditi già tassati e le
perdite già dedotte possano essere tassati (o nel caso di perdite dedotte)
nuovamente in sede di cessione della partecipazione.
Tenuto conto della finalità della norma,
si ritiene che detto criterio trovi ora applicazione anche in caso di cessione
di quote di partecipazione in società che abbiano
optato per il regime di trasparenza fiscale di cui agli articoli 115 e 116 del
TUIR.
Nel caso di acquisto
per successione si assume come costo di acquisto il valore definito o, in
mancanza, quello dichiarato agli effetti di tale imposta. Per i titoli esenti
dal tributo successorio si assume come costo il valore normale alla data di apertura della successione.
Al riguardo, tenuto conto della
soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni operata per effetto
dell’articolo 13 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, si ricorda che per le
successioni aperte successivamente alla data di
entrata in vigore della predetta legge (25 ottobre 2001) si deve assumere come
costo il costo sostenuto dal de cuius.
Ciò, in quanto, il
mancato assoggettamento ad imposta sulle successioni fa venir meno il
presupposto per consentire una "rivalutazione" della
partecipazione ereditata (cfr. circolare n. 91/E del
18 ottobre 2001).
Nel caso di acquisto
per donazione il contribuente deve assumere il costo del donante e, cioè,
quello che il donante avrebbe assunto come costo o valore di acquisto se,
invece di donare l’attività finanziaria di cui abbia il possesso l’avesse
ceduta a titolo oneroso.
Inoltre, nell’ipotesi di
attività finanziarie per le quali è stata presentata la dichiarazione di
emersione (cosiddetto "scudo fiscale") di cui al decreto-legge 25
settembre 2001, n. 350, convertito dalla legge 23 dicembre 2001, n. 409, in
mancanza del costo di acquisto, può essere assunto l’importo indicato nella
dichiarazione stessa (cfr. circolare n. 99/E del 4
dicembre 2001).
Infine, si fa presente che, ai fini della
determinazione del costo di partecipazioni detenute
alla data del 1 luglio 1998, si continuano ad applicare i criteri indicati
nelle disposizioni di carattere transitorio di cui all’articolo 14 del decreto
legislativo n. 461 del 1997 ovvero quelli di cui all’articolo 5 della legge 28
dicembre 2001, n. 448 che hanno consentito di rideterminare il valore d’acquisto di partecipazioni in società non quotate (cfr. da ultimo la Circolare n. 35/E del 4 agosto 2004).
3.1 Plusvalenze derivanti dalla
cessione di partecipazioni qualificate
Per effetto delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 344 del 2003 al comma 3
dell’articolo 68 del TUIR, il 40 per cento delle plusvalenze derivanti dalla
cessione di partecipazioni qualificate, e quelle ad esse assimilate, sommato
algebricamente al 40 per cento delle relative minusvalenze, concorre a formare
il reddito complessivo.
L’eventuale eccedenza delle minusvalenze,
determinate nella misura del 40 per cento, è riportata in deduzione, fino a
concorrenza del 40 per cento dell’ammontare delle plusvalenze della stessa
specie realizzate nei periodi successivi, ma non oltre il quarto, a condizione
che siano state indicate nella dichiarazione dei redditi relativa
al periodo d’imposta nel quale le minusvalenze stesse sono state
realizzate.
Naturalmente, in assenza di plusvalenze,
le minusvalenze non possono essere portate in deduzione di altri
redditi che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente.
In sostanza, quindi, le plusvalenze e le
minusvalenze realizzate per effetto della cessione a titolo oneroso di
partecipazioni qualificate ed assimilate, continuano ad essere assoggettate a
tassazione in maniera distinta e separata rispetto agli altri redditi diversi
di natura finanziaria.
Tuttavia, innovando rispetto alla
precedente disciplina, l’articolo 2 del D.Lgs. n. 344 del 2003 – abrogando il comma 1, dell’articolo 5 del
D.Lgs. n. 461 del 1997 – ha soppresso l’imposta
sostitutiva del 27 per cento prevista nella precedente disciplina.
Pertanto, tali plusvalenze concorrono alla
determinazione del reddito complessivo e la base imponibile è costituita dal 40
per cento del loro ammontare.
Conseguentemente, le plusvalenze relative alla cessione di partecipazioni qualificate, dal
momento che concorrono alla formazione del reddito complessivo, sono ora
assoggettate anche alle addizionali regionali e comunali.
3.1.1 Partecipazioni in società
residenti in Stati o territorio a fiscalità privilegiata
In deroga ai criteri ordinari di
determinazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni
qualificate, il comma 4 dell’articolo 68 stabilisce che concorrono
integralmente a formare il reddito complessivo del contribuente le plusvalenze relative a partecipazioni in società residenti in Paesi o
territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro
dell’Economia e delle Finanze emanato ai sensi dell’articolo 167, comma 4, del
TUIR.
In particolare, si tratta di
partecipazioni qualificate in società o enti residenti o localizzati in Stati o
territori elencati nella cosiddetta "black list" ed individuati nel
D.M. 21 novembre 2001.
In linea generale, quindi, le plusvalenze
derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate in società residenti in
detti Paesi o territori concorrono nella misura del 100 per cento alla
formazione del reddito del socio residente.
Così come previsto ai fini della tassazione
degli utili distribuiti dagli stessi soggetti esteri, le predette plusvalenze
sono parzialmente escluse da tassazione in Italia (nel limite del 60 per cento)
solo se relative a società che risiedono in uno Stato a fiscalità ordinaria.
In ogni caso, a norma dello stesso comma 4
dell’articolo 68, nonostante la partecipazione sia relativa ad un soggetto
residente in uno Stato o territorio a fiscalità privilegiata, è possibile
dimostrare, tramite interpello da inoltrare all’Agenzia delle Entrate, che dal
possesso delle partecipazioni qualificate non sia conseguito
l’effetto di localizzare i redditi nello Stato o territorio a fiscalità
privilegiata.
Tale dimostrazione deve essere fornita
presentando preventivamente istanza d’interpello
all’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio
2000, n. 212, e secondo le modalità di cui al comma 5, lettera b), del predetto
articolo 167.
L’esercizio dell’interpello può essere effettuato da qualsiasi soggetto possessore della partecipazione,
anche se diversa dalle partecipazioni di controllo e di collegamento, con le
medesime modalità previste dalla disciplina sulle CFC. Infatti,
l’articolo 68, comma 4, del TUIR stabilisce che l’esercizio dell’interpello
avviene "secondo le modalità del comma 5, lettera b), dello stesso
articolo 167" lasciando intendere che l’ambito dei soggetti che possono
esercitare l’interpello è più ampio di quello ordinariamente previsto dalla
disciplina sulle CFC (soggetti che detengono il controllo o il collegamento del
soggetto partecipato estero – articoli 167 e 168 del TUIR).
Alla luce di quanto appena esposto appare
assolutamente rilevante poter determinare con certezza lo Stato o territorio di
residenza delle società partecipate.
Nel caso di una società situata in un
Paradiso fiscale che trasferisca la propria residenza in un Paese non incluso nella black list prima della cessione della partecipazione
qualificata, il socio italiano cedente può sottoporre ad imposizione il 40 per
cento del relativo reddito, a condizione che si sia effettivamente perfezionato
il requisito della residenza in detto Paese.
A tal fine, si deve
tener conto delle regole specificamente previste per l’acquisizione della
residenza stabilite dal diritto interno di ciascuno dei Paesi.
In molti casi, non è sufficiente il mero
trasferimento della sede sociale effettuato
immediatamente prima della cessione della partecipazione, essendo rilevante il
mantenimento nel tempo del trasferimento stesso o dell’effettivo svolgimento
dell’attività principale per la maggior parte del periodo d’imposta.
Resta in ogni caso salva la possibilità di
contestare i fenomeni di trasferimento della residenza
che possono riflettersi sul trattamento fiscale della cessione della
partecipazione, in applicazione della norma antielusiva generale di cui
all’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.
3.2 Plusvalenze derivanti dalla
cessione di partecipazioni non qualificate
Con riferimento al trattamento fiscale
delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate,
le disposizioni in commento non hanno apportato modifiche alla previgente
disciplina.
Pertanto, continua ad essere previsto che
sono sommate algebricamente le plusvalenze e le minusvalenze di cui alle
lettere c-bis) dell’articolo 67, derivanti dalla cessione a titolo oneroso di
partecipazioni non qualificate e di quelle assimilate, con le plusvalenze e le
minusvalenze di cui alle lettere da c-ter) a c-quinquies) del medesimo
articolo.
Si tratta, in particolare di tener conto
anche delle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione a titolo
oneroso ovvero dal rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di
certificati di massa, di quote di partecipazione ad organismi d’investimento
collettivo, di metalli preziosi allo stato grezzo o monetato e dalla cessione a
termine di valute estere o rivenienti da depositi e conti correnti (lett.
c-ter), nonchè dei redditi e delle perdite derivanti da contratti derivati
(lett. c-quater) e delle plusvalenze e altri proventi derivanti dalla cessione
di crediti pecuniari, di contratti produttivi di redditi di capitale e di
strumenti finanziari e, infine, dei proventi costituiti dai differenziali positivi dei contratti aleatori (lett. c-quinquies).
Nel caso in cui all’interno della massa
così formata, l’ammontare delle minusvalenze (o perdite) sia
superiore a quello delle plusvalenze (o redditi), l’eccedenza è portata in
deduzione, fino a concorrenza, dalle plusvalenze della stesse specie dei
periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quarto, a condizione che tale
situazione sia evidenziata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo
d’imposta in cui essa si è verificata.
Sulle plusvalenze di cui alle lettere da
c-bis) a c-quinquies), del comma 1 dell’articolo 67, determinate secondo le
modalità descritte, è rimasta ferma l’applicazione dell’imposta sostitutiva
delle imposte sui redditi nella misura del 12,50 per
cento a norma dell’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 21 novembre 1997,
n. 461.
4. Modalità di applicazione
dell’imposta sul capital gain
Come già accennato, l’articolo 2, comma 2,
del D.Lgs. n. 344 del 2003,
ha abrogato il comma 1 dell’articolo 5 del D.Lgs. n.
461 del 1997 – che prevedeva l’applicazione dell’imposta sostitutiva nella
misura del 27 per cento sulle plusvalenze derivanti da partecipazioni
qualificate.
Pertanto, tali redditi devono concorrere
alla formazione del reddito complessivo nella misura
del 40 per cento, prevista dall’articolo 68, commi 3 e 4, del TUIR, in sede di
presentazione della dichiarazione annuale dei redditi.
Le plusvalenze derivanti da cessioni di
partecipazioni non qualificate continuano, invece, ad essere indicate
separatamente nella dichiarazione dei redditi e sulle stesse continua ad
applicarsi l’imposta sostitutiva nella misura del 12,50 per cento.
Tale imposta deve essere versata con le
modalità previste per il versamento delle imposte sui redditi dovute a saldo in
base alla dichiarazione dei redditi. Tuttavia, come noto, per le plusvalenze
derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate, nonchè per gli
altri redditi diversi di natura finanziaria di cui alle lettere da c-ter) a
c-quinquies) del comma 1 dell’articolo 67, in alternativa
al regime dichiarativo, è prevista la possibilità di optare per l’applicazione
dell’imposta sostitutiva del 12,50 per cento tramite intermediari abilitati,
evitando in tal modo al contribuente la redazione della dichiarazione
relativamente a tali redditi.
In particolare, i regimi alternativi
rispetto a quello ordinario della dichiarazione dei redditi sono:
– il regime del risparmio amministrato,
disciplinato dall’articolo 6 del D.Lgs. n. 461 del 1997, caratterizzato dalla tassazione ad opera di
intermediari abilitati, dietro specifica opzione da parte del contribuente, in
base al realizzo dei redditi diversi di natura finanziaria. Tale regime prevede
la possibilità di compensare le plusvalenze con le minusvalenze precedentemente conseguite presso lo stesso intermediario e
di riportare a nuovo le eccedenze negative;
– il regime del risparmio gestito,
disciplinato dall’articolo 7 del D.Lgs. n. 461 del 1997, caratterizzato dalla tassazione ad opera di
un intermediario abilitato, dietro specifica opzione da parte del contribuente,
sulla base del principio della maturazione dei redditi.
Tale regime prevede: l’imputazione al
patrimonio gestito sia dei predetti redditi diversi di natura finanziaria sia
dei redditi di capitale; la determinazione algebrica del risultato netto
assoggettabile all’imposta sostitutiva da parte dell’intermediario, con conseguente
compensazione tra componenti positivi (redditi di
capitale, plusvalenze e altri redditi diversi) e negativi (minusvalenze e
spese); l’esclusione dal risultato di gestione dei redditi che concorrono a
formare il reddito complessivo, dei redditi esenti e di quelli soggetti a
ritenuta d’imposta o ad imposta sostitutiva.
Tali regimi opzionali comportano
l’esclusione dal monitoraggio fiscale, sia interno che esterno, assicurando in
tal caso al contribuente l’anonimato.
Si ricorda che entrambi i regimi,
amministrato e gestito, non prevedono la possibilità di includere le
plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate, le quali
rimangono soggette in via esclusiva al regime della dichiarazione dei redditi.
Pertanto, l’opzione
per tali regimi non può essere esercitata e, se esercitata, perde effetto,
qualora siano superate le percentuali previste dalla lettera c) del comma 1
dell’articolo 67 del TUIR, tenendo conto di tutte le partecipazioni, titoli e
diritti complessivamente posseduti dal contribuente, comprese quelle detenute
nell’ambito di rapporti di risparmio amministrato e di risparmio gestito. In
tal caso, l’opzione non ha effetto limitatamente alle
partecipazioni per le quali si è verificato il suddetto superamento (cfr. C.M.
n. 165/E del 1998, paragrafi 3.3.7 e 3.4).
5. Plusvalenze realizzate da
soggetti non residenti
Ai fini della imponibilità
dei redditi diversi di natura finanziaria realizzati da soggetti non residenti,
si ricorda che l’articolo 23, comma 1, lettera f), del TUIR stabilisce che si
considerano in ogni caso prodotti nel territorio dello Stato le plusvalenze
derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate in
società residenti.
La stessa disposizione ha stabilito
tuttavia che la presunzione assoluta di territorialità non opera per le
plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni non
qualificate di cui alla lettera c-bis) dell’articolo 67
del TUIR, se queste sono negoziate nei mercati regolamentati. Tale esclusione
si rende applicabile a prescindere dal luogo in cui le partecipazioni siano
detenute.
La non imponibilità nel territorio dello
Stato riguarda anche le cessioni di diritti o titoli attraverso cui possono
essere acquisite le predette partecipazioni, a
condizione che siano anch’essi negoziati in mercati regolamentati.
Al fine di poter usufruire della predetta
previsione di non imponibilità la qualità di "soggetto non residente"
deve essere documentata mediante una dichiarazione da parte dell’interessato,
in forma libera, con firma non autenticata, nella quale il soggetto interessato
dichiari di non essere residente in Italia secondo le
disposizione della normativa fiscale italiana in materia di imposte
dirette (cfr. circolare n. 207/E del 26 ottobre 1999).
Inoltre, occorre tener presenti le
disposizioni contenute nell’articolo 5, comma 5, del D.Lgs.
n. 461 del 1997 che prevedono un apposito regime di
non imponibilità per le plusvalenze e i redditi indicati nelle lettere da c-bis)
a c-quinquies) dell’articolo 67 del TUIR, e quindi per tutti i redditi diversi
derivanti da operazioni finanziarie, con esclusione delle plusvalenze derivanti
da cessioni a titolo oneroso di partecipazioni qualificate.
Tale regime – a differenza della non
imponibilità prevista dall’articolo 23 del TUIR – non si applica a tutti i
soggetti non residenti, bensì soltanto ai soggetti che risiedono in Stati che
consentano un adeguato scambio di informazioni
con le Autorità fiscali italiane. Tali Stati sono indicati nel decreto
ministeriale 4 settembre 1996 e nelle successive modifiche ed integrazioni
(cosiddetta "white list").
Per poter usufruire della non imponibilità
prevista dall’articolo 5, comma 5, del D.Lgs. n. 461 del 1997, i soggetti non residenti devono presentare
un’autocertificazione che può essere redatta secondo lo schema indicato nel
decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 12 dicembre 2001 ovvero
contenere gli elementi in esso indicati.
Si ricorda che possono usufruire di tale
regime anche gli investitori istituzionali esteri costituiti in uno di tali
Paesi e gli enti ed organismi internazionali costituiti in base ad accordi resi esecutivi in Italia, nonchè tutte le banche centrali e
gli organismi che gestiscono le riserve ufficiali di Stati esteri.
Rimane comunque
ferma la possibilità di applicare le disposizioni contenute nelle Convenzioni
per evitare le doppie imposizioni vigenti in Italia. Pertanto, quando i
predetti accordi bilaterali prevedono la tassazione esclusiva del capital gain
relativo ad attività finanziarie nel Paese di residenza dell’alienante,
tali redditi possono essere esentati in Italia a prescindere dai
requisiti richiesti dalle normative interne sopra illustrate. In tali casi,
qualora il sostituto applichi direttamente le disposizioni Convenzionali, dovrà
acquisire un certificato di residenza fiscale rilasciato dall’Amministrazione
competente dello Stato di residenza dell’alienante.
6. Entrata in vigore e regime
transitorio
L’articolo 4 del D.Lgs.
n. 344 del 2003 fissa in linea generale l’entrata in
vigore delle disposizioni in esso contenute dal 1 gennaio 2004, fatta eccezione
per specifiche norme i cui effetti decorrono dal periodo d’imposta che ha
inizio da tale data.
Pertanto, ai redditi diversi di natura
finanziaria percepiti dalle persone fisiche non esercenti attività d’impresa,
le disposizioni commentate nei paragrafi precedenti si applicano dal 1 gennaio
2004.
Inoltre la relazione di accompagnamento
al D.Lgs. n. 344 del 2003 precisa che: "per le
cessioni di partecipazioni effettuate in data antecedente l’entrata in vigore
della Riforma il cui corrispettivo è incassato dopo tale data si applicano le
nuove disposizioni".
Conseguentemente, nel caso in cui
l’attività finanziaria sia stata ceduta antecedentemente al 1 gennaio 2004 ma il corrispettivo non sia stato ancora percepito,
alle relative plusvalenze si applica il nuovo regime.
Nell’ipotesi di pagamento dilazionato,
alle somme incassate dal 1 gennaio 2004 si applica il nuovo regime, anche se le
relative plusvalenze sono state realizzate in data antecedente.
Occorre infine tener presente che
l’articolo 4, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 344 del 2003 prevede che l’eventuale eccedenza delle
minusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate, ancora non
utilizzate alla fine del periodo d’imposta in corso al 2003, può essere portata
in deduzione dalle future plusvalenze nella stessa misura del 40 per cento. Al
riguardo, si precisa che, stante la finalità della predetta disposizione la
quale tiene conto della circostanza che le plusvalenze derivanti da
partecipazioni qualificate sono ora imponibili in misura parziale, qualora la
plusvalenza concorra integralmente alla formazione del reddito imponibile (in
quanto relativa a partecipazioni in società residenti in Paesi inclusi nella black list), l’eccedenza delle minusvalenze pregresse
potrà essere utilizzata in misura integrale.
Si fa presente, infine, che l’eventuale
eccedenza di minusvalenze relative alla cessione di
partecipazioni non qualificate, ancora non utilizzate alla fine del periodo
d’imposta in corso al 2003, può essere portata in deduzione delle relative
plusvalenze dei periodi successivi, ma non oltre il quarto, in misura
integrale.