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Ci sarà pur una causa di nullità del decreto di citazione a giudizio in appello…
La Suprema Corte, con la sentenza resa dalla Seconda Sezione penale, ud. 24 settembre 2021 (dep. 17 novembre 2021), n. 42000, è chiamata ad esprimersi in relazione ad una vicenda dalla genesi alquanto particolare.
Il caso. Il decreto di citazione a giudizio, notificato a mezzo PEC al difensore ed all’imputato, era stato inviato non al difensore nominato ma ad un suo omonimo.
Con atto successivo il Presidente delle Corte d’Appello di Salerno procedeva al differimento del dibattimento e disponeva procedersi alle notifiche che, questa volta, avvenivano presso l’indirizzo telematico effettivamente rispondente al difensore nominato.
La difesa eccepiva in Cassazione la nullità del provvedimento di differimento dell’udienza, identificandolo quale vocatio in judicium, e quindi quale necessariamente contenente i requisiti previsti dall’articolo 429 c.p.p. a pena di nullità.
La risposta della Corte di Cassazione. I Supremi Giudici traendo spunto dalla questione sollevata dalla difesa, si impegnano in una ricostruzione delle caratteristiche che deve possedere il decreto di citazione a giudizio previsto e normato dall’articolo 601 c.p.p. che merita d’essere analizzata.
L’articolo 429 c.p.p. indica quali requisiti necessari a pena di nullità quelli portati dalle lettere a) generalità dell’imputato e le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private, con l’indicazione dei difensori, c) ovvero l’enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge ed f) cioè l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora della comparizione, con l’avvertimento all’imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia
L’articolo 601 comma 3 c.p.p., che svolge identica funzione rispetto alla norma appena indicata con riferimento al giudizio di appello, recita: “il decreto di citazione per il giudizio di appello contiene i requisiti previsti dall’articolo 429, comma 1, lettere a), f), g), nonché l’indicazione del giudice competente. Il termine per comparire non può essere inferiore a venti giorni.”
Ed al comma 6 prevede “Il decreto di citazione è nullo se l’imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l’indicazione di uno dei requisiti previsti dall’articolo 429, comma 1, lettera f)”
Il Legislatore ha inteso dunque eliminare dal novero delle cause di nullità solo ed esclusivamente quella portata dalla lettera c) dell’articolo 429 del codice di rito posto che, versandosi in grado di appello, l’enunciazione del fatto in forma chiara e precisa doveva essere già stata ampiamente effettuata e resa nei confronti dell’imputato.
Per vero detta enunciazione ai sensi della CEDU dovrebbe essere effettuata e resa sin dal primo momento in cui il soggetto attinto da pretesa penale assume la veste di indagato.
Permane la necessità che l’imputato sia identificato in modo certo (ovvero senza possibilità di confusione alcuna) e che sia indicato giorno, luogo ed ora della comparizione.
In claris non fit interpretatio si insegnava un tempo ma….
La Corte ci dice ed indica che non sempre, anzi verrebbe da dire con un pizzico di latente malizia, quasi mai è così se è vero che è sufficiente che vi sia univoco riferimento al processo ricavabile anche da quanto trascritto “nella parte in alto a sinistra” dell’atto notificato ove “erano stati trascritti sia il numero di RG che il nominativo dell’imputato” (indicato con il solo cognome) “posto che si tratta di elementi che, complessivamente considerati, consentivano senz’altro al destinatario di individuare sia l’imputato che il procedimento che, ancora, il luogo ed il giorno del processo e, perciò, al decreto presidenziale di assolvere la sua funzione di vocatio in iudicium nel procedimento in grado di appello”.
Pacifico dunque, persino per i giudici, che l’atto non avesse le caratteristiche proprie richieste e previste dal Legislatore ma che, attraverso una sua finalistica lettura potesse essere in grado di raggiungere lo scopo prefissato.
Una sorta di principio di conservazione dell’atto, noto ai procedural penalisti, applicato contra reum.
Non solo, “non è causa di nullità del decreto di citazione l’omessa indicazione degli estremi della sentenza impugnata, in quanto requisito non richiamato dall’articolo 601 c.p.p., quando sia individuato con certezza l’oggetto del gravame” nel caso di appello introdotto dall’imputato
E neppure a tal fine “è rilevante la errata o omessa indicazione del collegio o della sezione” e neanche l’erronea indicazione dell’ufficio giudiziario innanzi al quale si terrà il giudizio, se dalle emergenze processuali risulti che l’imputato abbia avuto comunque conoscenza del luogo di comparizione effettivo, non determinandosi, in tale evenienza, alcuna lesione delle prerogative difensive”.
Neppure viene ritenuta causa di nullità del decreto di citazione in “appello l’omesso avvertimento all’imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia”.
Ed ancora, “anche per quanto concerne la mancata indicazione dell’orario di udienza va rilevato che si tratterebbe, in ogni caso, di nullità per taluno relativa”
Nullità in questo caso compiutamente e tempestivamente eccepita ma sulla quale i Giudici non prendono nel caso concreto posizione.
Se così stanno le cose è evidente come la nullità del decreto che dispone il giudizio di appello abbia la stessa natura dell’araba fenice.
Avv. Claudio Bossi