Penale

Thursday 07 October 2004

Chi frequenta un luogo dove prolifera lo spaccio di droga, e ne ha con sè alcune dosi, non può chiedere il risarcimento per ingiusta detenzione. Il suo arresto, però, è senz’ altro illegittimo. Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, sentenza

Chi frequenta un luogo dove prolifera lo spaccio di droga, e ne ha con sé
alcune dosi, non può chiedere il risarcimento per ingiusta detenzione. Il suo
arresto, però, è senz’altro illegittimo

Suprema Corte di Cassazione, Sezione
Quarta Penale, sentenza n.37664/2004

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – IV SEZIONE PENALE

SENTENZA

FATTO E DIRITTO

Con ordinanza in data 2/5/2003 la
Corte di Appello di Salerno ha rigettato l’istanza di
riparazione per ingiusta detenzione, subita da G. A. dal 20/12/2001 al 31/5/2002
per l’imputazione di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90, dalla quale era stato
dichiarato assolto perché il fatto non costituisce reato con sentenza del
Tribunale di Nocera Inferiore del
26/6/2002, divenuta irrevocabile.

La
Corte
di merito ha ritenuto la sussistenza della colpa grave quale causa di esclusione del diritto alla riparazione (art. 314, 1°
comma, c.p.p.), in quanto il G. non solo deteneva la sostanza stupefacente (che
comunque costituisce un illecito amministrativo), ma aveva con se tre dosi confezionate
separatamente, dalle quali erano ricavabili sette dosi, in zona che era ritrovo
abituale spacciatori e tossicodipendenti, per cui avrebbe dovuto considerare
che, se fosse stato controllato, si sarebbe potuto ragionevolmente ipotizzare
che la droga detenuta era destinata allo spaccio.

Il G., a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento con rinvio
dell’impugnata ordinanza per un unico motivo, assumendo che lo stato di
tossicodipendenza non può legittimare l’arresto, equiparandosi così il
tossicodipendente allo spacciatore.

La questione oggetto del presente
giudizio presenta profili di indubbio interesse, in
quanto pone i quesiti: se il mero stato di tossicodipendenza possa costituire
colpa grave, a norma dell’art. 314, 1° comma, c.p.p. per negare il diritto
dell’imputato prosciolto nel merito alla riparazione per l’ingiusta detenzione
sofferta per incolpazione attinente alle norme penali
sugli stupefacenti; in caso negativo, stante l’impossibilità di individuare una
completa casistica astratta, se le condotte concrete addebitate al ricorrente
legittimino il rigetto dell’istanza indennitaria.

In ordine al primo quesito, è noto che l’uso
personale delle sostanza stupefacenti ha costituito per il legislatore un
problema di non facile soluzione, dovendosi trovare un equilibrio sanzionatorio
tra il disvalore sociale dello stato di
tossicodipendenza, pur non assimilabile alle fattispecie penalmente rilevanti
previste dall’art. 73 D.P.R. 309/90, ed il principale obiettivo del recupero
del tossicodipendente.

Tale situazione, solo apparentemente
conflittuale, ha trovato attuazione nella disciplina dell’art. 75 decreto
citato, la cui definitiva espressione è quella derivata a seguito del
referendum abrogativo del 18/19 aprile 1993, a cui ha fatto seguito il D.P.R. 5/5/1993 n. 171.

Questo Collegio ritiene, comunque, che lo stato di tossicodipendenza, pur essendo
illecito amministrativo, non è di per se solo automaticamente sufficiente per
configurare la colpa grave a norma dell’art. 314, 1° comma, c.p.p..

La giurisprudenza, ormai costante di
legittimità, ritiene che il dolo o la colpa grave possono
concretarsi in comportamenti sia processuali (e non è il caso di specie), sia
di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la macroscopica
trascuratezza, e tenuti quindi, sia anteriormente che successivamente al
momento restrittivo della libertà personale (Cass. Sez.
Un. 13/12/1995, Sarnataro; Cass. 12/12/2001, Pavone).

Resta, però, la necessità che tali
condotte abbiano necessariamente incidenza causale
sull’emissione del provvedimento cautelare, e siano cioè tali, come
espressamente previsto dall’art. 314, 1° comma, c.p.p.,
da dare causa o concorrere a dare causa all’applicazione del provvedimento
restrittivo ovvero alla sua permanenza.

Non potendosi porre in discussione
tale principio, che costituisce il dato letterale e logico della
esclusione del diritto alla riparazione, è evidente che il mero stato di
tossicodipendenza, pur costituendo illecito amministrativo in caso di
importazione, acquisto o detenzione illecita di sostanze stupefacenti per uso
personale, non può da solo dare causa al provvedimento privativo della libertà
personale.

Trattandosi principalmente di uno
stato soggettivo non idoneo a trarre in inganno il giudice che deve applicare
la misura cautelare, ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza
previsti dall’art. 273 c.p.p.,
e soprattutto non concentrandosi in una manifestazione di grave trascuratezza
ovvero nella prospettazione di una situazione che faccia ritenere probabile la
realizzazione di una delle condotte penalmente rilevanti e previste dall’art.
73 D.P.R. 9/10/1990 m. 309, il mero stato di tossicodipendenza non può
considerarsi colpa grave.

È sufficiente sul punto indicare, ad
esempio, il caso del tossicodipendente che venga
trovato nella propria abitazione in possesso di una o due dosi di stupefacente.

È evidente che sussistono i
presupposti per ritenere l’illecito amministrativo di all’art.
75, ma è da escludere che si possa ritenere una condotta gravemente colpevole
che abbia causato l’applicazione di una misura cautelare quale la custodia in
carcere o gli arresti domiciliari.

Il caso specifico è, però, diverso da
come prospettato in ricorso, e soprattutto più particolareggiato, in quanto la Corte territoriale non ha
escluso il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione per il mero stato
di tossicodipendenza, ma per lo stato di
tossicodipendenza unitamente ad altre circostanze fattuali, le quali,
ricostruendo la situazione concreta quale si presentava al giudice che ha
applicato la misura cautelare al momento dei fatti, erano idonee a fare
ragionevolmente ritenere una detenzione finalizzata allo spaccio, e quindi
configurante una delle ipotesi penalmente rilevanti previste dal citato art.
73.

Il giudice di merito ha peraltro
distinto l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta
all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte
dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur
dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale, deve seguire un iter
logico- motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se
determinate condotte costituiscono o meno reato, ma se
queste si siano poste come fattore condizionante (anche nel corso dell’errore
altrui) alla produzione dell’evento detenzione; ed in relazione a tale aspetto
della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale
acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare
la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione, sia in senso positivo che
negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del
diritto alla riparazione (Cass. Sez. UN. 13/12/1995 Sarnataro).

Esaminando l’ordinanza impugnata, risulta evidente che la Corte di merito non ha assimilato il
tossicodipendente allo spacciatore, come sostenuto in ricorso, e certamente, se
lo avese fato il provvedimento si sarebbe dovuto
annullare, non spettando al giudice della riparazione di riformulare il
giudizio sulla ormai acclarata innocenza del ricorrente.

La
Corte
territoriale ha, invece, preso in considerazione vari elementi risultanti dal
procedimento penale, che, pur se non idonei ad una declaratoria di condanna,
avevano dato causa all’applicazione della misura restrittiva della libertà
personale, e cioè: lo stato di tossicodipendenza del
ricorrente; il possesso di sostanza stupefacente in luogo pubblico; il confezionamento in tre dosi dell’eroina; il quantitativo
corrispondente a sette dosi con effetto drogante; la circostanza che il G. si
era recato con tali dosi di eroina in un luogo ritrovo abituale di spacciatori
e tossicodipendenti.

Tali concrete circostanze hanno
indubbiamente dato causa al provvedimento restrittivo e concretano una condotta
altamente imprudente, che legittimamente può
ingenerare in chi deve decidere sulla richiesta cautelare del PM la convinzione
che sussistano gravi indizi di colpevolezza a norma dell’art. 273 c.p.p.

L’esito del giudizio penale non è (e
non potrebbe essere) scalfito dalle puntuali osservazioni della Corte di Appello di Salerno con l’ordinanza impugnata, avendo il
giudice di merito ricostruito, in base alle risultanze del procedimento penale,
la situazione di fatto con riferimento limitato al provvedimento restrittivo, e
non alla sentenza, valutazione interpretativa che non solo gli spettava, ma
alla quale era obbligato per la verifica dei presupposti per il riconoscimento
del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, ai sensi dell’art. 314
c.p.p.

In conclusione, il mero stato di
tossicodipendenza, senza altre circostanze concrete aggiuntive, non può
configurare il dolo o la colpa grave, quali cause di esclusione
del diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, a norma dell’art. 314,
comma 1°, c.p.p. non è, poi, possibile un’individuazione astratta dei
comportamenti del tossicodipendente che possano configurare quantomeno la colpa
grave ma ben può il giudice valutare il materiale probatorio acquisito nel
procedimento penale, al solo fine di individuare la sussistenza o meno dei
presupposti per il diritto alla riparazione, con riferimento al provvedimento
restrittivo della libertà personale.

In fine, la frequentazione da parte
del tossicodipendente di ambienti ritrovo di
spacciatori e di altri tossicodipendenti, in possesso di sostanza stupefacente
confezionata i dosi e in quantitativo non trascurabile, consente di configurare
colpa grave prevista dall’art. 314, 1° comma, c.p.p. per l’esclusione del diritto
alla riparazione, essendosi così realizzata una condotta che ha dato causa alla
custodia cautelare subita.

Il ricorso viene,
quindi, rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Roma, 2 luglio 2004.

Depositata in Cancelleria il 23
settembre 2004.