Lavoro e Previdenza
Caso Santoro-RAI: il giornalista si aggiudica anche il secondo round (la prima ordinanza è già stata pubblicata nel sito).
Casa Santoro-RAI: il giornalista si aggiudica anche il secondo round (la prima ordinanza è già stata pubblicata nel sito)
TRIBUNALE DI ROMA – II^ Sezione Lavoro
composto dai Sig.ri Mag.ti:
CORTESANI dott. Domenico Presidente
BLASUTTO dott.ssa Daniela Giudice rel.
LEONE dott.ssa Margherita Giudice
sul reclamo proposto ex art. 669 terdecies c.p.c. nel procedimento n. 92917 del Ruolo Misure Cautelari dell’anno 2002, vertente
TRA
RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA s.p.a., in persona del Direttore degli affari legali, Avv. Rubens Esposito (per procura institoria) elett.nte dom.ta in Roma, via Valnerina n. 40, presso lo studio dell’avv. Matteo Dell’Olio, che la rappresenta e difende, insieme all’avv. Oberdan Tommaso Scozzafava, per delega in calce alla copia notificata del ricorso ex art. 700 c.p.c.
RECLAMANTE
E
SANTORO Michele, elett.nte dom.to in Roma, viale Angelico n. 35, presso lo studio degli avv.ti Domenico d’Amati e Nicoletta d’Amati, che lo rappresentano e difendono per delega in calce al ricorso ex art. 700 c.p.c.
RECLAMATO
NONCHE’
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12
INTERVENIENTE
E
BALDASSARRE Antonio, ALBERTONI Ettore Adalberto e SACCA’ Agostino, tutti elett.nte dom.ti in Roma, via Valnerina n. 40, presso lo studio dell’avv. Matteo Dell’Olio, che li rappresenta e difende, insieme all’avv. Oberdan Tommaso Scozzafava, per deleghe in calce alla copia notificata del ricorso ex art. 700 c.p.c.
INTERVENIENTI
E
STADERINI Marco, elett.nte dom.to in Roma, Largo Messico n. 7, presso lo studio dell’avv. Carlo Mirabile, che lo rappresenta e difende per procura in atti
INTERVENIENTE
avverso l’ordinanza emessa in data 9 dicembre 2002 dal Tribunale di Roma, in funzione di giudice unico del lavoro; a scioglimento della riserva assunta all’udienza camerale del 13 febbraio 2003,
pronuncia la seguente
ORDINANZA………
La reclamante RAI muove dal rilievo che l’ordinanza impugnata, avendo identificato le mansioni da attribuire al Santoro in quelle di “realizzazione e conduzione di programmi televisivi di approfondimento dell’informazione di attualità”, l’avrebbe privata del diritto di adibire il ricorrente a mansioni equivalenti, mentre tale diritto non poteva esserle negato alla luce dell’art. 2103 c.c.. Onde identificare “in positivo” l’ambito di riferimento ai fini del giudizio di equivalenza, ha rimarcato la distinzione, che assume emergere dal tenore letterale del contratto di assunzione, tra un’attività da ritenere normale, individuabile nell’esercizio delle funzioni di Direttore giornalistico ad personam, e un’attività aggiuntiva e complementare, consistente nella realizzazione del programma Sciuscià e di altri speciali da programmare in prima serata, in relazione ai quali era stato convenuto un compenso aggiuntivo per ciascuna puntata effettivamente realizzata. Ad avviso della RAI, soltanto l’attività indicata come “normale” sarebbe suscettibile di venire in considerazione ai fini della equivalenza delle mansioni ex art. 2103 c.c..
Tale prospettazione non è condivisa dal Collegio. Essa muove da un presupposto in realtà insussistente, ossia che il contratto di assunzione avesse definito in concreto le mansioni assegnate al Santoro e prevedesse, quindi, la specificazione del contenuto “normale” delle mansioni allo stesso Santoro affidate. Al contrario, dalla chiara e inequivoca lettera del contratto, si rileva che alla identificazione della qualifica non fa seguito alcuna indicazione circa l’ambito delle mansioni (normali secondo la difesa della RAI) che avrebbero dovuto “riempire di contenuto” la formale qualifica di direttore giornalistico conferita con l’assunzione.
Giova in proposito richiamare l’art. 6 CNLG secondo cui “le facoltà del direttore sono determinate da accordi da stipularsi tra editore e direttore, tali, in ogni caso, da non risultare in contrasto con le norme sull’ordinamento della professione giornalistica e con quanto stabilito dal presente contratto…” Tale norma prevede che siano oggetto di accordo, tra l’altro, i profili riguardanti la linea politica, l’organizzazione e lo sviluppo dell’organo di informazione (cfr. art. 6, secondo comma, seconda parte). Tutto ciò è mancato nel caso di specie.
D’altronde, di tale genericità dà conto la stessa reclamante laddove ammette che “quanto alle mansioni, allora, il contratto era al limite, e forse oltre il limite, della nullità per indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto” (pag. 15 recl.). Nella prima fase del procedimento la RAI aveva pure osservato che l’attribuzione della qualifica di Direttore giornalistico ad personam era “funzionale a individuare soprattutto la sua retribuzione ed il suo status, e se mai in senso essenzialmente negativo le mansioni” (pag. 5 mem. cost.).
A fronte di tale carente espressa indicazione di mansioni ad opera delle parti contraenti, non possono non assumere rilievo, ai fini dell’interpretazione della loro comune volontà e, quindi, della determinazione dell’oggetto del contratto, tutti gli elementi di interpretazione sia oggettivi che soggettivi desumibili dagli atti; in tale secondo contesto, rileva segnatamente il comportamento delle parti sia anteriore che successivo alla conclusione dell’accordo, in ossequio ai criteri di ermeneutica contrattuale previsti dagli artt. 1362 e segg. c.c., dovendosi in particolare tenere presente che “nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno” (art. 1367 c.c.).
L’art. 1362 c.c. dispone, al primo comma, che “nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole” e, al secondo comma, che “per determinare la comune intenzione delle parti si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”.
Nell’ambito dei comportamenti anteriori, da valutare alla luce dei principi di correttezza e buona fede, assume sicuro valore interpretativo la delibera del Consiglio di Amministrazione della RAI dell’8.4.99, con la quale venne decisa, su proposta del Direttore Generale, l’assunzione del Santoro, con la motivazione che “la caratterizzazione e lo sviluppo dell’offerta televisiva di approfondimento informativo richiedono sempre più di avvalersi di consolidate professionalità”. Tale delibera fu preceduta dalla proposta del Direttore Generale, con il quale il Santoro aveva definito l’accordo del 27.3.99.
In proposito, oppone la reclamante che i riferimenti contenuti nella delibera consiliare all’”approfondimento informativo” e alla “consolidata professionalità” costituirebbero meri “motivi”, interni e unilaterali, irrilevanti ai fini dell’interpretazione del contratto.
L’assunto non è condivisibile. Come osservato dalla stessa Rai nella prima fase del procedimento (v. pag. 4 mem. cost.), i contatti intercorsi tra il Direttore Generale e il Santoro potevano costituire iniziative preparatorie o proposte non seguite da conforme accettazione o approvazione; si verte dunque nell’ambito di trattative, ossia di comportamenti certamente valutabili e rilevanti nel contesto di cui all’art. 1362 c.c.
La motivazione posta a base della delibera consiliare dell’aprile 1999 va dunque interpretata alla luce delle trattative anteriori – che certamente il Direttore Generale aveva il potere di condurre- , le quali consentono di connotare le espressioni sopra riportate in termini non di semplice “motivo” irrilevante, ma di elemento significativo di formazione e qualificazione della volontà della contraente RAI.
In tal senso interpretata, la volontà della RAI era poi conforme e coerente alla volontà espressa dallo stesso Santoro, in sede di trattative precontrattuali.
Così individuata la comune volontà dei contraenti, sottesa alla stipulazione del contratto di assunzione, risulta priva di validità, siccome avulsa dal reale contenuto dell’accordo tra le parti, la distinzione proposta dalla RAI nel giudizio cautelare tra un’attività “normale” e un’attività “speciale” o accessoria, la seconda asseritamente non idonea a concorrere con la prima ai fini dell’individuazione dell’alveo di riferimento di cui all’art. 2103 c.c. Invero, mentre l’attività che si assume essere “normale” secondo la tesi della RAI resterebbe comunque indeterminata, dovendo invece l’oggetto del contratto essere determinato o almeno determinabile (art. 1346 c.c.), la previsione relativa alla realizzazione del programma Sciuscià, nonché di altro programma informativo, articolato in puntate “speciali di prima serata”, pur letteralmente definita “in aggiunta” a quella “normalmente prestata” (peraltro esclusivamente sotto il profilo retributivo), risultava essere, nel contesto di una interpretazione
complessiva delle clausole (art. 1363 c.c.) e in ossequio al principio di conservazione del contratto (art. 1367 c.c.), nonché alla luce del comportamento delle parti anteriore alla sua conclusione (art. 1362 c.c.), sufficientemente definita e tale da assumere significato e valenza di attività “normale”, proprio nel senso preteso dalla parte reclamante.
E d’altronde solo con l’esposta interpretazione si può dare ragionevole spiegazione al fatto che al Santoro, pur Direttore ad personam, e quindi per definizione privo delle mansioni proprie della qualifica del Direttore (di testata), fosse stata assicurata la disponibilità di una adeguata dotazione di personale e beni strumentali. Parimenti, l’unica spiegazione logica e plausibile del riconoscimento di una elevata retribuzione è costituita dalla volontà delle parti (e quindi della RAI) di incaricare il Santoro di realizzare una complessiva “opera” nell’ ambito dell’informazione, rispetto alla quale le singole puntate del programma convenuto, pur dando luogo a un compenso aggiuntivo, si ponevano come momenti di esecuzione del più ampio e generale incarico conferitogli.
Tale esegesi del contenuto del contratto è poi confermata dal comportamento tenuto dalle parti nel corso di svolgimento del rapporto di lavoro, durante il quale – come risulta dagli atti e la circostanza non è neppure contestata dall’azienda – il Santoro ha realizzato e condotto, con) continuità, i suddetti programmi di approfondimento informativo. Significativa, ai fini dell’ulteriore conferma della volontà dei contraenti quale desumibile anche dai comportamenti successivi, è, infine, la delibera del Consiglio di Amministrazione del 14.11.02 che invitava il Direttore Generale a verificare la possibilità di inserimento nel palinsesto della successiva stagione di “programmi di approfondimento giornalistico” condotti da Michele Santoro.
Venendo al secondo ordine di considerazioni, concernente l’ambito oggettivo di riferimento entro il quale operare il giudizio di equivalenza delle mansioni di cui all’art. 2103 c.c., ai fini dell’esercizio dello ius variandi datoriale, è noto che, secondo la costante giurisprudenza della S.C., il divieto di variazioni in pejus opera ogni volta che le nuove mansioni non siano aderenti alla specifica competenza del dipendente, del quale va salvaguardato il livello professionale acquisito e garantito lo svolgimento e l’accrescimento delle sue capacità professionali (v. tra le più recenti, Cass. n. 14150 del 2.10.2002), occorrendo a tal fine verificare se la sottrazione delle mansioni sia tale – per natura, portata e incidenza sui poteri del lavoratore e sulla sua collocazione nell’ambito aziendale – da comportare un abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore con una sottoutilizzazione delle capacità dallo stesso acquisite e un consequenziale impoverimento della sua professionalità (cfr. Cass. n. 6856/2001, n. 10284/2000). L’equivalenza delle mansioni, che condiziona la legittimità dell’esercizio dello ius variandi a norma dell’art. 2103 c.c., va verificata sia sul piano oggettivo, e cioè sotto il profilo della inclusione nella stessa area professionale delle mansioni iniziali e di quelle di destinazione, sia sul piano soggettivo, in relazione al quale è necessario che le due mansioni siano professionalmente affini, nel senso che le nuove si armonizzino con le capacità professionali già acquisite dall’interessato durante il rapporto lavorativo, consentendo ulteriori affinamenti e sviluppi” pur se “nel rispetto di dette condizioni non è richiesta l’identità delle mansioni né costituisce elemento ostativo la necessità di un aggiornamento professionale in relazione a innovazioni tecnologiche” (Cass. n. 11457/2000).
Orbene, l’insieme delle considerazioni svolte circa l’oggetto del contratto di assunzione del Santoro come pattuito dalle parti ed effettivamente voluto, anche nel corso di esecuzione del rapporto di lavoro, porta a ritenere sussumibili le mansioni nell’alveo di cui all’art. 2 del Contratto di Servizio tra la RAI e il Governo e segnatamente nel “macrogenere televisivo” di cui alla lett. b) del citato articolo, così descritto: “Informazione: inchieste, rubriche, programmi di attualità, costume e società, dibattiti. In tale ambito rientrano anche le rubriche di approfondimento di rete e di testata e i programmi informativi dedicati all’informazione sull’attività degli organi istituzionali nonché delle Regioni e delle Autonomie locali e all’informazione parlamentare”.
Invero, dovendo l’informazione televisiva essere programmata entro i limiti segnati dal contratto di concessione ed avendo questo individuato più macro-generi (tra cui telegiornali, informazione, cultura e servizi), è necessariamente all’interno di questi settori che va ricercata l’area delle mansioni equivalenti ai fini del giudizio di relazione di cui all’art. 2103 c.c..
Oltre al macro-genere “informazione” – in relazione al quale si riscontra una sostanziale convergenza delle posizioni delle parti (v. pagg. 56 e 57 mem. cost.) -, la RAI tende ad accreditare la tesi della analogia (anche) con i macrogeneri “cultura” e “servizio”, rinvenendo in ciascuno di questi caratteri di accostamento tipologico ai programmi di approfondimento informativo. In particolare, nell’ambito del macro-genere “cultura”, la RAI menziona la produzione cinematografica e la fiction ispirata a tematiche sociali, mentre nell’ambito del “servizio” la stessa RAI evidenzia i programmi e le rubriche di attualità, di costume e di interesse sociale “che trattino … tematiche di interesse generale con particolare riguardo ai bisogni della collettività (ad esempio gli anziani, la salute, il lavoro, l’ambiente, le pensioni, il fisco, la casa, i rapporti tra pubbliche amministrazioni e cittadino) e delle fasce deboli”.
L’operazione ermeneutica proposta dalla reclamante non è tuttavia meritevole di credito. Osserva al riguardo il Collegio che essa finisce per suggerire, mediante un procedimento a scansione all’interno dei macro-generi televisivi “cultura” e “servizio”, una soluzione di interscambiabilità tra generi basata sul presupposto dell’esistenza di una comunanza di temi o di argomenti suscettibili di essere trattati mediante diverse forme di comunicazione.
In realtà ciascuno dei macrogeneri in esame, pur nella ovvia identità di base, considerato che l’oggetto della comunicazione televisiva ha comunque riguardo alle vicende dell’uomo, in ogni ambito in cui si svolge la sua vita e si esplica la sua personalità, evidenzia delle caratteristiche e qualità che l’individuano come unicum, distinto e non confondibile con gli altri.
E invero il macro-genere “informazione” si qualifica per il carattere essenzialmente monotematico del singolo programma (a fronte invece della pluralità degli argomenti, peraltro trattati in sintesi, propria del genere “telegiornali”) e per il necessario connotato di approfondimento delle tematiche affrontate, che inoltre attengono, per così dire naturalmente, all’attualità.
Il macro-genere “cultura” si caratterizza, invece, soprattutto per la peculiare finalità delle relative programmazioni, con le quali la RAI assolve alla missione educativa, cui la obbliga il contratto di servizio, e riguarda quindi, prevalentemente, i temi della scienza, della storia, dell’ambiente e dell’arte, in tutte le sue diverse forme espressive, compresa la produzione cinematografica e di fiction.
Il macro-genere “servizi”, si distingue, infine, dai precedenti per la diversificazione dei settori d’interesse e d’intervento e per un più specifico carattere sociale, in senso lato, della programmazione e dell’informazione offerta, che concerne questioni e problemi attinenti alla vita, ai bisogni, alle aspettative della popolazione, con particolare attenzione per le fasce più deboli, nonché programmi d’in trattenimento e di costume.
Ciò posto, è evidente a giudizio del Tribunale, l’infondatezza del criterio interpretativo della RAI in punto di sostanziale equivalenza dei macro-generi in esame.
Seguendo tale criterio, si finirebbe poi per ampliare in modo non consentito l’ambito di riferimento rilevante ex art. 2103 c.c. e verrebbe sostanzialmente rimessa ad libitum dell’azienda, di volta in volta, l’individuazione (rectius, la scelta) delle mansioni equivalenti nell’ambito – alla fine indifferenziato – di tutti i macro-generi televisivi sopra citati. Siffatta operazione interpretativa, oltre a vanificare i diritti del lavoratore, quali definiti alla luce della richiamata pluriennale giurisprudenza della S.C., condivisa dal Collegio, renderebbe estremamente difficile anche un’eventuale operazione di verifica giudiziale del corretto esercizio dello ius variandi datoriale.
Il riferimento – che giova richiamare – all’”approfondimento informativo” e alle “consolidate professionalità”, che connotò la volontà datoriale originaria all’atto dell’assunzione del Santoro e che ha tratto conferma dai fatti successivi, mediante le forme del concreto svolgimento del rapporto di lavoro, porta a identificare – come già detto – proprio nell’approfondimento informativo l’ambito “normale” delle mansioni che connotano la specifica professionalità del Santoro, rilevante ai fini del giudizio di equivalenza di cui all’art. 2103 c.c.. Ritiene, dunque, il Tribunale che un giudizio di congruità, che consenta di conservare e non depauperare o svilire la specifica professionalità e le capacità acquisite dal Santoro nell’esercizio delle sue mansioni, sia formulabile con riguardo esclusivo all’alveo dell’equivalenza segnata dall’art. 2 letto b) del citato Contratto di Servizio tra la Rai e il Governo, nel cui ambito si può esprimere l’esercizio dello ius variandi datoriale, dovendo peraltro essere sempre garantito il mantenimento del medesimo livello professionale mediante l’adibizione a funzioni confacenti alle qualità del lavoratore, nell’ottica di un costante loro affinamento e di una progressiva evoluzione delle stesse (Cass. n. 2428/99), nel rispetto della tutela del patrimonio di professionalità già proprio del lavoratore e della sua collocazione nella struttura organizzativa aziendale (Cass. n. 3623/95). Deve invece escludersi l’adibizione a quelle mansioni che comportino una perdita delle potenzialità acquisite o affinate fino a quel momento ovvero che comportino per altro verso una sottoutilizzazione del bagaglio di specifiche conoscenze ed esperienze maturate dallo stesso lavoratore nell’esercizio delle mansioni svolte, avendosi riguardo non solo alla natura intrinseca delle attività esplicate, ma anche al grado di autonomia e discrezionalità nel loro esercizio, nonché alla posizione del dipendente nel contesto dell’organizzazione aziendale del lavoro (Cass. n.11457/2000 in motivazione, nonché Cass. 10405/95, n. 7789/93).
Una volta identificato nei termini innanzi esposti il nucleo qualitativo della professionalità del Santoro e tenuti presenti i principi che regolano il corretto esercizio dello ius variandi datoriale, con esclusione di qualsiasi assegnazione che integri una deminutio del patrimonio professionale, ne consegue l’incongruità e l’inconferenza della proposta avanzata dalla RAI intesa alla realizzazione del docudrama su Salvatore Giuliano.
La reclamante ha in particolare rimarcato l’originaria provenienza dell’iniziativa dal medesimo Santoro onde legittimare la validità della proposta e prospettare di conseguenza l’illegittimità del rifiuto opposto dal dipendente.
La prospettazione della reclamante non è condivisibile. Innanzitutto, essa non tiene in debita considerazione che sia la lettera del Santoro del 17.10.00, sia quella successiva del 21.6.01 si collocano in un contesto fattuale completamente diverso da quello in cui è stata formulata la proposta della RAI. All’epoca, il ricorrente era immesso nelle sue funzioni ed esercitava la sua “normale” prestazione lavorativa, sicché la volontà di realizzare un nuovo genere di programma non poteva che essere interpretata nel senso di “integrare”, ma non di “sostituire” le normali prestazioni lavorative. Nessun elemento idoneo ad avvalorare una diversa soluzione interpretativa si desume dagli atti di causa. Era dunque intenzione del ricorrente proporre la realizzazione di un’opera aggiuntiva, avente carattere integrativo di quella ordinariamente prestata. Pertanto, non può estrapolarsi dalla proposta la motivazione che la sottendeva per attribuire alla stessa una sorta di perdurante validità in un momento in cui la situazione di fatto che la presupponeva era ormai mutata per essere il Santoro stato privato delle mansioni primarie concernenti l’approfondimento informativo.
Né la proposta può ricevere una diversa valutazione se vista sotto il profilo della sua provenienza dalla RAI nella prospettiva dell’esercizio dello ius variandi, dovendosi rilevare che tale docudrama sia in relazione alle forme di realizzazione (principalmente fiction), sia per i suoi contenuti (essenzialmente di ricostruzione storica) si colloca nel macro-genere “cultura”, ossia in un settore di programmazione rispetto al quale non può essere operato il giudizio di equivalenza per tutto quanto già ampiamente esposto.
Il carattere “straordinario” ed “eccezionale” – nel senso della esorbitanza dal contenuto “normale” delle mansioni e della professionalità del ricorrente – porta ad escludere che il programma in questione possa concorrere ad integrare l’ambito della equivalenza di cui all’art. 2103 c.c.. E’ evidente infatti che, ove si consentisse di valutare l’equivalenza in settori non omogenei alla professionalità e capacità specifiche del lavoratore per il solo fatto dello svolgimento occasionale di una attività diversa, si vanificherebbe la possibilità stessa di definire l’ambito del legittimo esercizio dello ius variandi, la cui area di applicazione resterebbe indefinita ed evanescente.
Deve dunque concludersi per l’infondatezza dei motivi addotti a sostegno del reclamo, con conseguente conferma dell’ordinanza impugnata.
Il comando giudiziale contenuto nell’ordine emesso dal primo Giudice prevede l’adibizione alle medesime “mansioni di cui al contratto del 14.4.99, così come effettivamente svolte ed esercitate in concreto” – dictum corrispondente nella sostanza alla prima parte della disposizione di cui al primo comma dell’art. 2103 c.c. (“il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto”) – “ovvero alla realizzazione e alla conduzione di programmi televisivi di approfondimento dell’informazione di attualità” – espressione mediante la quale il Giudice ha voluto esprimere il giudizio di equivalenza di cui alla seconda parte della anzidetta disposizione (“ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte”). L’uso del termine “ovvero” mutua esattamente la disposizione di legge di cui è stata fatta applicazione, significando l’ambito di operatività del giudizio di equivalenza come individuato dal primo Giudice. Esso sostanzialmente si identifica con quello indicato nel presente provvedimento, atto a definire sia in positivo che in negativo l’area del potere datoriale di variazione.
Ed infatti, il riferimento alla “realizzazione di programmi televisivi di approfondimento dell’informazione” non può che refluire nell’area definita dall’art. 2 lett. b) del citato contratto di servizio, che segna l’ambito oggettivo entro cui si esprime la professionalità del ricorrente e delimita al contempo le materie oggetto dell’approfondimento informativo allo stesso attribuibili.
Il richiamo alla “conduzione” non costituisce altro che specificazione di una parte o fase della “realizzazione”, di talché la sua indicazione nel dispositivo appare del tutto pleonastica e non immuta l’ambito di riferimento, già esaustivamente segnato dall’espressione “realizzazione”.
Quanto poi alla specificazione “di attualità”, trattasi di locuzione che, pur potendo presentare in astratto una connotazione contenutistica, assume tuttavia, nell’ordine giudiziale in esame, il chiaro e solo significato di una qualità del complesso delle attività del macro-genere “informazione”, giacché l’informazione sia essa riferita a temi di società o di costume o alle attività degli organi istituzionali o all’informazione parlamentare non può non essere, come già evidenziato, ontologicamente “attuale”. In tal senso va intesa l’ordinanza “impugnata”, che merita dunque conferma, seppur col supporto argomentativo e con le precisazioni esposte nel presente provvedimento.
Resta assorbito l’esame del profilo di censura fondato sull’asserito intento discriminatorio o ritorsivo, secondo il Santoro sotteso al denunciato comportamento della RAI, quale motivo illecito dell’operato ostracismo, marginalizzazione e privazione di mansioni in suo danno.
In ordine al periculum in mora, innanzitutto il Tribunale richiama la propria consolidata giurisprudenza secondo cui la privazione del contenuto professionale proprio della qualifica di appartenenza integra in re ipsa un pregiudizio, avendo il lavoratore il diritto a vedere mantenuto integro il proprio status, e, a prescindere da eventuali profili di danno patrimoniale indotti dalla situazione, egli ha comunque diritto a vedere reintegrata la propria posizione lavorativa lesa dal comportamento datoriale illegittimo. Ed infatti il ridimensionamento professionale di un lavoratore non solo viola lo specifico divieto di cui all’art. 2103 c.c., ma ridonda in lesione del diritto fondamentale, da riconoscere al lavoratore anche in quanto cittadino, alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro (cfr. Cass. 11727/99). La circostanza che un lavoratore sia privato delle mansioni rende configurabile un danno a carico dello stesso, consistente nell’impoverimento delle sua capacità professionali dovuto al mancato esercizio della professione (Cass. n.9228/2001, nella causa RAI – Martorano). A tali considerazioni di carattere generale, peraltro di per sé assorbenti, si impone nella fattispecie l’ulteriore osservazione che la posizione assunta dal Santoro nel non breve esercizio di mansioni di oggettivo rilievo all’interno della programmazione RAI e l’elevato livello di competenza e professionalità raggiunta, costituiscono sicuri indici di apprezzamento dell’entità del danno indotto dalla denunciata privazione di mansioni.
Né può ipotizzarsi, allo stato, un giudizio di merito di pronta definizione, considerata la complessità della vicenda e la possibile necessità di ulteriore attività istruttoria.
P.Q.M.
Il Tribunale, visto l’art. 669 terdecies c.p.c., rigetta il reclamo e conferma l’ordinanza impugnata, nei sensi e termini di cui in motivazione. Spese di fase al merito.
Roma, 13 febbraio 2003.
Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2003.