Imprese ed Aziende

Saturday 20 March 2004

Camera dei Deputati – Indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio. DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLE COMMISSIONI FINANZE E ATTIVITA’ PRODUTTIVE 18.3.2004

Camera dei Deputati – Indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio. DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLE COMMISSIONI FINANZE E ATTIVITA’ PRODUTTIVE 18.3.2004

Premessa.

1. Causa, oggetto e metodo dell’indagine conoscitiva.

A seguito dei recenti dissesti delle società Cirio e Parmalat, la cui insolvenza ha recato grave danno non soltanto ai possessori di strumenti finanziari da queste emessi, ma anche, in generale, alla fiducia dei risparmiatori e dei mercati finanziari, le Commissioni VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera dei deputati e 6a (Finanze) e 10a (Industria) del Senato della Repubblica hanno ritenuto di dover approfondire l’analisi dei problemi posti in luce da queste vicende, con riguardo all’ordinamento italiano, in vista dell’adozione delle misure legislative che abbiano a palesarsi necessarie, così com’è accaduto in altri Stati in conseguenza di somiglianti fenomeni.

Le Commissioni hanno pertanto deliberato di procedere congiuntamente allo svolgimento di un’indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio.

Mediante quest’indagine le Commissioni hanno inteso verificare, anche attraverso l’analisi dei fatti che hanno portato ai due dissesti sopra menzionati:

1) quali siano gli strumenti e i canali di finanziamento delle imprese e quale il ruolo svolto dalle banche a questo riguardo;

2) quali siano le forme di partecipazione delle imprese alla gestione delle banche, con particolare attenzione alla loro influenza sulle scelte relative al merito di credito, quali gli strumenti e le modalità con cui le banche medesime possano incidere sulla gestione delle imprese, quali situazioni di conflitto d’interessi possano derivarne e quali siano i rimedi atti a prevenire o regolare tali conflitti;

3) quali siano il funzionamento e il grado d’idoneità dell’attuale sistema di controlli societari, interni ed esterni, rispetto al fine di assicurare la trasparenza della gestione finanziaria, di garantire la tutela dei diversi soggetti coinvolti e di evitare conflitti d’interessi, anche nella prospettiva dell’eventuale revisione della normativa in materia di diritto societario;

4) in quali forme e con quali strumenti gli organi preposti alla vigilanza esercitino la loro funzione di controllo rispetto alla situazione finanziaria delle imprese, in un quadro complessivo caratterizzato da un elevato grado di diversificazione delle fonti di finanziamento, e quale sia, in tale contesto, l’efficienza dell’attuale riparto di competenze in materia di vigilanza sui mercati finanziari tra la Banca d’Italia, la Commissione nazionale per le società e la borsa [CONSOB) e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Per ognuno di questi temi, l’indagine ha mirato alla ricostruzione sistematica – sul piano delle norme e delle prassi degli operatori – del complesso funzionamento dei rapporti fra i soggetti pubblici e privati che interagiscono nel sistema economico-finanziario e, parallelamente, all’individuazione degli elementi critici manifestatisi

nel concreto svolgimento delle vicende Cirio e Parmalat. Le Commissioni hanno potuto valersi del contributo offerto dai rappresentanti del Governo, degli organi pubblici di vigilanza, degli ordini professionali, delle associazioni sindacali e di categoria, di istituti di credito e di altri soggetti operanti nel settore finanziario, nonché di qualificati esperti, ascoltati in una serie di audizioni che si è articolata nel corso di sedici sedute, tenutesi alternativamente presso le sedi del Senato e della Camera tra il 15 gennaio e il 20 febbraio 2004.

Durante lo svolgimento dell’indagine conoscitiva è sopravvenuto il disegno di legge presentato dal Governo in materia di interventi per la tutela del risparmio. Esso, ufficialmente presentato alla Presidenza della Camera il 16 febbraio 2004 e stampato con il numero di A. C. 4705, ha avuto pubblica ancorché informale circolazione già precedentemente nel testo deliberato dal Consiglio dei ministri il 3 febbraio. Pertanto il suo contenuto è stato oggetto di considerazioni e rilievi nel corso di talune audizioni.

L’indagine compiuta si colloca in un percorso ordinato e coerente che, attraverso l’acquisizione di dati ed elementi di conoscenza, dovrà favorire l’assunzione delle iniziative e l’esercizio delle funzioni spettanti alla competenza del Parlamento, per offrire un’efficace risposta politica ad una questione grave e complessa che, per la sua incidenza sugl’interessi dei cittadini e dei risparmiatori, sul funzionamento del sistema economico-finanziario nazionale anche nelle sue relazioni con i mercati e gli ordinamenti esteri, sull’esercizio dei poteri di regolazione, vigilanza e controllo dello Stato, sollecita l’attenzione e la responsabilità delle istituzioni politiche ai loro massimi livelli. È auspicio diffuso che questo processo conoscitivo, attraverso la collaborazione delle istituzioni e dei soggetti operanti nel settore, possa condurre alla maturazione di decisioni le quali, per la gravità dei problemi e per la rilevanza generale degl’interessi da tutelarsi, dovranno essere assunte con l’apporto propositivo e il concorso deliberativo di tutte le parti politiche, affinché i princìpi e gl’istituti di garanzia che verranno introdotti in una necessaria opera di riforma siano sostenuti dalla massima condivisione e dal più ampio consenso possibile.

2. Le recenti crisi finanziarie in Italia: i casi Cirio e Parmalat.

2. 1. L’evoluzione del mercato finanziario italiano nel contesto internazionale.

Le vicende che hanno dato occasione all’indagine conoscitiva debbono essere inquadrate nell’evoluzione che, nel contesto internazionale, anche il sistema finanziario italiano ha registrato nell’ultimo decennio, e rispetto alla quale vengono qui in rilievo gli aspetti riguardanti il finanziamento delle imprese, il ruolo svolto in quest’àmbito dalle banche e la loro conseguente definizione funzionale.

Secondo l’analisi presentata a questo riguardo dal Ministro dell’economia e delle finanze [1] , ad una prima fase (cronologicamente situata nel periodo che intercorre tra la ricostruzione post-bellica e gli anni ottanta del secolo appena terminato), in cui istituti di credito specializzati a medio termine hanno finanziato le imprese attraverso l’emissione di propri titoli obbligazionari in regime di privilegio legale, ne è seguìta una seconda [corrispondente agli anni novanta), nella quale si sono diffuse le emissioni in euro-lire, in un contesto di progressiva liberalizzazione. La terza e attuale fase è connotata dall’emissione di obbligazioni societarie da parte delle imprese con il sostegno delle banche.

In questa fase il Ministro ha ravvisato il manifestarsi di alcuni aspetti patologici:

1) l’andamento asimmetrico del sistema delle imprese rispetto al settore creditizio;

2) la traslazione – talora forzosa – dei rischi dalle banche a terzi (fondi, risparmiatori) attraverso le emissioni obbligazionarie e il loro collocamento;

3) da parte delle imprese, l’aggiramento del rapporto legale tra capitale sociale ed emissioni obbligazionarie attraverso

le emissioni all’estero e la garanzia su emissioni di società collegate aventi sede all’estero;

4) da parte delle imprese e delle banche, l’aggiramento della normativa sul collocamento di prodotti finanziari, attraverso emissioni sull’euromercato destinate ad investitori istituzionali (con prospetti semplificati) e loro successiva diffusione presso il pubblico senza le garanzie di legge.

Questo complesso di elementi patologici delinea una crisi la quale – secondo l’analisi del Ministro – non è di origine industriale, ma è una crisi finanziaria, che non si esaurisce in un caso, nell’uso improprio di uno strumento, in uno specifico errore di valutazione, ma si estende e si sviluppa in una serie connessa di casi, di strumenti, di errori [2] .

Dalla fine degli anni novanta, le maggiori imprese industriali italiane hanno mutato la composizione e la struttura dei loro debiti finanziari, preferendo ricorrere alle emissioni obbligazionarie piuttosto che all’accrescimento del debito verso le banche. Contestualmente è variata la composizione della ricchezza finanziaria delle famiglie, nella quale (come si vedrà meglio più avanti, sezione 4. 1.) è cresciuto il peso degli strumenti finanziari. Lo sviluppo del mercato obbligazionario si è concentrato fra 1999 e 2002, in una fase congiunturale di ribasso dei corsi azionari e di ristagno economico, nella quale – come rilevato dalla letteratura economica – è più probabile il manifestarsi di crisi societarie, anche legate a condotte fraudolente [3] .

Nel sistema finanziario si è venuto quindi sviluppando in questo periodo un più spiccato orientamento verso il mercato, che, tanto più ove manchi un’adeguata diffusione degli investitori istituzionali, è caratterizzato – come ha segnalato il Presidente della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) – da una più accentuata instabilità dovuta alla maggiore discrezionalità delle imprese rispetto a decisioni di accrescimento dell’indebitamento e alla maggiore facilità con cui, attraverso la diffusione degli strumenti finanziari, il rischio d’impresa può essere trasferito alle famiglie e a investitori non soggetti a controllo di stabilità [4] .

Il fenomeno dei fallimenti di emittenti con obbligazioni diffuse è particolarmente sensibile nei sistemi finanziari (come quelli anglosassoni) in cui più intensamente operano le dinamiche di mercato.

Sono significativi a questo riguardo i dati richiamati dai rappresentanti dell’Associazione bancaria italiana (ABI) e della Confindustria, che concorrono a meglio collocare nel più ampio contesto europeo le vicende recentemente occorse in Italia.

I casi d’insolvenza relativi a obbligazioni societarie verificatisi in Europa dal 1990 al 2002 sono stati 103 (32 dei quali nel solo anno 2002), per un ammontare complessivo di 65,6 miliardi di euro. In particolare, per gli anni 2001 e 2002, il valore complessivo degli strumenti obbligazionari non rimborsati è stato in Europa di 11 miliardi e 300 milioni di euro nel 2001 e di 43 miliardi e 300 milioni di euro nel 2002. Nel 2001, il tasso medio di default delle obbligazioni dei titoli classificati come speculativi è stato del 12,3 per cento, nel 2002 è asceso al 20,7 per cento, mentre per il 2003 il dato disponibile al mese di novembre è del 7,7 per cento. La gran parte dei casi d’insolvenza (la metà rispetto al numero di operazioni e i due terzi dal punto di vista del loro valore) si è registrata in Gran Bretagna. Solo due casi hanno riguardato società italiane, il primo, nel 2002 (Cirio), per un controvalore di 1,1 miliardi di euro, il secondo, nel 2003 (Parmalat), per circa 7 miliardi di euro [5] .

2. 2. I casi Cirio e Parmalat.

Le vicende che hanno portato al dissesto delle società Cirio e Parmalat con l’emersione di responsabilità, anche di carattere penale, che sono attualmente oggetto di accertamento da parte delle competenti autorità, manifestano tratti comuni, i quali possono genericamente individuarsi nella mancata corrispondenza tra la realtà finanziaria e produttiva delle società e dei gruppi ad esse facenti capo e le rappresentazioni fornite nei rispettivi bilanci. In entrambi i casi è dato ravvisare comportamenti fraudolenti da parte degli amministratori.

Nel caso Cirio, infatti, è risultato che i bilanci occultavano perdite, riportando crediti poi rivelatisi inesigibili, in particolare verso società correlate facenti capo al medesimo soggetto proprietario [6] . Le obbligazioni emesse, prive di rating, rappresentavano una componente elevata dell’indebitamento complessivo [7] . Indagini su comportamenti fraudolenti degli amministratori e di altri soggetti sono in corso da parte dell’autorità giudiziaria.

Più articolata è l’analisi della vicenda Parmalat, le cui origini risalgono assai addietro negli anni.

La crescita del gruppo è avvenuta nel tempo attraverso una graduale estensione delle produzioni e l’acquisizione di imprese in Italia e all’estero (alla fine del 2002 il gruppo era composto da 213 società aventi sede in 50 Stati; solo 30 di esse in Italia). Parallelamente si verificava l’internazionalizzazione dell’operatività nel campo finanziario, comprendente il reperimento di risorse sui mercati e l’attribuzione di fondi – poi risultati inesistenti – a controllate estere. Acquisizioni e investimenti erano finanziati attraverso l’indebitamento.

La società di rating Standard & Poor’s ha ricordato a questo proposito come, nonostante gli alti livelli di disponibilità liquide, Parmalat abbia sempre spiegato il ricorso al debito adducendo motivi di ottimizzazione fiscale e, in tempi più recenti, l’intendimento di rifinanziarsi sul mercato dei capitali sfruttando opportunità offerte dall’andamento dei corsi per allungare le scadenze del proprio indebitamento (pratiche le quali, secondo la suddetta società, sarebbero per altro comuni a molte società italiane ed europee) [8] .

Attraverso varie società del gruppo, la Parmalat si è pertanto finanziata ampiamente sul mercato internazionale dei capitali; in particolare, a partire dal 1997 sono state effettuate 32 emissioni obbligazionarie per circa 7 miliardi di euro, per più dell’80 per cento delle quali il collocamento è stato curato da importanti banche estere, che hanno altresì concesso finanziamenti al gruppo[9] .

Fra queste operazioni, l’acquisizione delle attività del gruppo Cirio nel settore del latte venne sottoposta nel 1999 a condizioni da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, la quale prescrisse la cessione di alcuni marchi e stabilimenti. Secondo quanto esposto alle Commissioni dal Presidente di quest’Autorità, pur in presenza di dubbi sull’effettivo adempimento delle prescrizioni formulate, non è stato possibile operare accertamenti sui soggetti esteri cui Parmalat aveva ceduto le suddette attività, e soltanto le ultime vicende hanno palesato l’intervenuta elusione delle norme sulla concorrenza [10] .

In tale contesto viene a situarsi un’alterazione dei bilanci societari operata mediante l’iscrizione di attività finanziarie inesistenti, prolungata nel tempo e sostenuta dalla falsificazione di documenti ad opera di soggetti appartenenti alla società. Questa condotta dolosa è stata resa possibile dall’inefficacia dei controlli interni ed esterni, per cui – salvo l’accertamento delle responsabilità nelle sedi giudiziarie – possono ipotizzarsi la negligenza o la connivenza di persone che per ufficio avrebbero dovuto vigilare sulla gestione e accertare la correttezza e la veridicità dei bilanci [11] .

La vicenda si configura quindi – secondo le parole del Presidente della CONSOB – come “un fenomeno criminoso costituito da condotte di rilievo penale, plurioffensive, poste in essere dolosamente da più soggetti in concorso fra loro”[12] . Anche secondo il giudizio del Governatore della Banca d’Italia, il dissesto della Parmalat nasce da “episodi ripetuti di criminalità nella gestione d’impresa”, e dimostra che “l’inosservanza della legge e la mancanza di un solido riferimento etico per i comportamenti degli operatori possono costituire un grave intralcio al funzionamento del sistema economico e finanziario” [13] .

Su tale ricostruzione dei fatti relativi alla condotta degli amministratori nei due casi esaminati e sulla valutazione circa l’insufficienza dei controlli interni sulla gestione e dei controlli esterni rimessi ai responsabili della revisione dei bilanci non sembrano sussistere sostanziali divergenze di valutazione tra i soggetti ascoltati nel corso dell’indagine. Opinioni diverse sono state invece espresse circa la condotta degl’istituti di credito e degli organi di vigilanza: su questi aspetti sarà quindi necessario un esame più dettagliato, che verrà svolto a suo luogo ) rispettivamente, nelle sezioni 4 e 9).

PARTE I

SISTEMA DELLE IMPRESE E MERCATI FINANZIARI

3. I rapporti tra banche e imprese.

La prima questione verso cui nell’indagine le Commissioni hanno diretto la propria attenzione riguarda il rapporto tra banche e imprese, sotto il duplice aspetto delle forme e degli strumenti di finanziamento delle attività industriali, con il ruolo svolto in ciò dalle banche, e dei rapporti intercorrenti fra sistema creditizio e sistema delle imprese sul piano delle partecipazioni azionarie, dei rispettivi incroci e dei conflitti d’interessi che possono derivarne.

3. 1. Il finanziamento delle attività d’impresa e i suoi strumenti.

Nel quadro d’evoluzione storica delineato nelle pagine precedenti (paragrafo 2. 1) è agevole ravvisare la trasformazione del rapporto fra l’impresa e il credito, che, da un sistema caratterizzato dall’attività di istituti specializzati per il credito a medio e lungo termine, in cui le banche erano i principali erogatori di finanziamenti al sistema industriale, ha portato nell’ultimo decennio dello scorso secolo ad una sensibile crescita delle forme di finanziamento diretto delle imprese attraverso il ricorso al mercato, in particolare con emissioni obbligazionarie rispetto alle quali le banche hanno assunto la funzione di collocamento e intermediazione.

L’effetto di ciò non è stato, per altro, secondo quanto è emerso nel corso dell’indagine, la sostituzione del credito bancario con il finanziamento obbligazionario, almeno al livello complessivo del sistema. La forte crescita di tale forma di finanziamento negli ultimi anni non si è infatti accompagnata a una diminuzione degli impieghi bancari, che hanno avuto invece un rilevante incremento: nel periodo 1997-2002, i prestiti bancari sono aumentati di 174 miliardi di euro, mentre l’ammontare delle obbligazioni delle imprese è cresciuto di 65 miliardi di euro. Ad avviso del Presidente dell’ABI, che ha segnalato questi dati, lo sviluppo dei prestiti obbligazionari s’inserisce in un più generale processo di consolidamento della struttura finanziaria delle imprese italiane, ancora sbilanciata sul breve termine. Tale processo è stato obiettivamente favorito dall’avvento dell’euro e dalla convergenza dei tassi di interesse italiani verso i livelli europei[14] .

Da quanto esposto consegue che gl’istituti bancari svolgono attualmente un duplice ruolo nel sistema: da un lato essi possono orientare lo sviluppo industriale attraverso le scelte effettuate relativamente alla concessione del credito, dall’altro si propongono come interlocutori delle imprese che seguono la via del finanziamento diretto sul mercato dei capitali, sia nelle attività connesse alla loro quotazione in borsa (valutazione e collocazione delle quote di capitale), sia in quelle relative al collocamento dei prestiti obbligazionari da queste emessi.

Lo sviluppo degli aspetti finanziari nello svolgimento delle attività d’impresa ha comportato altresì l’assunzione di partecipazioni incrociate, con la detenzione di quote di capitale degl’istituti bancari da parte di gruppi industriali e la presenza di imprenditori e amministratori di questi ultimi negli organi di gestione delle banche.

La rete di relazioni derivante dalla situazione in sintesi descritta, come da più parti è stato rilevato, contiene intrinsecamente le cause di potenziali conflitti d’interessi sia nel rapporto fra gl’istituti di credito e le imprese, sia nella funzione d’intermediazione finanziaria svolta dalle banche nei riguardi degli investitori. Riservando l’esame di quest’ultimo aspetto alla sede appropriata (sezione 4. 4), nel successivo paragrafo si tratterà di quanto attiene agli elementi di conflitto inerenti alla prossimità fra soggetti operanti nel credito e nell’industria.

3. 2. I conflitti d’interessi nel finanziamento bancario delle imprese.

Nell’annunziare gli intendimenti del Governo per una più appropriata regolazione del rapporto fra banca e impresa, il Ministro dell’economia e delle finanze ha enunziato l’obiettivo di pervenire a una disciplina delle incompatibilità vòlta a evitare l’influenza delle imprese debitrici sulla gestione della banca e sulle decisioni in materia di finanziamento [15] .

Attualmente la separazione tra banca ed impresa è affidata in sostanza a tre strumenti: il divieto per le imprese di possedere partecipazioni in misura superiore al 15 per cento nel capitale delle banche; l’obbligo di autorizzazione qualora siano superate le soglie fissate dalla Banca d’Italia (articolo 19, comma 2, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, emanato con decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385); l’assoggettamento della concessione di fidi nei riguardi di membri del consiglio d’amministrazione delle banche all’approvazione unanime del consiglio stesso [articolo 136 del medesimo testo unico bancario) [16] .

Ha rilevato il professor Marco Onado che, tra questi strumenti, solo il primo sembrerebbe oggi necessario [anche se non sufficiente). Il secondo, infatti, appare superato perché non si vede su quali basi l’Autorità di vigilanza potrebbe desumere dal passaggio, ad esempio, di una partecipazione dal 9,9 al 10,1 per cento l’intenzione di un azionista-imprenditore di passare da un ruolo di semplice investitore a quello di utilizzatore privilegiato del credito. Riguardo al terzo strumento, ha osservato come esso assicuri pubblicità all’interno del consiglio d’amministrazione e degli organi sociali, ma non sembra sufficiente di fronte ai problemi attuali [17] .

L’esigenza di rendere più rigida la disciplina dei rapporti fra banche e imprese è stata segnalata anche da altri intervenuti, a partire dal Ministro delle attività produttive [18] .

Il Presidente della CONSOB ha formulato l’opinione che le occasioni di conflitto rappresentate dalla partecipazione d’imprenditori ai consigli d’amministrazione di istituti di credito potrebbero essere eliminate in radice vietando tale partecipazione ovvero la concessione di finanziamenti alle imprese interessate [19] . Per ovviare al potenziale conflitto d’interessi risultante dalla presenza d’imprenditori nell’azionariato bancario, il Governatore della Banca d’Italia ha suggerito una più stringente definizione della nozione di soggetto industriale collegato e una disciplina più rigorosa sulla contemporanea posizione di amministratore e di affidato della banca [20] .

Secondo il Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, le regole da adottarsi a questo proposito dovrebbero tendere ad evitare sia l’ingerenza delle banche nelle scelte industriali sia, per converso, l’influsso che azionisti delle imprese esposte, presenti nei consigli d’amministrazione o nei patti di sindacato degl’istituti di credito, potrebbero esercitare sulle decisioni relative all’erogazione di finanziamenti. Occorre considerare, in quest’ultima ipotesi, anche la possibilità che il soggetto industriale tenda a favorire le proprie attività in maniera indiretta, orientando le scelte di concessione del credito verso iniziative non confliggenti con l’area di suo interesse [21] .

Si tratta di un rischio particolarmente sentito dalle piccole e medie imprese in rapporto alla sproporzione che, ad avviso dei rappresentanti della Confapi – ma al problema ha fatto riferimento anche il Presidente della Confindustria -, sussisterebbe tra i finanziamenti a queste attribuiti e quelli concessi alla grande impresa, in misura preponderante e con effetti ritenuti distorsivi [22] . Deve per altro avvertirsi a questo riguardo che, secondo quanto indicato dal Presidente dell’ABI, l’attenzione dedicata dalle banche italiane al comparto delle imprese di minori dimensioni risulterebbe comparativamente superiore rispetto al panorama europeo [23] .

Diverso avviso è stato espresso nella nota consegnata dal Presidente della Confindustria, secondo cui – premesso che “le attuali istruzioni della Banca d’Italia sulla separatezza tra banca e impresa, che impongono limiti di partecipazione al capitale bancario e ai cosiddetti grandi fidi, se efficacemente applicate, rappresentano lo strumento adatto per prevenire conflitti d’interessi” – sarebbe possibile intervenire per rendere più trasparenti gli assetti proprietari delle banche, imponendo una maggiore informazione sui rapporti di partecipazione al capitale delle stesse e di finanziamento dell’impresa e diffondendo più ampiamente fra le banche, anche non quotate, i princìpi di governo societario indicati per le imprese. Non viene invece considerata risolutiva l’eventuale imposizione di divieti all’assunzione di funzioni d’amministrazione, direzione e controllo presso la stessa banca o società verso la quale l’imprenditore abbia un’esposizione debitoria significativa: anche rispetto a situazioni di tal genere, Confindustria riterrebbe preferibili interventi atti a migliorare la comunicazione e l’informazione al pubblico[24] . Nel corso del suo intervento, il Presidente di quest’associazione ha ribadito alcuni dei punti sopra riferiti, aggiungendo che il solo criterio dell’entità dell’esposizione debitoria non sarebbe a suo giudizio dirimente per la soluzione del problema. In generale, pur dichiarandosi persuaso della necessità di evitare commistioni tra banche e imprese e tra le diverse forme di attività bancaria, ha osservato che l’adozione del modello della banca universale deriva dalle crescenti dimensioni della competizione, anche internazionale, che obbliga gl’istituti a svolgere un sempre maggior numero di compiti [25] .

Con specifico riferimento al ruolo del consiglio d’amministrazione degl’istituti di credito e alla prevenzione di eventuali conflitti d’interessi, ad avviso dell’ABI deve ritenersi sufficiente il presidio posto dall’articolo 136 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, che per gli atti di compravendita, le obbligazioni e le operazioni di finanziamento effettuate con una banca o una società facente parte di un gruppo bancario da chi svolga funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso la banca o la società stessa o presso altra banca o società del medesimo gruppo richiede – fermi restando i previsti obblighi d’astensione – la deliberazione unanime dell’organo di amministrazione, il voto favorevole di tutti i componenti dell’organo di controllo e, nel caso di gruppi, l’assenso della capogruppo. L’articolo 40 del disegno di legge A. C. 4705 precisa che queste disposizioni si applicano a chi esercita funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso una banca o altra società facente parte del gruppo di questa, alla società che gli stessi soggetti controllano o presso cui svolgono le suddette funzioni, nonché alle altre società facenti parte del medesimo gruppo[26] .

La necessità di più penetranti misure è stata invece sostenuta dal professor Marco Onado, ad avviso del quale la richiamata disposizione del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia non è più sufficiente in presenza di convergenti interessi dei dirigenti bancari e degli amministratori d’imprese industriali, rispettivamente miranti a conservare immutati assetti societari loro favorevoli, a proteggere l’indebitamento accumulato e, per converso, ad assicurarsi l’accesso privilegiato al credito e ai servizi finanziari [27] .

4. Gli strumenti finanziari.

Si è rilevata nel precedente paragrafo l’accresciuta importanza che gli strumenti finanziari sono venuti assumendo nel quadro delle strategie d’impresa e segnatamente dell’acquisizione di risorse per lo sviluppo delle attività commerciali. È dunque necessario approfondire, anche attraverso la ricostruzione delle vicende che hanno dato occasione all’indagine, la riflessione sull’impiego di questi strumenti – in particolare le obbligazioni societarie -, sul contesto nel quale si è collocato il loro recente sviluppo, sulle forme di collocamento e di diffusione tra il pubblico e sui conflitti d’interessi che possono determinarsi in quest’ambito.

4. 1. Evoluzioni nell’allocazione delle risorse finanziarie delle famiglie.

La trasformazione intervenuta nelle forme di finanziamento delle imprese commerciali secondo quanto sopra descritto [sezione 3. 1] è caduta in coincidenza con un rilevante mutamento nelle scelte compiute dalle famiglie relativamente all’allocazione delle proprie disponibilità finanziarie.

Il Governatore della Banca d’Italia ha svolto nella sua audizione un significativo confronto tra la situazione risultante a metà degli anni novanta e quella registrata nel secondo anno del nuovo secolo [28] .

Il raffronto fra la situazione del 1995 e quella del 2002 evidenzia i seguenti fatti:

per quanto riguarda il finanziamento del settore pubblico, gli 82.031 milioni di euro ricevuti nel 1995 provenivano per oltre la metà dalle famiglie (43.763 milioni, pari al 53,35%); nel 2002, su complessivi 46.250 milioni di euro, provenivano dalle famiglie 19.101 milioni (pari al 41,3%);

per quanto riguarda il finanziamento delle imprese, nel 1995, su finanziamenti non azionari per complessivi 28.829 milioni di euro è sostanzialmente assente l’apporto delle famiglie, che nel 2002 ammonta invece a 8.861 milioni di euro (pari al 10,1% su complessivi 87.699 milioni); in quest’àmbito, l’apporto delle banche è rispettivamente di 22.022 milioni (pari al 76,39%) nel 1995, di 36.620 milioni (pari al 41,76%) nel 2002. La componente obbligazionaria, sostanzialmente assente nel 1995, registra nel 2002 nuovi finanziamenti per 35.426 milioni di euro (pari al 40,39% del totale dei finanziamenti non azionari): ad essa concorrono le famiglie per 8.937 milioni di euro, le imprese e società finanziarie per 6.562 milioni, operatori esteri e altri soggetti per 21.893 milioni, mentre in quest’anno le banche riducono la loro quota per 1.966 milioni.

Ne risulta che, dalla seconda metà degli anni novanta, il mercato obbligazionario si sviluppa in Italia parallelamente agli altri paesi dell’area euro. In questo periodo, la composizione della ricchezza delle famiglie – ferma restando la prevalenza della destinazione verso la raccolta bancaria – tende a dirigersi sempre più verso azioni e obbligazioni, il cui ammontare detenuto dalle famiglie è stimabile alla fine del 2002 in 294 miliardi di euro (di cui 30 miliardi in obbligazioni, a fronte dei 6 miliardi stimati per il 1995). Si aggiungono obbligazioni emesse da imprese e banche estere per 92 miliardi.

In questo quadro si collocano le vicende Cirio e Parmalat, che, secondo le stime effettuate dalla stessa Banca d’Italia, avrebbero coinvolto, rispettivamente, circa trentamila e circa ottantacinquemila famiglie detentrici di obbligazioni emesse da queste società [29] .

L’effetto della crisi è stato aggravato dal limitato sviluppo d’intermediari operanti con un orizzonte di lungo termine e in grado di diversificare il proprio portafoglio azionario e obbligazionario, in quanto, sebbene crescente, è ancora limitata la quota delle attività finanziarie delle famiglie gestita da investitori istituzionali (fondi comuni, assicurazioni e fondi pensione), rimanendo ampiamente diffusa presso i risparmiatori l’assunzione diretta delle decisioni d’investimento[30] . Su quest’aspetto ha insistito anche il Presidente dell’ABI, secondo cui – a fronte di un’azione finora poco incisiva, anche da parte dei soggetti pubblici, per rendere i cittadini consapevoli della mutata struttura del sistema finanziario – sarebbe quindi interesse generale favorire sempre più l’utilizzo dei prodotti gestiti o dei servizi di gestione professionale, in grado di disporre delle competenze necessarie per manovrare su mercati complessi, e forniti di una massa critica tale da consentire un’equilibrata assunzione dei rischi [31] .

Nonostante il processo sopra descritto, il ricorso alle emissioni obbligazionarie per il finanziamento delle imprese risulta in Italia ancora significativamente inferiore rispetto alla misura rilevata in altri sistemi finanziari: secondo i dati forniti dal Presidente dell’ABI, le obbligazioni societarie costituiscono in Italia il 16 per cento del complesso dei debiti finanziari, da raffrontare con una media europea del 22,3 per cento e con una misura pari a quasi un terzo del totale delle fonti di finanziamento negli Stati Uniti d’America [32] . In questo contesto, la possibilità di valersi del mercato obbligazionario è ritenuta irrinunziabile per lo sviluppo delle imprese, e la diffusione di atteggiamenti di sospetto indiscriminato nei riguardi di questa forma di finanziamento potrebbe recare grave danno alle imprese stesse, al mercato finanziario e all’intero sistema economico nazionale [33] .

4. 2. Le modalità di emissione e negoziazione dei titoli.

Nel corso dell’indagine, numerosi interventi – anche sulla base delle notizie apparse su organi di stampa circa le perdite lamentate da piccoli investitori a séguito dell’insolvenza delle due società suddette – hanno posto in questione la condotta delle banche nella diffusione dei titoli obbligazionari presso i propri clienti, sia sotto l’aspetto dell’idoneità dell’informazione fornita a risparmiatori non necessariamente provvisti di adeguata competenza e consapevolezza, sia sotto quello della correttezza delle procedure osservate nella cessione dei titoli, sia, infine, rispetto all’ipotizzata traslazione di rischi che, precedentemente assunti dalle banche medesime attraverso la concessione di crediti alle società interessate, sarebbero stati poi trasferiti mediante il collocamento di corrispondenti emissioni obbligazionarie con operazioni per questo sospettabili di conflitto d’interessi.

A questo riguardo, il Ministro dell’economia e delle finanze ha richiamato l’attenzione su una pratica che, attraverso l’emissione di titoli destinati a investitori professionali su mercati esteri e la loro successiva diffusione tra il pubblico, al di fuori delle forme e delle garanzie prescritte dalla legge per gli strumenti vòlti a sollecitare l’investimento, rende possibile il sostanziale aggiramento della normativa sul collocamento dei prodotti finanziari [34] .

Con specifico riferimento al caso Parmalat, il Ministro ha inoltre espresso l’avviso che nella condotta degli istituti di credito possano ravvisarsi anomalie riferibili ad un processo di sostituzione tra affidamenti bancari ritirati e corrispondenti emissioni obbligazionarie [35] .

Altri soggetti ascoltati nel corso dell’indagine hanno esposto a questo riguardo posizioni in parte differenti.

Si è rilevato, in generale, che per le emissioni quotate o collocate con sollecitazione all’investimento sul mercato italiano valgono le regole e le procedure di trasparenza prescritte dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria emanato con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Le obbligazioni emesse da imprese private senza rating né prospetto sono invece riservate agl’investitori professionali. Se tuttavia, dopo l’iniziale sottoscrizione, le obbligazioni sono cedute a investitori individuali (anche piccoli risparmiatori) dietro loro richiesta, si applicano le regole previste per la negoziazione, e non vi è quindi obbligo di prospetto. Come avvertito nel documento consegnato alle Commissioni dall’Assonime, “la linea sottile tra sollecitazione (attiva) e negoziazione (passiva) lascia aperto un varco per comportamenti impropri degli intermediari” [36] .

Secondo il Presidente della CONSOB, nella vicenda Cirio si sono verificati da parte di istituti di credito, in misura da determinare, casi di diffusione di prestiti obbligazionari, originariamente riservati a investitori istituzionali, presso la clientela non professionale. Per questo, la CONSOB, anche avvalendosi della collaborazione della Banca d’Italia, ha intrapreso accertamenti sulla condotta degl’intermediari bancari che avrebbero ceduto a investitori italiani non professionali obbligazioni prive di rating e prospetti informativi in quanto destinate a investitori istituzionali e quotate sulla borsa del Lussemburgo [37] . Secondo l’avviso del Governatore della Banca d’Italia, che ha tuttavia rinviato alle risultanze dell’attività in corso, sarebbero “pochissime le obbligazioni Cirio collocate al risparmiatore a diminuzione del credito” [38] . Il Presidente dell’ABI, pur rilevando che, secondo i dati statistici, le obbligazioni emesse sono aumentate e i crediti bancari verso Cirio si sono ridotti, ha osservato che, essendovi osmosi completa sul versante del passivo – poiché quando un debito cresce, un altro si riduce o viene pagato – tale aspetto non può identificarsi come causa necessaria di patologia [39] .

In relazione al caso Parmalat, il Presidente dell’ABI ha osservato altresì che gli elementi disponibili – situazione finanziaria della società risultante dai bilanci certificati, valutazione delle agenzie di rating, giudizi degli analisti finanziari – non erano tali da far attribuire all’investimento in obbligazioni da questa emesse un elevato livello di rischio: le banche italiane non erano a conoscenza della situazione di crisi, né in grado di scoprire il reale stato dell’azienda, in quanto una banca non può analizzare la veridicità di un bilancio o accertare se un documento sia falso [40] . Ha comunque precisato che le banche interessate stanno valutando “caso per caso” la situazione degli acquirenti di titoli Cirio e Parmalat, in vista della possibilità di ristorare i risparmiatori, in tutto o in parte, delle perdite subìte laddove sussistano dubbi sulla consapevolezza dell’investitore o circa l’esistenza di conflitti d’interessi[41] . Indipendentemente dall’accertamento di eventuali mancanze e responsabilità da parte degli operatori, il Governatore della Banca d’Italia ha per parte sua affermato di ritenere opportune le iniziative in questo senso autonomamente assunte da alcuni istituti, in quanto atte a ristabilire il necessario rapporto di fiducia tra le banche e i risparmiatori, specialmente in relazione all’adeguatezza dell’assistenza prestata al momento dell’investimento [42] .

I rappresentati degli istituti di credito ascoltati dalle Commissioni (Unicredito italiano, Sanpaolo IMI, Banca Intesa, Capitalia), dopo aver invitato a non demonizzare il ricorso al mercato obbligazionario, che resta comunque fattore di modernizzazione e strumento fondamentale per il finanziamento delle imprese, hanno decisamente escluso di aver mai utilizzato le emissioni obbligazionarie per rientrare da esposizioni creditizie verso il gruppo Parmalat. È stato anche evidenziato che, se a livello teorico il trasferimento di posizioni creditizie da una banca al mercato non costituirebbe di per sé una patologia [in quanto trasferire rischi di credito a investitori professionali e consapevoli sarebbe prassi di mercato], diverso sarebbe il caso della traslazione a soggetti inconsapevoli dei rischi [43] .

Ad ogni modo gl’istituti di credito hanno rivendicato, tanto sul caso Cirio che su quello Parmalat, la sostanziale correttezza dei propri comportamenti, così come delle strutture e degli organi[44] . I rapporti di credito con il gruppo Parmalat sono stati mantenuti sino all’ultimo sulla base di bilanci certificati, di risultati trimestrali, di valutazioni di agenzie internazionali di rating, del consenso dei mercati internazionali; non solo le periodiche richieste d’informazioni e precisazioni confermavano i dati pubblici, ma tutte le dieci emissioni obbligazionarie scadute prima della dichiarazione d’insolvenza erano state rimborsate regolarmente [45] .

4. 3. Limiti, controlli e garanzie relative all’emissione e alla negoziazione dei titoli.

Il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia e l’articolo 2412 del codice civile, nel testo novellato dalla recente riforma del diritto societario attuata con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, consentono l’emissione di titoli obbligazionari in misura superiore al capitale sociale dell’emittente[46] . In particolare, il nuovo articolo 2412 del codice civile ha introdotto due novità: la possibilità di emettere obbligazioni sino al doppio del capitale sociale e delle riserve disponibili; per le obbligazioni emesse oltre tale limite e destinate agli investitori professionali, la responsabilità di questi ultimi in solido con l’emittente nei confronti dei risparmiatori qualora le obbligazioni vengano immesse sul mercato [47] .

Sul funzionamento di queste disposizioni – volte a garantire equilibrio nel ricorso al mercato da parte delle banche e delle società per azioni, quelle cioè nelle quali l’imprenditore non risponde delle obbligazioni assunte con l’intero proprio patrimonio – potrebbe incidere la prossima adozione dei princìpi contabili internazionali, che prevedono la valutazione delle attività sulla base del valore di mercato. Rispondendo all’on. Leo, che richiamava l’attenzione su questo punto, il Presidente della CONSOB ha convenuto che tale fatto “potrebbe “scuotere” il sistema del rendiconto e tutta la documentazione dei bilanci delle grandi e medie imprese più che di quelle piccole”, auspicando quindi che l’unificazione dei princìpi preveda un periodo di transizione [48] .

Sono state formulate nel corso dell’indagine ipotesi d’interventi normativi attraverso i quali ovviare ai problemi emersi nella disciplina riguardante gli strumenti obbligazionari.

Rispetto alla disciplina delle emissioni, uno strumento di contrasto al denunziato meccanismo d’aggiramento dei limiti riferiti alla consistenza del capitale sociale potrebbe rinvenirsi nell’equiparare, a questo fine, le emissioni effettuate all’interno e le prestazioni di garanzia della società capogruppo su emissioni obbligazionarie estere [49] . D’altronde, proposte di direttive comunitarie prossime all’approvazione [riguardanti le offerte pubbliche d’acquisto e gli obblighi di trasparenza delle società quotate] prevedono obblighi più penetranti di trasparenza sulle strutture societarie e sugli strumenti finanziari emessi, incluse le obbligazioni. È stato quindi proposto di estendere tali obblighi, attraverso le norme nazionali di recepimento, alle emissioni di società controllate, assistite da garanzia della società quotata o del soggetto controllante aventi sede in Italia, nonché a tutte le operazioni che abbiano l’effetto di alterare la situazione economica e patrimoniale consolidata[50] .

Secondo l’avviso espresso dai rappresentanti della Confindustria, nel necessario quadro di maggiori controlli sulle emissioni gioverebbe prevedere l’obbligo di comunicazione di tutte le emissioni effettuate non solo in Italia, ma anche all’estero da tutte le società dello stesso gruppo, comprese quelle indirettamente collegate, mentre la fissazione di nuovi limiti all’emissione di obbligazioni non sembrerebbe idonea ad evitare casi d’insolvenza [51] .

Per quanto attiene all’elusione degli obblighi di trasparenza nella diffusione di strumenti finanziari, si è prospettata l’opportunità di estendere a tutte le forme di negoziazione con il pubblico degl’investitori non professionali il requisito consistente nella valutazione di affidabilità operata da agenzie indipendenti di rating [52] , ovvero l’obbligo di prospetto, come indicato nella direttiva sul prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari (direttiva 2003/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003), procurando in ogni caso che i prospetti e le note informative presentate risultino semplici e comprensibili [53] . Una soluzione alternativa per la valutazione della rischiosità delle emissioni obbligazionarie potrebbe essere rappresentata – come suggerito da un’organizzazione sindacale – dall’impiegare a questo fine le valutazioni sul merito di credito che le banche dovranno elaborare secondo il nuovo accordo di Basilea [54] .

Uno strumento da più parti suggerito per assicurare una seria valutazione dei rischi e una corrispondente assunzione di responsabilità da parte degli intermediari dei titoli obbligazionari consisterebbe nella previsione – esistente in alcuni ordinamenti e segnatamente in quello degli Stati Uniti d’America – di un periodo minimo (da stabilirsi ad esempio nella misura di un anno) durante il quale l’intermediario sarebbe vincolato a mantenere l’investimento nel proprio portafoglio prima di procedere alla negoziazione con il pubblico: ciò in particolare nel caso di strumenti originariamente destinati ad investitori professionali o privi di prospetto informativo [55] . In caso di successiva cessione ai risparmiatori individuali, gl’intermediari dovrebbero inoltre fornire agli acquirenti un documento informativo predisposto sotto la propria responsabilità [56] .

Si è rilevato infine come appaia causa di opacità l’esclusione – prevista dall’articolo 100, comma 1, lettera f), del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria – di alcuni prodotti finanziari (obbligazioni bancarie, polizze assicurative a contenuto finanziario) dagli obblighi di comunicazione alla CONSOB e di redazione del prospetto informativo [57] . È stato tuttavia rilevato che abrogare tale norma significherebbe introdurre nel mondo assicurativo una distinzione fra prodotti finanziari e prodotti del ramo danni: se pertanto si dovesse procedere in tal senso, l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici [ANIA] ha proposto di distinguere tra i prodotti finanziari in cui il rischio è interamente o principalmente a carico del risparmiatore, e quelli in cui il rischio è sopportato in misura prevalente dalla compagnia di assicurazione [58] .

4. 4. La regolazione dei conflitti d’interessi degli intermediari.

Benché non siano state univoche le opinioni espresse dai soggetti ascoltati durante l’indagine circa l’effettiva sussistenza di comportamenti irregolari da parte degl’intermediari nelle vicende Cirio e Parmalat, può convenirsi sul rilievo formulato in via generale dal Presidente della CONSOB, secondo cui il sistema della banca universale, per i conflitti d’interessi cui dà luogo, accresce la probabilità che non siano adempiuti i doveri fiduciari e di correttezza, alla cui osservanza è rimessa la tutela dei risparmiatori in caso d’investimenti non rigidamente regolamentati [59] .

Per quanto concerne in particolare i conflitti d’interessi – insiti nella natura degli intermediari polifunzionali – tra le funzioni di intermediario negoziatore, di organizzatore di un consorzio d’investimento, di finanziatore e di ufficio che pubblica studi sulle società, il Presidente dell’ABI ha osservato che le soluzioni adottate nei diversi ordinamenti, compreso quello italiano, si fondano sulla previsione di barriere operative tra i vari soggetti [cosiddetti chinese walls] e sulla trasparente comunicazione del conflitto all’investitore [60] . Quanto alla prima, il Presidente della Confindustria ha per altro riconosciuto che i limiti posti si sono dimostrati nella pratica tutt’altro che insormontabili, sia in considerazione della dimensione del problema, che esigerebbe una riflessione a livello internazionale, sia in rapporto a ragioni specifiche, la principale fra le quali consisterebbe nell’attività di gestione di patrimoni svolta, nel sistema della banca universale, da soggetti che possono occuparsi della valutazione e quotazione di società e del collocamento degli strumenti finanziari da queste emessi [61] .

Per parte loro, le banche hanno evidenziato come il modello della banca universale con muraglie cinesi, pur presentando talvolta elementi di debolezza, resti comunque la formula affermatasi in tutto il mondo [inclusi gli Stati Uniti]. Si tratta allora d’intervenire su tale modello per affinarlo, avendo riguardo non solo ai conflitti d’interessi interni al gruppo bancario, ma anche a quelli che si possono creare nei confronti, per esempio, delle aziende affidate [62] .

Il problema legato alla polifunzionalità degli intermediari, a parere di Assogestioni, sarebbe invece risolubile attraverso le regole di comportamento previste nella proposta di revisione della direttiva sui servizi di investimento, elaborata con il concorso del Comitato europeo delle autorità di supervisione dei mercati finanziari (CESR) [63] .

Il Ministro dell’economia e delle finanze [64] ha prospettato la possibilità d’individuare limiti ulteriori alla circolazione dei prodotti finanziari collocati presso i soli investitori professionali, oltre quanto già disposto dall’articolo 2412, secondo comma, del codice civile [a norma del quale, in caso di successiva circolazione delle obbligazioni, chi le trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali], la cui estensione agli strumenti e prodotti finanziari emessi all’estero e collocati, ivi o in Italia, presso i soli investitori professionali, nel caso in cui essi vengano successivamente diffusi in Italia nell’esercizio delle attività di prestazione dei servizi d’investimento, è prevista dall’articolo 38 del disegno di legge A. C. 4705 presentato dal Governo alla Camera.

Benché, secondo una parte della dottrina, l’estensione dell’applicazione dell’articolo 2412 del codice civile vada considerata con cautela, potendo implicare il rischio di disimpegno del sistema creditizio dal mercato del collocamento [65] , l’ipotesi in questo senso avanzata è stata condivisa da Assogestioni, che ha proposto altresì, quale rimedio ad una possibile traslazione del rischio connesso alla qualità dell’emittente dall’intermediario al risparmiatore, di prevedere che l’intermediario debba formalmente attestare la rispondenza o meno dell’investimento al profilo di rischio del cliente [66] . L’ipotesi ha suscitato perplessità nel sistema bancario per la difficoltà d’identificare a priori in modo esauriente, non arbitrario e non lesivo della riservatezza la propensione al rischio di ognuno dei milioni di risparmiatori detentori di titoli [67]. Su questa stessa linea si colloca l’ipotesi di richiedere agli emittenti di certificare, continuamente o a date precise, determinate caratteristiche di rischio dei loro prodotti[68].

Tra le proposte avanzate, si è già detto nel paragrafo precedente dell’ipotesi di prevedere un termine prima del quale il soggetto collocatore non possa procedere alla diffusione degli strumenti presso il pubblico. Il Presidente dell’ABI ha invitato per altro a considerare, a questo riguardo, che l’introduzione di vincoli a carico degl’intermediari – mantenimento dei titoli nel portafoglio per un certo periodo, divieto di cessione di una certa quota di essi, obbligo di garantire la solvenza dell’emittente – potrebbe gravare in misura rilevante sul costo sopportato dalle imprese per l’emissione dei titoli[69].

Ulteriori misure di garanzia potrebbero riguardare le pratiche di negoziazione dei titoli e la qualità dell’assistenza e dell’informazione che in queste circostanze dev’essere fornita all’acquirente. Se infatti il passaggio dei titoli dagli investitori istituzionali ai risparmiatori costituisce il momento critico nel quale può esplicarsi il conflitto, nel collocamento di obbligazioni societarie in assenza di un’offerta pubblica di vendita, il presidio per gl’investitori è fornito – secondo il Presidente della CONSOB – dall’osservanza delle norme di correttezza e di trasparenza sulla base di idonee regole organizzative e procedurali degl’intermediari [70]. Gli interventi in quest’ambito potrebbero riguardare sia la documentazione informativa da sottoporre all’acquirente (contemperando le esigenze di completezza con quelle di chiarezza e semplicità), sia l’organizzazione degli intermediari, laddove le direttive impartite al personale e la determinazione degli obiettivi – ad esempio con “l’eccesso o la stranezza degli incentivi” per determinate operazioni [71] – possano indurre comportamenti difformi dalle regole di correttezza e dagli obblighi risultanti dal rapporto fiduciario con il cliente.

Il ricorso a strumenti anomali d’incentivazione del personale legati alla vendita di determinati strumenti finanziari è stato stigmatizzato dalle organizzazioni sindacali [72]; ma ad esempio Banca Intesa ha escluso di avere fatto ricorso a sistemi basati su obiettivi incoerenti con i profili di rischio della clientela [73]. Da parte sua il Presidente di Capitalia, escludendo che gli operatori a contatto con il pubblico abbiano mai avuto un obbligo o un interesse a insistere per la vendita di un titolo piuttosto che di un altro, ha rilevato come le valutazioni e gl’incentivi al personale siano collegati a parametri generali di redditività e di stock per tipologia di servizio e non alla vendita di singoli prodotti, né al collocamento di titoli emessi da soggetti diversi dalla banca [74].

4. 5. L’informazione nei riguardi dei risparmiatori.

Nell’ultimo decennio, anche in conseguenza della riduzione dei margini d’intermediazione, le banche hanno aumentato la quota dei ricavi derivanti dalla prestazione di servizi finanziari. Ad avviso del Governatore della Banca d’Italia, ciò avrebbe probabilmente richiesto una più alta professionalità soprattutto per la consulenza ai risparmiatori meno esperti [75]. Poiché infatti la banca è per essi il principale interlocutore, spetta a questa fornir loro informazioni chiare e attendibili, in particolare sulla relazione tra rendimento e rischio connesso, nel pieno rispetto della normativa comunitaria in materia di trasparenza, che prevede un’attenta informativa contrattuale e soprattutto precontrattuale [76].

Uno strumento utile a questo fine è stato individuato nel recepimento della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato [77].

I rappresentanti dell’ABI hanno segnalato che l’Associazione, atteso che molti risparmiatori non sono interessati ad acquistare un servizio di gestione, preferendo decidere autonomamente i propri investimenti, ha promosso un programma informativo, predisposto a livello di settore e fornito a titolo gratuito, in base al quale le banche possano offrire un elenco di titoli selezionati, aventi caratteristiche idonee al contenimento del rischio d’investimento, prevedendo che, ove questo aumenti, il cliente sia informato mediante apposita comunicazione [78].

Deve tuttavia aversi consapevolezza del fatto – segnalato dal Presidente della CONSOB sulla base dell’esperienza delle recenti vicende – che “anche il realizzarsi di condizioni di trasparenza non è elemento sufficiente ad impedire situazioni di crisi”[79]. A questo fine è necessario che le informazioni diffuse rappresentino fedelmente la realtà finanziaria e produttiva delle imprese: ciò rinvia al problema dell’organizzazione societaria e dei controlli interni ed esterni sulla gestione e sui bilanci, di cui si tratterà nelle successive sezioni.

Secondo Assogestioni, che ha insistito sulle regole di comportamento degli operatori, vanno rafforzati il livello e la frequenza della comunicazione finanziaria che emittenti e operatori sono tenuti a prestare al mercato, e dev’essere estesa l’informazione continuativa e periodica al cliente (anche senza sua richiesta) e a tutti gli agenti di uno stesso settore; occorre insistere sul dovere di usare la diligenza necessaria ad assicurare la migliore esecuzione delle attività svolte per conto dei clienti (la cosiddetta best execution) [80].

Da parte loro le banche hanno illustrato alcuni interventi diretti ad evitare il ripetersi di incidenti, come la decisione di non collocare né vendere titoli senza rating, ovvero con rating inferiore all’investment grade, e di sconsigliarne l’acquisto ai clienti che ne facessero richiesta [81], o l’introduzione di sofisticati strumenti per misurare i rischi finanziari dei portafogli dei risparmiatori nonché dei singoli titoli [82].

4. 6. Concentrazione del capitale e “scatole cinesi”.

Nel corso dell’indagine è emerso che uno dei problemi strutturali del sistema finanziario italiano risiede nell’elevato livello di concentrazione del capitale delle società quotate nelle mani di un ridotto numero di soggetti, i quali spesso detengono la maggioranza dei voti esercitabili nelle assemblee ordinarie. In molti casi gli stessi soggetti che controllano le società rivestono anche il ruolo di amministratori esecutivi, riducendo la dialettica tra proprietà e direzione che viceversa costituisce uno dei punti di forza del modello di governo societario anglosassone.

Come ricordato da Borsa Italiana SpA, tale assetto societario può produrre un sostanziale squilibrio tra azionisti di controllo e minoranze in termini di rapporto tra capitale investito e potere decisionale, che può consentire un più elevato ricavo di “benefìci privati” dalla gestione della società . Questa situazione è poi accentuata sia per la presenza limitata di investitori istituzionali capaci di esercitare un controllo effettivo sulla gestione societaria, sia per il frequente utilizzo di strumenti [quali i patti di sindacato e le catene societarie] che consentono ad un unico soggetto di controllare una società con un investimento molto inferiore a quello che sarebbe necessario per acquisire la maggioranza del capitale[83].

L’indagine ha affrontato anche la problematica delle cosiddette “scatole cinesi”, espressione con cui viene indicato quel fenomeno in virtù del quale l’attivo di una società quotata in borsa è rappresentato prevalentemente dalla partecipazione – per lo più di controllo – in un’altra società quotata.

Su questo tema Borsa Italiana SpA ha segnalato di avere allo studio alcune misure volte a scoraggiare la formazione di nuove “scatole cinesi”: strumenti di tipo informativo intesi a rendere nota e trasparente la situazione del mercato, aumentando gli obblighi d’informazione sulle operazioni intragruppo; misure sul governo societario dirette ad incrementare la tutela delle minoranze (in particolare, nel caso di società controllata da un’altra società quotata, la società controllata dovrebbe dotarsi di un comitato di controllo interno composto esclusivamente da amministratori indipendenti); utilizzo delle segmentazioni di mercato al fine di segnalare agl’investitori i profili di potenziale criticità che caratterizzano le “scatole cinesi” [84].

4. 7. Prodotti assicurativi e fondi pensione.

Si è già ricordato (sopra, sezione 4. 1) come da varie parti sia stato espresso l’avviso che una più ampia diffusione del ricorso a strumenti gestiti da investitori istituzionali varrebbe a limitare il danno finanziario prodotto a carico di risparmiatori e piccoli investitori da fenomeni di crisi aziendale che – al di là dell’aspetto patologico costituito dalla frode – rappresentano un fatto difficilmente eliminabile in un sistema economico di mercato.

Questa considerazione sembra confermata, nei casi che hanno dato occasione alla presente indagine, dalla limitata incidenza che questi eventi hanno avuto sulla posizione di soggetti particolarmente qualificati nell’attività d’investimento e sottoposti a vigilanza prudenziale, quali sono le compagnie di assicurazione e i fondi pensione.

Secondo le stime effettuate dall’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e d’interesse collettivo (ISVAP), le vicende Cirio e Parmalat non hanno apportato alcun vulnus ai diritti degli assicurati e dei danneggiati, né è stata minata in conseguenza di esse la solvibilità di alcuna compagnia di assicurazione.

In particolare, per quanto riguarda le emissioni del gruppo Cirio, risulta un’esposizione limitatissima riferibile soltanto a due compagnie, che al 30 giugno 2002 detenevano in portafoglio titoli Cirio destinati a copertura delle riserve tecniche della gestione danni per complessivi 3 milioni di euro. Tali titoli sono stati sostituiti con ulteriori attivi idonei disponibili nel patrimonio. In relazione alla vicenda Parmalat, ventitré società hanno emesso polizze di cauzione per un’esposizione complessiva lorda di 343 milioni di euro. Al netto delle quote cedute in riassicurazione (pari a 115 milioni) e di una garanzia collaterale costituita con polizza di capitalizzazione (30 milioni), l’insolvenza del gruppo potrebbe incidere sul mercato assicurativo per un ammontare massimo di 198 milioni di euro, di cui 144 milioni relativi a pagamenti e rimborsi d’imposte [85]. Sulle compagnie italiane, secondo quanto riferito dai rappresentanti dell’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici [ANIA], ricade circa il 5 per cento del totale delle esposizioni di imprese assicuratrici europee presso la Parmalat [86].

Anche rispetto ai fondi pensione, l’impatto dei recenti dissesti di imprese italiane [Cirio e Parmalat] è stato molto limitato e tale da non pregiudicare la tenuta del comparto, né inficiare i risultati positivi delle gestioni finanziarie dei fondi pensione per il 2003 [87].

Secondo i dati indicati dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), un solo fondo era in possesso di obbligazioni Cirio, d’importo non trascurabile in termini assoluti ma non superiore allo 0,8 per cento del patrimonio del fondo stesso, mentre, per quanto riguarda i titoli del gruppo Parmalat, su 166 fondi soltanto otto hanno operato nel 2002-2003 investimenti anche solo temporanei su tali strumenti, il cui ammontare – molto inferiore a quanto pure sarebbe stato giustificato dalla presenza del titolo nel MIB30 – alla fine del 2003 risultava di 14 milioni di euro, ripartiti in quote non superiori allo 0,7 per cento del patrimonio dei singoli fondi che li possedevano [88]. Non risulta interessato neppure il fondo del settore alimentare (Alifond), di recente istituzione, che non era in possesso di titoli dei gruppi insolventi [89]. Per altro, un’organizzazione sindacale ha segnalato l’esigenza di approfondimenti in relazione alla riduzione del rendimento lordo di alcuni fondi ritenuta ascrivibile al possesso di obbligazioni della società Cirio [90].

I problemi che si pongono rispetto agli strumenti finanziari predisposti e diffusi da imprese del settore assicurativo attengono principalmente all’evoluzione in esso recentemente intervenuta, con l’ampliamento del numero e della natura dei prodotti offerti. Si segnala in quest’àmbito una commistione fra gli aspetti tradizionali di copertura del rischio ed elementi di carattere finanziario connessi alla correlazione con indici, tali da assimilare questi prodotti a strumenti derivati. Ciò richiede evidentemente garanzie ulteriori rispetto a quelle riferite alla mera stabilità patrimoniale dell’emittente: in particolare, l’accresciuta complessità dei prodotti offerti impone che sia resa al contraente un’adeguata informazione in relazione a contenuti sensibilmente diversi da quelli dei servizi che questi è solito attendersi dall’impresa assicuratrice.

Prescindendo dal rilievo che questo mutamento può assumere in rapporto alle forme della vigilanza (di cui si tratterà nella successiva sezione 9), giova qui richiamare quanto si è detto dell’anomalia che, nell’evoluzione del contesto economico, sembra rappresentare l’esclusione delle polizze assicurative a contenuto finanziario dagli obblighi informativi previsti per gli strumenti finanziari (sopra, paragrafo 4. 3). A questo proposito l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA) ha prospettato l’opportunità di distinguere, nell’esercizio dell’attività assicurativa, i prodotti finanziari dai prodotti del ramo danni, retti da norme affatto diverse e rispondenti a diversa finalità. Rispetto ai primi, ha suggerito l’ulteriore distinzione tra prodotti finanziari in cui il rischio è principalmente a carico del risparmiatore e prodotti in cui esso è prevalentemente sopportato dalla compagnia[91].

Per quanto riguarda i fondi pensione, le esigenze d’informazione non si esauriscono nel momento dell’adesione del lavoratore, ma persistono nell’intera durata dell’iscrizione al fondo. Correttezza di gestione e garanzia di redditività non possono per altro essere sottoposte al solo giudizio degli iscritti e del mercato, ma – ancor più in ragione della finalità sociale e dell’orizzonte temporale di lungo periodo che connota queste prestazioni – debbono essere garantite da regole e controlli esercitati dalla pubblica autorità. Ad essa primariamente appartiene quindi la prevenzione e la vigilanza sui conflitti d’interessi e sugli sviamenti che potrebbero essere particolarmente nocivi in questo settore.

Il Presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) ha ricordato che la normativa vigente, sulla base del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, impone princìpi di sana e prudente gestione, che si concretano, fra l’altro, in obblighi di diversificazione e nell’imposizione di limiti quantitativi all’investimento in titoli emessi dalle imprese che rivestano il concorrente ruolo di datori di lavoro. Le convenzioni di gestione sono predisposte su schemi definiti dalla COVIP. I mandati di gestione limitano o escludono l’investimento in titoli di imprese che non siano dotate di rating elevato [92].

Per quanto in particolare attiene all’eventualità di conflitti d’interessi, deve rilevarsi come, diversamente dagli Stati Uniti, ove sono diffusi i fondi previdenziali aziendali precostituiti dai datori di lavoro, la scelta largamente prevalente in Italia nel senso d’istituire fondi pensionistici di categoria, cosiddetti negoziali, ponga la previdenza complementare tendenzialmente al riparo da condizionamenti di parte aziendale [93].

Lo stesso Presidente della COVIP ha ricordato inoltre che la Commissione è intervenuta per valorizzare in rapporto a questi aspetti il ruolo del responsabile del fondo, prevedendo in particolare che ogni modifica al regolamento della società di gestione sia accompagnata da una relazione in cui il responsabile stesso ne espliciti la valutazione dallo specifico punto di vista dell’interesse degli iscritti. È inoltre in avanzata fase di elaborazione il regolamento del Ministero dell’economia e delle finanze che, d’intesa con la COVIP, disciplinerà le regole in materia di conflitti d’interessi per i cosiddetti fondi pensione preesistenti [94].

PARTE II

CONTROLLI INTERNI ED ESTERNI SULLA GESTIONE DELLE SOCIETÀ

5. Il governo societario.

Il secondo principale oggetto dell’indagine consiste nella verifica del funzionamento e del grado d’idoneità dell’attuale sistema di controlli societari, interni ed esterni, rispetto al fine di assicurare la trasparenza della gestione finanziaria, di garantire la tutela dei diversi soggetti coinvolti e di evitare conflitti d’interessi.

Nel sistema delineato dal codice civile e, per le società quotate in mercati regolamentati, dalle norme contenute nel testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria, un ruolo fondamentale per la vigilanza sul rispetto degli obblighi di legge, dei princìpi di corretta amministrazione e dell’adeguatezza dei sistema amministrativo e contabile delle società, anche rispetto al suo concreto funzionamento, è attribuito agli organi di controllo interno [collegio sindacale e organi corrispondenti nei sistemi alternativi previsti a séguito della recente riforma del diritto societario], che – per la loro posizione – possono cogliere tempestivamente e segnalare disfunzioni e comportamenti scorretti degli amministratori [95]. La centralità dei controlli endosocietari è confermata anche dall’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, che consente d’imputare alla società i reati commessi dagli amministratori qualora non siano state costituite idonee strutture interne di controllo [96].

L’adempimento degli obblighi di legge da parte di questi organi e dei soggetti responsabili della revisione contabile costituisce – secondo quanto rilevato dal Presidente della CONSOB – il presupposto per l’intervento delle autorità di vigilanza, la cui tempestività ed efficacia può altrimenti risultare compromessa [97].

I dati forniti dal Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti sulla base di uno studio del luglio 2003 dimostrano il ruolo positivo del collegio sindacale nel prevenire ed evitare le crisi d’impresa, che risultano meno frequenti nell’àmbito delle società provviste di tale organo [98]. Sarebbe quindi impropria una generalizzata svalutazione dell’efficacia dei presìdi interni posti dal vigente ordinamento a garanzia della legalità nell’operare delle società commerciali.

È stato tuttavia generalmente riconosciuto come, nelle recenti vicende che hanno dato origine all’indagine svolta dalle Commissioni, i sistemi di controllo interni [collegio sindacale] ed esterni [società di revisione] abbiano dimostrato profonde carenze. La vulnerabilità di questi controlli in presenza di comportamenti fraudolenti gravi ed estesi non rappresenta d’altronde un fenomeno esclusivamente italiano, com’è risultato evidente da casi analoghi verificatisi in Europa e negli Stati Uniti [99]. Le conseguenze sono assai dannose, poiché la tutela del risparmio raccolto dalle imprese è affidata da un lato al corretto ed efficiente funzionamento dei mercati finanziari, dall’altro alla trasparenza dei conti delle società, garantita dai controlli interni sulla gestione e dalla sorveglianza sulla corretta rappresentazione della loro situazione finanziaria [100].

Vengono dunque primariamente in rilievo nell’àmbito delle questioni qui trattate la composizione, le funzioni, i poteri e le relazioni fra gli organi d’amministrazione e di controllo delle società, nonché, nella struttura dei gruppi – in ragione delle patologie che vi si possono occultare -, la regolazione di talune situazioni critiche inerenti ai rapporti con parti correlate e all’esistenza di società controllate, collegate o sottoposte a comune controllo stabilite in paesi esteri connotati da un regime fiscale o societario di particolare favore o poco atto a fornire le necessarie garanzie di trasparenza (cosiddetti paradisi fiscali o legali).

Riforme rilevanti, come è noto, sono intervenute recentemente nella materia sulla base della delega legislativa contenuta nella legge 3 ottobre 2001, n. 366. In particolare, con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, successivamente integrato dal decreto legislativo 6 febbraio 2004, n. 37, è stata innovata la disciplina delle società di capitali con significative modificazioni rispetto alla composizione, alle competenze e ai poteri degli organi e l’introduzione di nuovi modelli strutturali per le società per azioni. La disciplina di queste formule alternative, non ancora sperimentate nel loro effettivo funzionamento, ha inteso per altro assicurare – come rilevato dal sottosegretario di Stato per la giustizia Michele Vietti – una piena equivalenza rispetto al sistema dei controlli previsto dal modello tradizionale della società fornita di collegio sindacale[101]. Il sottosegretario Vietti ha prospettato la possibilità di ulteriori interventi che, sulla base dell’esperienza applicativa e di quanto emerso a séguito delle vicende considerate nell’indagine, potrebbero adottarsi nell’anno in corso sulla base della delega legislativa ancora esercitabile per gli aspetti relativi alla disciplina societaria [102].

5. 1. Gli organi interni d’amministrazione e controllo.

Il primo e fondamentale presupposto per la trasparenza nei riguardi del mercato e la tempestività d’informazione e intervento dell’autorità di vigilanza è stato individuato nella presenza di organi di controllo indipendenti all’interno delle imprese [103].

A questo riguardo, sono state specificamente segnalate alcune cause di conflitto d’interessi riferite rispettivamente:

1) all’attività dei soci di controllo che rivestano anche la qualità di amministratori delegati, specialmente laddove essi risultino interessati in operazioni con parti correlate;

2) alla scelta dei sindaci da parte del medesimo socio di controllo che nomina gli amministratori;

3) alla posizione dei revisori, scelti dal socio di controllo o interessati a rapporti di consulenza [di questi si tratterà nella successiva sezione 6).

5. 1. 1. Il consiglio d’amministrazione.

La gestione delle società spetta istituzionalmente agli amministratori, che dispongono dei poteri necessari e soggiacciono alle conseguenti responsabilità. Il primo àmbito nel quale possono manifestarsi problemi e debbono apprestarsi conseguenti regole è pertanto quello della loro scelta, che – fermi restando l’autonomia dell’impresa e il principio maggioritario che presiede alle decisioni assembleari – deve fornire sufficienti garanzie anche a quanti, partecipando con il loro capitale di rischio, ancorché in posizione minoritaria, debbono godere di tutele adeguate, ragionevolmente commisurate all’esigenza di non fornire occasione all’esercizio pretestuoso di poteri d’interdizione pregiudizievoli al perseguimento degli obiettivi sociali.

Secondo i rappresentanti della Confindustria, la recente riforma del libro V del codice civile ha delineato rispetto alla responsabilità degli amministratori e alla trasparenza della loro gestione un sistema di regole completo e avanzato che, al momento, non abbisogna d’interventi di modifica normativa, mentre appaiono necessarie incisive riforme sui controlli interni e sui poteri dei sindaci [104].

Alcuni interventi proposti da questa Confederazione in materia di governo societario riguardano il Codice di autodisciplina redatto dal Comitato per la corporate governance delle società quotate (il cosiddetto “Codice Preda”) [105]. La Confindustria ritiene infatti opportuno valorizzare il principio di autoregolazione delle imprese, rafforzando tuttavia i meccanismi di controllo, la trasparenza e l’informazione al mercato, l’efficacia suasoria per la diffusione delle forme organizzative e delle procedure raccomandate, nonché gli strumenti vòlti a far emergere tempestivamente le irregolarità.

Il caso Parmalat ha infatti evidenziato l’elusione sostanziale delle regole contenute in tale codice. Nonostante la dichiarata adesione ad esso, la società risultava gravemente inadempiente rispetto alla composizione e al funzionamento del consiglio d’amministrazione e del sistema dei controlli interni: nell’organo amministrativo di Parmalat Finanziaria erano presenti ben otto dipendenti della società, mentre i componenti definiti indipendenti e presenti anche nel comitato per il controllo interno mancavano in realtà di tale requisito in quanto legati alla società.

Ulteriori e più adeguati meccanismi informativi da parte delle imprese circa l’attuazione delle regole di autodisciplina dovrebbero consentire agli investitori di valutare l’effettiva adesione della società ai princìpi ivi posti. A questo fine, secondo la Confindustria gioverebbe anche attribuire agli organi di controllo interni o, eventualmente, a soggetti esterni qualificati il compito di verificare le modalità di attuazione di tali regole e la sostanziale veridicità della relazione sulla corporate governance [106]. La previsione normativa di una relazione sulla struttura interna e sulla sua adeguatezza è stata richiesta dall’Associazione italiana dei revisori contabili [107].

Anche secondo i rappresentanti dell’Assonime, la diffusione d’informazioni su elementi selezionati che consentano di verificare gli effettivi comportamenti delle società aderenti al Codice di autodisciplina – i cui princìpi risultano per altro applicati oramai dalla quasi totalità delle società quotate – assumerebbe una funzione di stimolo [108]. A tal fine, l’Assonime, in collaborazione con le emittenti di titoli e le maggiori società quotate, ha preparato una guida alla redazione della relazione sulla corporate governance prevista dal Codice. I rappresentanti di Borsa italiana SpA hanno invitato a valutare la possibilità di trasporre a livello legislativo o regolamentare talune previsioni del medesimo Codice – segnatamente quelle riguardanti il numero degli amministratori indipendenti e il comitato di controllo interno – come requisiti per l’ammissione o la permanenza nella quotazione, prevedendo obblighi d’informazione al pubblico e poteri di verifica, ad esempio da parte del collegio sindacale [109]. Per rafforzare l’affidabilità dell’informazione è stata prospettata l’ipotesi di sanzionare l’inadempimento degl’impegni la cui assunzione in via di autoregolamentazione sia stata comunicata al pubblico [110]. La previsione di requisiti più stringenti in materia di governo societario potrebbe essere estesa, in generale, alle società che si finanzino in misura significativa sul mercato [111].

Nel medesimo ambito, per quanto riguarda l’assetto degli organi di gestione, i rappresentanti dell’ABI hanno segnalato l’opportunità d’integrare il Codice di autodisciplina mediante il divieto di cumulare nella stessa persona la carica di amministratore delegato e di presidente della società [112].

Sul piano legislativo, invece, tra le possibili iniziative utili per meglio regolare la materia sono state indicate, in generale, quelle contenute nella relazione della commissione Galgano[113] e le misure adottate negli Stati Uniti con il Sarbanes-Oxley Act [114].

Più specificamente, rispetto alla composizione dell’organo di amministrazione si è proposto di rendere obbligatoria la presenza di membri indipendenti [115], definendo in modo più stringente la nozione d’indipendenza e affidando ai presidenti delle società quotate un ruolo di garanzia e non di gestione [116]. La presenza di amministratori indipendenti è stata giudicata favorevolmente come fattore di trasparenza atto ad agevolare anche lo svolgimento della revisione contabile [117].

È stato infine segnalato il persistente, ma forse inevitabile squilibrio tra gli amministratori forniti di deleghe – e pertanto operanti con continuità nella gestione dell’impresa – e gli altri componenti del consiglio, formalmente chiamati a concorrere all’amministrazione ma in posizione sostanzialmente ben diversa dai primi [118].

Può ricordarsi a parte il fattore di possibile sviamento dei fini della gestione, riguardante specificamente i dirigenti aziendali, costituito dalle forme d’incentivazione o compenso rappresentate dalle opzioni su strumenti azionari della società [stock options], che inoltre – pur non comportando l’iscrizione di una passività nel bilancio, come si richiederebbe per l’erogazione di compensi in denaro – riducono comunque il valore delle quote degli altri soci. A questo riguardo è stata prospettata la possibilità di adottare una disciplina legislativa che ne limiti l’esercizio o comunque renda obbligatoria la comunicazione della loro entità nelle informative dirette al pubblico [119], ovvero imponga di mantenere il possesso delle quote azionarie per un determinato periodo [120].

5. 1. 2. I sistemi di controllo interno e il collegio sindacale.

Un elemento fondamentale nella struttura dei controlli societari è costituito dal collegio sindacale (o dal corrispondente organo nei nuovi modelli societari di recente introduzione). Anche in quest’àmbito – limitatamente alle società non quotate, per le quotate vigendo il diverso regime previsto dal testo unico delle leggi in materia d’intermediazione finanziaria – le recenti modificazioni recate al codice civile hanno inciso in maniera cospicua.

Dal sistema di controllo interno ha preso avvio l’analisi elaborata dai rappresentanti della Confindustria, secondo cui tale funzione dovrebbe essere a sua volta sottoposta ad un controllo di qualità da parte di un soggetto esterno qualificato, ad esempio un revisore (ovviamente diverso da quello incaricato della revisione dei bilanci). Dovrebbe rendersi nota l’identità dei soggetti responsabili del controllo interno e della certificazione delle attività svolte, e nel bilancio dovrebbe essere separatamente dato conto del sistema di controllo interno, della sua articolazione e soprattutto del suo concreto funzionamento, con indicazione degl’interventi svolti dal collegio sindacale e dal comitato per il controllo interno nonché degli esiti del controllo di qualità operato dal soggetto esterno.

Ai sindaci potrebbe essere attribuito il potere di chiedere direttamente a terzi, senza il necessario tramite della società, informazioni su operazioni compiute dagli amministratori. Sarebbe infine opportuno diffondere modelli di organizzazione, gestione e controllo conformi ai requisiti previsti dagli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 [121].

Nel corso dell’indagine sono state anche formulate ipotesi vòlte a meglio garantire l’indipendenza degli organi interni di controllo attraverso una più stretta disciplina delle incompatibilità, il rafforzamento degli obblighi di segnalazione delle irregolarità alla CONSOB e delle relative sanzioni, nonché la presenza di almeno un rappresentante delle minoranze nel collegio sindacale o corrispondente organo di controllo interno [122]. Un passo ulteriore a quest’ultimo riguardo sarebbe costituito dall’attribuzione della presidenza del collegio al componente di minoranza [123].

Nel caso della Parmalat, sul piano statutario, l’elevato quorum del 3 per cento del capitale sociale, previsto dallo statuto della società per l’elezione dei sindaci, ad avviso dei rappresentanti dell’Associazione italiana degli analisti finanziari avrebbe difficilmente consentito l’accesso di candidati di minoranza al collegio; un ulteriore elemento di opacità derivava dalla mancanza della prescrizione di pubblicare i curricula dei candidati in tempo utile per l’assemblea [124].

Le organizzazioni sindacali hanno richiamato la proposta di favorire la partecipazione dei lavoratori agli organi di controllo, che – in particolare per il settore bancario – sarebbe a loro avviso idonea ad instaurare più profonde forme di responsabilità sociale dell’impresa[125].

Dettagliate proposte riguardanti la composizione e la disciplina dei collegi sindacali sono giunte dai rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti [126]:

a] introduzione del controllo di qualità sull’operato dei sindaci;

b] scelta del presidente del collegio, da parte delle società quotate e di quelle che fanno comunque ricorso all’emissione di titoli, in una terna di professionisti di provata esperienza e professionalità, predisposta dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti [in coerenza con iniziative che prevedono di attribuire allo stesso Consiglio la gestione del registro dei revisori contabili]; designazione di un altro sindaco da parte dei rappresentanti degli obbligazionisti o dei titolari di strumenti finanziari emessi;

c] per le sole società quotate, divieto di svolgimento di qualsiasi attività di consulenza, diretta o indiretta, da parte dei membri del collegio sindacale nelle società sottoposte a controllo;

d] limitazione del numero degl’incarichi, anche nelle società non quotate;

e] formazione professionale continua, mediante l’obbligatoria acquisizione di un determinato numero di crediti formativi in materia di revisione contabile;

f] prescrizione di un sistema di controllo interno che cooperi con il collegio sindacale, per le società quotate, per quelle ad azionariato diffuso, nonché per le società eccedenti determinate soglie di fatturato e patrimonio netto, per quelle rilevanti sotto il profilo economico e sociale e comunque per quelle che emettono strumenti finanziari.

È stato da altre parti suggerito di sottoporre la struttura di controllo interno alla direzione dei sindaci – anche con previsione di un obbligo di relazione sull’attività da questa svolta [127] – contestualmente alla restituzione ad essi delle competenze contabili venute meno con la recente riforma e all’assegnazione del potere di nominare la società di revisione: una volta forniti di effettivi poteri e strumenti, i sindaci potrebbero venire investiti delle corrispondenti responsabilità rafforzate da idonee sanzioni [128]. Si è anche proposto di rendere obbligatoria la previsione statutaria di un comitato di controllo interno e di vietare ai membri dei collegi sindacali lo svolgimento di attività di consulenza in favore della società o di altri soggetti del medesimo gruppo [129].

Per favorire l’indipendenza e l’impegno professionale dei componenti dei collegi sindacali è stato suggerito altresì di adeguare la misura della loro remunerazione, la cui determinazione è attualmente rimessa allo statuto o alla deliberazione dell’assemblea [130].

La natura dei problemi segnalati suggerisce d’altronde l’opportunità di concordare soluzioni a livello internazionale in vista di una graduale convergenza dei sistemi di regolazione e di controllo, che semplificherebbe gli adempimenti per le imprese, sempre più largamente operanti nei mercati internazionali, e renderebbe più ardui l’aggiramento e l’elusione dei controlli [131].

5. 2. Tutela delle minoranze.

Alcuni degli elementi che attengono alla tutela delle minoranze sono già stati anticipati nei precedenti paragrafi, in quanto più ampiamente riferibili alla determinazione delle caratteristiche d’indipendenza dei membri degli organi societari poste a presidio del loro corretto funzionamento e dell’osservanza delle norme di legge e di statuto nella gestione dell’impresa.

Si può richiamare qui, oltre ai requisiti indicati per i membri del collegio sindacale dall’articolo 2399 del codice civile, definiti requisiti d’indipendenza nella disciplina delle società a sistema monistico di cui all’articolo 2409-septiesdecies del medesimo codice, la nozione di amministratore indipendente contenuta nel già citato Codice di autodisciplina. Esso definisce tali i soggetti che non intrattengono, direttamente, indirettamente o per conto di terzi, né hanno di recente intrattenuto relazioni economiche con la società, con le sue controllate, con gli amministratori esecutivi, con l’azionista o il gruppo di azionisti che controllano la società, di rilevanza tale da condizionarne l’autonomia di giudizio; non sono titolari, direttamente, indirettamente o per conto di terzi, di partecipazioni azionarie di entità tale da permettere loro di esercitare il controllo o un’influenza notevole sulla società, né partecipano a patti parasociali per il controllo della società stessa; non sono stretti familiari di amministratori esecutivi della società o di soggetti che si trovino nelle situazioni sopra descritte.

In aggiunta a quanto già esposto, si possono richiamare le proposte vòlte a ridurre il limite percentuale richiesto per il promovimento delle azioni di responsabilità [132] o ad agevolare la partecipazione degl’investitori istituzionali alla vita societaria [133]: a questo riguardo, l’Assogestioni ha segnalato l’elevatezza dei quorum cui è soggetta la presentazione delle liste per l’elezione dei membri degli organi, che preclude la stessa possibilità di concorrervi [134].

5. 3. Disciplina dei gruppi e rapporti con parti correlate.

La disciplina dei gruppi d’imprese trova fondamento nella definizione di società controllata e società collegata, enunziata nell’articolo 2359 del codice civile, e nelle norme in materia di direzione e coordinamento di società di cui al libro V, titolo V, capo IX, del medesimo codice, nelle nozioni di gruppo bancario e di vigilanza consolidata di cui al titolo III, capo II, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, e nelle corrispondenti norme di cui agli articoli 11 e 12 del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria.

Tra le innovazioni operate dalla recente riforma del diritto societario è stata segnalata come strumento particolarmente significativo la disciplina della responsabilità della società controllante nei confronti dei soci e dei creditori della società controllata, introdotta nell’articolo 2497 del codice civile [135].

Nel quadro delle relazioni interne ai gruppi d’imprese, l’esistenza di rapporti aventi contenuto non solo industriale e commerciale, ma anche finanziario non può ovviamente riguardarsi come fenomeno patologico, ma al contrario – nella complementarità degli scopi e delle forme organizzative che contraddistinguono le varie entità collegate – costituisce la ragione stessa dello sviluppo di un’articolazione sinergica fra diversi soggetti.

L’esperienza ha tuttavia dimostrato come una tale rete di rapporti con società controllate o collegate, che assume notevole complessità e può divenire talvolta difficilmente ricostruibile, offra spazio all’abuso laddove sussista una dolosa volontà di occultare situazioni negative o comunque comportamenti irregolari da parte dei soggetti che ne hanno il controllo. Questa situazione agevola altresì il compimento di operazioni in conflitto d’interessi fra imprese sottoposte a comune controllo da parte dei soggetti controllanti, secondo un meccanismo efficacemente descritto dal Presidente della CONSOB. Poiché infatti “l’incentivo all’appropriazione dei cosiddetti benefìci privati da parte dell’azionista di controllo (ma anche dei manager delle public companies, come insegna la vicenda Enron) è da ritenersi ineliminabile”, operazioni con parti correlate creano, in quest’àmbito, possibilità di guadagni personali superiori alle perdite che il soggetto subisce dalla riduzione di valore inflitta alla società [136].

I rimedi individuati a questo proposito risiedono nel rafforzamento degli obblighi di trasparenza, attraverso l’integrale attuazione delle regole che presiedono alla redazione e pubblicazione dei bilanci consolidati, e nell’osservanza delle norme che impongono la comunicazione dei conflitti d’interessi, il deferimento all’organo collegiale e l’adeguata motivazione dell’operazione da parte del consiglio d’amministrazione attraverso la puntuale indicazione di elementi oggettivamente valutabili [137]. Di queste operazioni dovrebbe essere dato conto in apposita relazione dei sindaci [138].

5. 4. Insediamento nei cosiddetti paradisi fiscali o legali.

Benché lo stabilimento di società collegate nel territorio di Stati esteri nei quali vigano più favorevoli norme fiscali o di diritto societario sia pratica diffusa presso gli operatori economici italiani e stranieri, e non autorizzi di per sé solo a presumere l’esistenza di condotte irregolari o situazioni di crisi nella gestione dei gruppi industriali che vi ricorrono, non è dubbio che possa costituire lo strumento per eludere le norme che disciplinano l’attività dei gruppi industriali e le regole di trasparenza poste a garanzia degli investitori e del corretto funzionamento dei mercati finanziari. È pertanto legittimo e opportuno ricercare nell’ordinamento interno soluzioni atte a contrastare i possibili abusi, in limiti non incompatibili con l’attuale disciplina dei rapporti internazionali e con le esigenze della competitività delle imprese italiane nell’economia globale.

Si è rilevata per altro l’opportunità di operare contestualmente sul piano sovrannazionale e internazionale per promuovere la convergenza su requisiti minimi inderogabili, l’adozione di regole comuni e l’elaborazione di intese operative fra le pubbliche autorità competenti nella materia. La collaborazione nelle sedi internazionali appare necessaria per affrontare il problema concernente i controlli sulle società collegate a soggetti aventi sede all’estero, anche ad evitare che soluzioni meramente interne risultino inefficaci o determinino svantaggi competitivi a carico delle imprese nazionali [139]. Una disciplina a livello europeo potrebbe altresì prevedere princìpi, strumenti ed eventualmente – in progresso di tempo – soggetti comuni per le verifiche su società aventi rilevante parte delle loro attività finanziarie in paradisi fiscali [140].

Gli interventi immediatamente praticabili sul piano della collaborazione internazionale sono, in particolare, il rafforzamento della cooperazione tra autorità di vigilanza e l’adozione dei princìpi elaborati dall’International Organization of Securities Commissions (IOSCO) in materia di analisti finanziari e agenzie di rating [141].

Misure più specifiche sono state indicate al livello dell’ordinamento nazionale in relazione alle società stabilite all’estero.

Vengono primariamente in rilievo a questo riguardo i cosiddetti paradisi legali, verso cui si rivolgono operazioni le quali – come spiegato dal Ministro dell’economia e delle finanze – “vedono il risparmio fiscale e l’arbitraggio fiscale solo come un posterius o un derivato, in disegni che sono mirati […] alla fuoriuscita dalla legalità o all’ingresso in forme di legalità apparente o tenue” [142].

Un problema preliminare è rappresentato dalla precisa definizione della nozione di paradiso legale. Per l’affine ma non necessariamente né esclusivamente identica nozione di paradiso fiscale soccorrono le indicazioni dell’articolo 167 [ex articolo 127-bis] del testo unico delle imposte sui redditi, emanato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, secondo cui lo Stato o territorio con regime fiscale privilegiato è connotato da un livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, dalla mancanza di un adeguato scambio d’informazioni ovvero da altri criteri equivalenti, rinviandone l’individuazione concreta a decreti del Ministro delle finanze [143].

Il Ministro dell’economia e delle finanze ha prospettato la possibilità di “applicare la tecnica del lifting of the corporation veil alle società incorporate in paesi catalogati nelle cosiddette black list” (ossia di considerare come nazionale, ai fini del diritto interno, la società straniera avente sede in un paradiso legale, quando essa, direttamente o indirettamente, sia di pertinenza italiana) [144].

Il disegno di legge A.C. 4705, all’articolo 39, specifica la soluzione proposta dal Governo, che, nel caso di società aventi sede in uno degli Stati individuati ai sensi del citato articolo del testo unico delle imposte sui redditi, controllate da società italiane o a queste collegate o comunque appartenenti a gruppi con operatività prevalente o rilevante in Italia o che qui raccolgano risparmio, prevede:

a) l’obbligo di allegare al bilancio della società italiana quello della società estera, redatto secondo i princìpi e le regole previste dall’ordinamento italiano;

b) la sottoscrizione del bilancio della società estera da parte degli organi d’amministrazione e controllo della società italiana e la certificazione da parte della società di revisione della società italiana o, se non nominata, da parte di altra società di revisione;

c) l’obbligo di relazione dell’organo d’amministrazione, sottoscritta dall’organo di controllo e allegata al bilancio della società italiana, sui rapporti intercorrenti fra questa e la società estera;

d) il controllo del bilancio della società estera controllata da società italiana con titoli quotati o diffusi tra il pubblico in misura rilevante, o a questa collegata, da parte dell’autorità pubblica di vigilanza, cui sono anche conferiti poteri informativi, ispettivi e regolamentari;

e) l’estensione delle responsabilità civili, penali e amministrative al bilancio della società estera.

Misure in parte analoghe sono state prospettate anche da altri soggetti ascoltati dalle Commissioni durante l’indagine. Il Governatore della Banca d’Italia ha segnalato l’importanza cruciale del rispetto della normativa sui bilanci consolidati da parte dei gruppi con estesa articolazione estera, i cui rapporti con società collegate aventi sede all’estero potrebbero essere condizionati a puntuali obblighi d’informazione circa “la natura, le finalità e le conseguenze” di tali insediamenti [145]. L’autorità di vigilanza dovrebbe essere dotata di poteri e mezzi idonei per compiere accertamenti presso la holding nazionale relativamente alla documentazione posta a base dei bilanci consolidati, in mancanza dei quali potrebbe essere vietato il ricorso al mercato finanziario [146]. Il Governatore ha segnalato come l’applicazione del nuovo accordo di Basilea, che richiederà a tutte le imprese bilanci trasparenti e completi, comprensivi anche delle attività estere, possa riuscire fruttuosa a questo riguardo [147].

La diffusione di documenti contabili redatti secondo princìpi uniformi è stata richiesta anche dalla Confindustria, che ha segnalato altresì l’importanza di uno specifico presidio della funzione di controllo interno sull’attività svolta da società finanziarie del gruppo operanti all’estero, nonché sui rapporti tra parti correlate, soprattutto quando siano presenti “società-veicolo” straniere [148]. I rappresentanti dell’ABI hanno suggerito al medesimo fine d’imporre ai certificatori l’obbligo di chiedere direttamente alle controllate estere le informazioni necessarie sulle operazioni significative poste in essere [149]. In rapporto al previsto obbligo di predisporre i bilanci delle controllate estere secondo i criteri previsti dall’ordinamento italiano si è rilevato che la verifica puntuale dell’osservanza di queste prescrizioni esigerà un notevole impegno da parte delle autorità pubbliche di controllo [150].

Più dubbia – secondo la posizione espressa dal Presidente della CONSOB in risposta ad una sollecitazione rivoltagli dall’on. Pinza – risulterebbe la legittimità e l’effettiva praticabilità d’iniziative intese a restringere la possibilità di quotazione in borsa o di certificazione del bilancio nei riguardi di società operanti in paradisi fiscali [151].

6. Le società di revisione.

Problemi non minori rispetto a quelli attinenti al funzionamento degli organi di controllo endosocietari sono emersi nei recenti casi di dissesto considerati durante l’indagine conoscitiva anche in relazione all’attività esercitata dalle società di revisione contabile, sulla cui condotta – secondo quanto comunicato dal Presidente della CONSOB, sono infatti in corso accertamenti [152].

L’attività di revisione – secondo quanto rappresentato dall’associazione di categoria – consiste in un controllo successivo, di tipo contabile, avente ad oggetto le informazioni consuntive sulle operazioni poste in essere dalla società in un periodo precedente. Essa, pur non comportando un giudizio sulla qualità della sua amministrazione, implica una valutazione sull’idoneità dell’organizzazione e sull’affidabilità dei sistemi interni di controllo: poichéinfatti la possibilità di riconoscere le irregolarità contabili dipende, oltre che dalla capacità del revisore e dal grado di complessità della gestione, dal funzionamento di tali sistemi di controllo, quando se ne rilevi l’insufficienza occorrerà un proporzionale approfondimento delle verifiche. Qualora anche attraverso questo risulti impossibile formulare un giudizio fondato sul bilancio, il revisore dovrà dichiarare tale impossibilità [153].

È stato rilevato da più parti come la presenza delle società di revisione e delle agenzie di rating sul mercato configuri un regime di oligopolio[154]. Su tale struttura oligopolistica dell’offerta di servizi di revisione, ad avviso della Confindustria, potrebbe incidere positivamente, accrescendo le possibilità di concorrenza, l’entrata in vigore della riforma del diritto societario che, obbligando alla revisione contabile tutte le società per azioni, salve alcune eccezioni, potrebbe determinare lo sviluppo delle società minori operanti nel settore, aumentando così il numero dei soggetti effettivamente in grado di competere su questo mercato [155]. Da altra parte si è tuttavia osservato che lo sviluppo dell’attività di consulenza è conseguito all’accresciuta pressione competitiva che dagli anni settanta ha ridotto l’entità dei corrispettivi prestati per gl’incarichi di revisione [156]: ciò ha inciso sulla qualità stessa della revisione, trasferitasi su un piano prevalentemente cartolare [157].

Situazioni di conflitto d’interessi si ravvisano in quest’àmbito sia nella scelta del soggetto revisore da parte del socio di controllo, sia nello svolgimento di altre attività di consulenza da parte delle società medesime ovvero di soggetti a queste collegati, sia nella partecipazione d’imprenditori, banche e società finanziarie al capitale delle società di revisione [158].

Problemi ulteriori riguardano la ripartizione della competenza fra più soggetti per la revisione dei conti delle diverse società facenti capo ad uno stesso gruppo. Com’è risultato nel caso Parmalat, l’esclusione di una parte della rete societaria – nel caso di specie, la finanziaria Bonlat – dalla sfera di competenza della società di revisione principale ha favorito l’alterazione dei bilanci, le cui incongruenze sono state oggetto di rilievi critici da parte dei revisori soltanto a seguito delle pressanti sollecitazioni rivolte dall’autorità di vigilanza al revisore principale affinché estendesse il perimetro delle proprie verifiche (si veda più avanti, paragrafo 9. 1).

Ad avviso dei rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, sussisterebbe infine, sotto il profilo della responsabilità, un regime ingiustificatamente agevolativo in favore delle società di revisione rispetto a quello vigente per i collegi sindacali: le società di revisione sono infatti soggette a responsabilità contrattuale nei riguardi della società soggetta a revisione e a responsabilità extracontrattuale verso i terzi danneggiati, mentre, a differenza di quanto previsto per i sindaci, nessuna azione di responsabilità può essere promossa nei confronti delle società di revisione da parte dei singoli soci ovvero dai creditori sociali [159].

6. 1. Requisiti, incompatibilità ed estensione della competenza.

Tra le proposte avanzate circa la disciplina delle società di revisione sono state genericamente richiamate le misure introdotte negli Stati Uniti [160] e l’adozione dei princìpi IOSCO in materia di analisti finanziari e agenzie di rating [161].

Più specificamente, si è ravvisata l’esigenza di rafforzare la disciplina delle incompatibilità con misure incidenti sia direttamente sulle società di revisione e sui soggetti [aziende, studi e singoli professionisti] con esse collegati, sia sulle persone fisiche in esse operanti, sia sulle società che si avvalgono dell’attività di revisione.

In materia d’incompatibilità vigono attualmente le regole stabilite dall’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1975, n. 136, che l’articolo 214, comma 2, lettera c], del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria ha abrogato con decorrenza dall’entrata in vigore del regolamento previsto dall’articolo 160, comma 1, non ancora emanato dal Ministro della giustizia. A questo proposito, il sottosegretario di Stato per la giustizia Michele Vietti ha prospettato l’opportunità di anticipare mediante lo strumento regolamentare alcuni interventi nella materia, trattata anche dall’articolo 43 del disegno di legge A.C. 4705.

Per quanto riguarda le misure direttamente incidenti sulle società di revisione, è stata diffusamente rappresentata nel corso dell’indagine l’esigenza di prevenire un evidente conflitto d’interessi vietando alle società di revisione di svolgere, anche indirettamente attraverso aziende, studi o professionisti collegati in una rete, attività di consulenza nei riguardi delle società sottoposte alla revisione [162].

La nozione di rete, come definita nella raccomandazione della Commissione europea del 16 maggio 2002 sull’indipendenza dei revisori legali dei conti nell’Unione europea [163], comprende la società di revisione, le sue consociate e qualsiasi altra entità da essa controllata o con essa soggetta a controllo, proprietà o gestione comuni, o collegata o associata in altro modo attraverso l’uso di una denominazione comune o la messa in comune di significative risorse professionali.

Non è mancato tuttavia chi ha rilevato come lo sviluppo di competenze multidisciplinari – estendentisi, ad esempio, oltre la materia contabile alle operazioni finanziarie, alla disciplina tributaria e alle forme di organizzazione aziendale – giovi al perfezionamento delle capacità d’interpretazione delle operazioni societarie e di revisione dei bilanci. In questa prospettiva, lo svolgimento di attività di consulenza concorrerebbe al completamento della figura professionale del revisore, e la prevenzione dei conflitti dovrebbe essere rimessa a regole che precludano la prestazione di tali servizi alle stesse società sottoposte alla revisione e, comunque, escludano ogni coinvolgimento del consulente nel processo decisionale [164].

Una dettagliata analisi degl’interventi possibili è stata formulata dai rappresentanti dell’ABI, che hanno indicato a questo riguardo:

a) il divieto di prestare attività di consulenza congiuntamente allo svolgimento dell’attività di revisione;

b) il divieto, nei riguardi dei soggetti che compongono il gruppo cui appartiene la società di revisione, di offrire alla società sottoposta a revisione servizi incompatibili con tale attività, la cui individuazione sarebbe rimessa all’autorità di vigilanza;

c) il divieto, nei riguardi della società sottoposta a revisione e delle sue controllanti o controllate, di conferire incarichi, diversi dalla revisione, alla società di revisione o a soggetti che compongono il gruppo cui essa appartiene;

d) l’obbligo, nei riguardi delle società di revisione, di comunicare annualmente all’autorità di vigilanza l’assetto della rete cui appartiene, con una descrizione dettagliata delle relazioni fra la società di revisione stessa gli altri soggetti ad essa collegati, da un lato, e le società sottoposte a revisione e le loro consociate, dall’altro [165].

Un’ipotesi alternativa alla rigida preclusione di ogni incarico è costituita dalla determinazione di un limite quantitativo, eventualmente commisurato all’entità del compenso percepito per la revisione del bilancio, che definisca l’incidenza massima di incarichi ulteriori rispetto alla revisione, conferiti dalla società sottoposta a revisione e da soggetti collegati o controllati al revisore e ai soggetti appartenenti alla sua rete [166].

È stato altresì proposto di valutare la possibilità di ampliare la portata delle regole di trasparenza in materia di incarichi di revisione, estendendole a tutti i revisori [e soggetti collegati] delle società rispetto alle quali l’emittente esercita attività di direzione e coordinamento, e comprendendovi gl’incarichi conferiti per un determinato tempo antecedente e successivo alla durata dell’incarico di revisione [167].

Un aspetto di dettaglio toccato nel corso dell’indagine concerne la conoscibilità dei professionisti operanti nell’àmbito delle società di revisione. Rispondendo a questo riguardo all’on. Pagliarini, il Presidente della CONSOB ha chiarito che, pur non potendosi imporre alle società di revisione internazionali operanti in Italia di cambiare denominazione, potrebbe essere utile prevedere l’esplicitazione delle persone fisiche che collaborano con esse [168].

Una riflessione specifica è stata sollecitata anche sulle incompatibilità relative alle persone fisiche, dipendenti delle società di revisione, che effettuano la revisione stessa.

Le recenti vicende hanno reso evidente la lacuna normativa che consente al dipendente di una società di revisione, dopo la scadenza del termine novennale massimo previsto dall’articolo 159, comma 4, del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria per la durata dell’incarico a quest’ultima conferito da un’impresa, di continuare a svolgere attività di revisione sui bilanci della medesima impresa transitando ad altra società di revisione. Per evitare la formazione di rapporti preferenziali basterebbe estendere l’applicazione del termine di durata massima dell’attività di revisione presso la medesima società anche alle persone fisiche (soci, amministratori e dipendenti delle società di revisione)[169].

Al medesimo fine, si dovrebbe prevenire la formazione di relazioni personali poco trasparenti istituendo un congruo periodo d’incompatibilità [cosiddetto cooling-off period] nel quale non sia consentito effettuare revisioni presso una società quotata se un amministratore o dirigente di questa abbia precedentemente prestato servizio presso la società di revisione o partecipato in qualunque modo alla revisione della stessa società [170]. Occorre per altro rilevare che il problema può porsi anche specularmente con il passaggio di responsabili della revisione ad incarichi d’amministrazione o direzione presso la società che si è valsa della loro opera.

Per quanto riguarda, infine, i controlli contabili sul bilancio consolidato dei gruppi d’imprese, l’Associazione dei revisori contabili ha chiarito che, laddove concorrano un revisore principale e uno secondario, spetta al primo verificare la reputazione dell’altro, impartire ad esso istruzioni sulle modalità di lavoro e sui princìpi contabili da adottare e richiedere la presentazione di un memorandum finale sul metodo seguìto. È prevista – come mera facoltà e non come obbligo – la possibilità che il revisore principale assuma complessivamente la responsabilità della verifica: in tal caso dovrà tuttavia riesaminare in dettaglio l’attività svolta dal revisore secondario[171].

A questo proposito è stata prospettata da più parti l’opportunità di prescrivere la scelta di un unico soggetto responsabile della revisione per l’intero gruppo, che potrebbe essere indicato dalla società quotata esercente l’attività di direzione e coordinamento, con ripartizione dei costi fra le controllate sulla base di criteri comunicati con il bilancio annuale [172]. Contro quest’ipotesi si sono espressi i rappresentanti dell’Associazione italiana dei revisori contabili, sia in ragione della complessità dei grandi gruppi industriali e delle dinamiche di acquisizione e fusione, che porterebbero inevitabilmente alla compresenza di più revisori, sia per l’effetto indesiderato di ulteriore concentrazione del mercato che una regola in tal senso provocherebbe, accentuando il predominio delle grandi società di revisione internazionali. La suddetta Associazione reputa adeguate le regole contenute nel principio di revisione 600, in forza del quale la parte di verifica attribuita al revisore principale dev’essere “preponderante” (non più semplicemente “superiore”), sia quantitativamente sia rispetto alla rilevanza degli oggetti, nel complesso dei controlli sul gruppo [173].

6. 2. Nomina, durata e remunerazione degli incarichi.

È evidente il conflitto – analogo a quello già descritto in relazione alla nomina del collegio sindacale – inerente alla scelta del soggetto cui è affidata la revisione contabile da parte del socio di controllo che, negoziando la remunerazione del servizio prestato ed esercitando il potere di conferma, può influire sui modi di svolgimento dell’incarico.

Le ipotesi avanzate a questo riguardo contemplano la traslazione del potere di nomina dall’assemblea al collegio sindacale (o all’organo corrispondente nei modelli societari alternativi) [174] ovvero l’attribuzione del potere di proposta all’organo di controllo, con successiva deliberazione dell’assemblea[175].

Si è suggerito da varie parti di restituire all’autorità pubblica di vigilanza il potere di approvazione della nomina del revisore contabile, già esercitato dalla CONSOB e venuto meno con l’entrata in vigore del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria. Sono state invece avanzate riserve sull’ipotesi di affidare direttamente alla medesima autorità il potere di nominare i revisori contabili. Rispondendo all’on. Pinza, che prospettava tale possibilità, il Presidente della CONSOB ha segnalato il rischio che ciò possa comportare l’assunzione di responsabilità in eligendo rispetto ad eventuali mancanze del soggetto nominato nello svolgimento dell’incarico [176].

Per quanto riguarda la durata dell’incarico, il Presidente della CONSOB ha rinviato a quanto suggerito dalla commissione Galgano in materia di durata dell’incarico [177], ossia il prolungamento a sei esercizi (in luogo dei tre attualmente previsti) con il contestuale divieto di rinnovo per il sessennio successivo. Anche ad avviso dei rappresentanti dell’ABI dovrebbe essere diminuita la durata massima dell’incarico, attualmente prevista in nove anni, limitando o escludendo la possibilità di rinnovo – che può condizionare l’indipendenza del revisore – e introducendo adeguati criteri di rotazione [178]. È stata segnalata l’opportunità di una durata sufficientemente lunga da consentire al revisore di sviluppare una conoscenza adeguata della società il cui bilancio è incaricato di certificare [179].

Un ulteriore aspetto meritevole di attenzione concerne la misura e le forme di erogazione del compenso per l’attività di revisione. Esso dovrebbe risultare idoneo a consentire al soggetto che assume l’incarico della revisione d’impiegarvi il tempo e i mezzi necessari per effettuare verifiche complete e accurate (con espressione suggestiva si è detto che ciò deve spingersi fino a “contare i pezzi in magazzino”), sotto l’usbergo delle necessarie garanzie di riservatezza commerciale [180].

Rispetto alla determinazione della retribuzione, che secondo l’Assonime dovrebbe essere parimenti rimessa all’organo di controllo [181], l’Associazione italiana dei revisori contabili, sulla base di quanto contenuto nella già citata relazione finale della commissione Galgano, ha proposto di affidare alla CONSOB la definizione di criteri generali [182]. I rappresentanti della Confindustria – esprimendo invece contrarietà verso ipotesi di regolazione amministrativa delle tariffe – hanno segnalato come l’adozione di un regime d’incompatibilità tra revisione e consulenza, limitando i compensi ottenibili attraverso la prestazione di servizi di consulenza e determinando quindi un adeguamento di quelli conseguenti all’attività di revisione, possa incidere positivamente sull’intero mercato delle società di revisione [183].

Un’ipotesi alternativa, vòlta a recidere il legame di dipendenza che potrebbe essere ingenerato dalla corresponsione del compenso da parte della stessa società sottoposta a revisione, è stata illustrata dall’Associazione degli analisti finanziari,

secondo cui la retribuzione potrebbe venire posta a carico di un fondo costituito dalle contribuzioni versate dalle società sottoposte a revisione per l’iscrizione nei listini di borsa [184].

Da più parti è stata infine proposta l’introduzione di forme di pubblicità relative ai compensi che, a qualunque titolo, la società di revisione e quelle del gruppo cui appartiene abbiano ricevuto da ciascuna società sottoposta a revisione e da soggetti ad essa collegati, nonché dell’incidenza di tali compensi rispetto al fatturato complessivo della società stessa ed eventualmente del gruppo [185].

6. 3. Controlli e responsabilità.

I rappresentanti delle autorità pubbliche di vigilanza hanno rilevato, accanto alla funzione fondamentale svolta dagli organi interni di controllo sulla gestione delle società, l’importanza della certificazione dei bilanci nel sistema che tutela il regolare funzionamento dei mercati, la corretta formazione delle decisioni degl’investitori e la garanzia del risparmio investito presso le imprese.

In questo quadro, si giustificherebbe la decisione di potenziare le forme di vigilanza sulle società di revisione, anche attraverso l’istituzione di una struttura apposita, a somiglianza del Public Company Accounting Oversight Board introdotto nell’ordinamento degli Stati Uniti d’America dal Sarbanes-Oxley Act. Tale struttura potrebbe essere collocata presso l’autorità che presiede alla trasparenza dell’informazione finanziaria [186].

Come si è detto nel paragrafo precedente, è stato suggerito da varie parti di restituire all’autorità pubblica di vigilanza il potere di approvazione della nomina del revisore contabile. Le competenze della medesima autorità dovrebbero altresì venire rafforzate mediante l’attribuzione di poteri regolamentari, la rimodulazione del sistema delle sanzioni amministrative con il loro aggravamento rispetto ad importi attualmente reputati insufficienti [187], una maggiore possibilità di graduazione della loro intensità e la previsione di misure cautelari [188]. È stato inoltre sollecitato l’aggravamento delle sanzioni penali specificamente riferite al reato di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione, di cui all’articolo 2624 del codice civile [189].

Si è proposto di sottoporre l’attività di revisione a certificazioni periodiche della qualità [190] sulla base di criteri stabiliti dall’autorità di vigilanza [191], anche in attuazione della raccomandazione della Commissione dell’Unione europea 2001/256/CE del 15 novembre 2000, nel contesto di verifiche costanti da parte dell’organo pubblico sulle società con riguardo alla loro idoneità organizzativa e capacità di svolgere gl’incarichi ricevuti [192].

Secondo i rappresentanti della Confindustria, sarebbe infine opportuno definire il regime di responsabilità patrimoniale delle società di revisione nei confronti della società conferente l’incarico e dei terzi, e disciplinare le forme e i limiti di solvibilità a queste richiesti [193]. Lo stesso suggerimento è stato avanzato dall’Associazione italiana dei revisori contabili in ragione della difficoltà di garantire altrimenti la copertura assicurativa di un’attività i cui profili di rischio – come rilevato dall’Associazione nazionale delle imprese assicuratrici – è altrimenti assai complesso definire [194].

7. Gli analisti finanziari e le agenzie di rating.

L’attività delle agenzie di valutazione (rating), che esprimono un giudizio di merito sugli emittenti di strumenti finanziari, e quella degli analisti finanziari, i quali suggeriscono strategie d’investimento sulla base dell’andamento delle società e del mercato, influisce in misura talvolta rilevante sulle decisioni degli operatori, intermediari e risparmiatori. Per quanto riguarda le prime, inoltre, il giudizio sugli strumenti finanziari è positivamente contemplato nella normativa secondaria riguardante le attività d’intermediazione finanziaria. È per conseguenza evidente la necessità di una più puntuale regolazione della prestazione di tali servizi al pubblico, sia rispetto alla qualificazione dei soggetti e al contenuto dell’attività esercitata, sia sul piano della prevenzione e regolazione dei conflitti d’interessi che possono insorgere nel suo svolgimento, sia, infine, sul piano della responsabilità che questa comporta.

Il rating è un’opinione indipendente sull’affidabilità finanziaria di un soggetto economico in un certo momento, in relazione alla sua capacità di far fronte puntualmente agl’impegni; da esso gl’investitori e i creditori possono ricavare una stima della probabilità d’insolvenza del debitore [195]. Le principali agenzie di rating hanno esposto o consegnato per iscritto alle Commissioni notizie sull’attività svolta e sui criteri seguìti nella valutazione del merito degli emittenti, dalle quali emerge che il contributo professionale di analisi da esse offerto presuppone i dati risultanti dalle comunicazioni pubbliche diffuse dalle società o forniti nell’àmbito del rapporto contrattuale con gli emittenti che richiedono il giudizio sui propri strumenti. Comunque, la veridicità dei dati non può essere accertata dall’agenzia, che si deve basare sulle verifiche preventivamente effettuate dall’organo amministrativo, dal collegio sindacale, dalla società di revisione ed eventualmente dal comitato per il controllo interno [196].

La società committente può riservarsi la decisione circa la pubblicazione del giudizio espresso su di essa, che, qualora non sia diffuso, è denominato rating confidenziale. La società Standard & Poor’s ha precisato che comunque, ove un rating confidenziale risulti essere stato divulgato, essa ne dà immediata comunicazione a tutto il mercato, indipendentemente dal consenso dell’emittente [197].

Il servizio è remunerato dalla società emittente sulla base di misure prefissate e del tempo di lavoro necessario. La medesima Standard & Poor’s ha dichiarato che, secondo le proprie regole interne, nessun cliente può incidere per una misura superiore all’1,5 per cento del fatturato complessivo della società[198].

L’organizzazione delle agenzie prevede regole di condotta e procedure interne vòlte ad assicurare l’imparzialità dei dipendenti e la correttezza delle valutazioni espresse: ad esempio, i giudizi sono assegnati collegialmente, gli analisti debbono comunicare qualsiasi loro investimento e non possono trattare strumenti finanziari afferenti al settore di loro competenza professionale, i compensi ad essi attribuiti non sono collegati all’andamento dei ricavi generato dagl’incarichi [199].

Secondo il giudizio espresso dai rappresentanti della Confindustria, le recenti crisi aziendali hanno determinato una perdita di affidabilità delle valutazioni delle società di rating sulla solvibilità delle imprese emittenti anche a causa della scarsa tempestività delle informazioni diffuse. Le iniziative prefigurate – che per la rilevanza non solo interna e l’àmbito in cui operano talune agenzie dovrebbero essere concordate anche in sedi internazionali – riguardano da un lato la previsione di obblighi informativi sull’attività svolta, dall’altro la ridefinizione dei criteri di valutazione adottati [200]. È stato anche suggerito, a quest’ultimo proposito, di affiancare alla tradizionale analisi economico-finanziaria una considerazione specifica dell’organizzazione societaria [201].

Un secondo aspetto critico è rappresentato dai conflitti d’interessi che possono interferire nel corretto svolgimento delle attività di analisi finanziaria da parte dei soggetti – singoli analisti o strutture organizzate – che le elaborano e le pubblicano. L’analista finanziario si trova infatti al centro del sistema costituito dalle società su cui verte l’analisi, dagl’intermediari bancari per cui opera, dalla clientela istituzionale [fondi e gestioni] e privata. A fronte di questa catena d’interessi, di cui l’analista può rappresentare l’anello debole, non appare sufficiente la volontaria autoregolamentazione, ma occorrono regole sanzionate o direttamente dalla legge, o dall’esercizio di poteri regolamentari dell’autorità di vigilanza, o attraverso l’introduzione di obblighi associativi nei riguardi di un’organizzazione fornita di poteri disciplinari [202]. Ad avviso dell’Associazione nazionale degli analisti finanziari non sarebbe invece necessario separare la ricerca dalle attività operative nell’organizzazione delle banche d’investimento o di altri intermediari finanziari, purché fosse efficacemente assicurata l’osservanza degli obblighi deontologici [203].

Per garantire l’indipendenza e la terzietà nell’esercizio di quest’attività è stato quindi suggerito di sottoporre al potere di regolazione della CONSOB tutti gli studi su titoli trattati in mercati regolamentati italiani e di assoggettare a norme di trasparenza e correttezza la condotta di coloro che redigono gli studi, includendovi anche i giornalisti e le altre persone che diffondono, seppure parzialmente, le informazioni in essi contenute[204]. Un’ipotesi ulteriore in materia di remunerazione delle prestazioni degli analisti – come dei revisori contabili – potrebbe essere quella di attribuire alla società di gestione del mercato forme di finanziamento che recidano il vincolo fra questi soggetti e le società che si avvalgono dei loro servizi [205].

Debbono segnalarsi infine le preoccupazioni espresse circa gli effetti della proposta di revisione della normativa europea sui servizi d’investimento, che potrebbe pregiudicare l’esercizio delle attività di analisi indipendenti dai grandi centri di ricerca, con l’effetto di ridurre la copertura sulle piccole e medie imprese [206].

8. I mercati regolamentati.

Tra gli elementi meritevoli di approfondimento, benché non direttamente investito dalle crisi che hanno dato origine all’indagine conoscitiva, è emersa nel corso di talune audizioni anche la posizione delle società che gestiscono mercati regolamentati.

I rappresentanti della Borsa italiana SpA hanno esposto, nel loro intervento, le competenze esercitate dalla società in materia di gestione dei mercati [207] e le iniziative adottate per favorire, direttamente o indirettamente, la trasparenza e l’efficienza del mercato, in particolare il Codice di autodisciplina per le società quotate (il già più volte menzionato Codice Preda), l’organizzazione del circuito informativo telematico (NIS) vòlto ad agevolare la conoscenza pubblica delle comunicazioni diffuse dalle società, nonché l’attività in corso per armonizzare le procedure di ammissione alla quotazione degli strumenti, così da ridurre il divario che spinge alcuni operatori a preferire la quotazione più semplice e celere offerta da borse estere [208].

Tra i problemi emersi al riguardo nel corso dell’indagine si segnala quello relativo alla composizione azionaria della società Borsa italiana SpA, che – sulla base di un modello mutualistico per altro tradizionale – vede la partecipazione degli stessi soggetti interessati nelle emissioni e, in particolare, la prevalenza degl’istituti di credito [209]. I rappresentanti della società di gestione hanno ricordato che le decisioni sulla quotazione sono riservate all’amministratore delegato, coadiuvato da un comitato istituzionale, e che questi è soggetto a rigorosi requisiti d’indipendenza [210]. Il Presidente della CONSOB ha per altro invitato ad approfondire questo tema in relazione alla possibilità di conflitti d’interessi nelle decisioni circa la quotazione delle società [211], suggerendo a questo riguardo la via di una regolamentazione attraverso atti normativi secondari [212]. Un’ipotesi più forte sarebbe quella di rimettere tali poteri all’autorità di vigilanza [213].

Invero, la proposta di direttiva europea relativa ai servizi d’investimento e ai mercati regolamentati [214] prefigura – senza per altro prescriverla obbligatoriamente – la separazione tra autorità con poteri di ammissione alla quotazione e soggetto gestore dei mercati. I rappresentanti dell’Assonime hanno invitato a considerare l’esigenza che eventuali decisioni di trasferimento della competenza circa l’ammissione delle società ai listini di borsa ad un’autorità pubblica non pregiudichi l’efficacia e la rapidità delle decisioni, oggi assicurate in misura soddisfacente da Borsa italiana SpA. A sua volta, la quotazione di quest’ultima, con l’abbandono della struttura proprietaria para-mutualistica che attualmente la connota, eliminerebbe alla radice ogni possibile limitazione alla capacità di competere con gl’intermediari bancari nella negoziazione dei titoli e nei servizi a ciò correlati[215]. Si è sostenuto altresì che l’introduzione di più soggetti nella gestione del mercato potrebbe attrarre ulteriori risorse accrescendo la funzionalità del sistema [216].

Parte III

LE AUTORITÀ PUBBLICHE DI VIGILANZA

9. 1. Problemi strutturali e funzionali nei casi Cirio e Parmalat.

Tra i problemi affrontati nel corso dell’indagine, accanto a quello riguardante l’interna organizzazione delle società e il funzionamento degli organi deputati al controllo della gestione, emerge certamente per importanza e complessità la questione concernente le competenze, l’organizzazione e l’idoneità dell’assetto complessivo degli organi pubblici di vigilanza sui mercati finanziari e sul sistema bancario, che sollecita particolarmente la responsabilità del legislatore sia perché attiene alla disciplina di organi amministrativi attraverso i quali lo Stato regola attività di fondamentale rilevanza per l’economia nazionale, sia perché investe l’esercizio di funzioni necessarie per garantire la legalità, la fiducia degli operatori e dei mercati, la corretta formazione delle decisioni d’investimento e la tutela del risparmio impiegato in queste attività.

Le Commissioni – pur senza disporre, nello svolgimento dell’indagine conoscitiva, degli speciali poteri che assistono le attività degli organi parlamentari d’inchiesta, e salva la competenza degli organi giurisdizionali nell’accertamento delle individuali responsabilità – hanno ritenuto necessario approfondire l’analisi delle recenti vicende, acquisendo le informazioni e le valutazioni dei competenti soggetti istituzionali e di altre qualificate fonti, per formare il quadro degli elementi di fatto utili a meglio comprendere la sussistenza di eventuali difetti o lacune nel funzionamento del sistema di vigilanza, le loro cause e i rimedi opportuni sul piano normativo.

Con particolare riferimento al caso Parmalat, il Ministro dell’economia e delle finanze – adducendo gli elementi di documentazione consegnati alle Commissioni – ha formulato riserve sull’attività svolta dalle autorità di vigilanza, e segnatamente dalla Banca d’Italia in relazione all’esistenza dei requisiti formali e sostanziali nelle emissioni obbligazionarie autorizzate e alla qualità dell’analisi effettuata sul livello d’indebitamento risultante dal bilancio consolidato del gruppo [217].

Relativamente al primo punto, il Governatore della Banca d’Italia ha osservato che l’articolo 129 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia assoggetta le emissioni di valori mobiliari e le offerte di valori mobiliari esteri in Italia all’obbligo di comunicazione alla Banca d’Italia, la quale può vietarne o differirne l’esecuzione – restando esclusa ogni valutazione di carattere economico sulla loro convenienza e sulla solvibilità dell’emittente – per incompatibilità con la capacità di assorbimento del mercato o per la presenza di elementi difformi dalle prescrizioni dell’ordinamento, ovvero nel caso in cui gli strumenti proposti abbiano caratteristiche difficilmente comprensibili o rendimento difficilmente calcolabile. Nessuna di queste condizioni, ad avviso della Banca d’Italia, ricorreva nei casi Cirio e Parmalat [218].

Quanto al secondo punto, il Governatore ha ricordato come fino al 2003 i titoli della società Parmalat abbiano goduto di elevato consenso presso gli analisti finanziari e di giudizi positivi da parte delle agenzie di rating. Poiché la legge non attribuisce alla Banca d’Italia competenze relative alla gestione e ai conti delle imprese commerciali né all’accertamento della veridicità dei loro bilanci, né conferisce ad essa il potere di chiedere alle stesse imprese informazioni di alcun tipo, per le valutazioni di propria competenza, l’organo di vigilanza può fondarsi unicamente sulle informazioni e sui bilanci pubblicati. Con specifico riguardo alla funzione di vigilanza bancaria, nella quale si esplicano le competenze e le responsabilità della Banca d’Italia, il Governatore ha precisato che esse sono state puntualmente adempiute, talché – secondo i dati da lui indicati – la vicenda non determina alcun rischio per la stabilità del sistema né di singoli intermediari.

I finanziamenti erogati da banche italiane risultano infatti assai frazionati fra complessive 120 banche (45 delle quali con esposizione superiore a 10 milioni di euro), in misura comunque largamente inferiore ai previsti limiti di concentrazione dei rischi. Per questo motivo i dati della centrale dei rischi – che per altro riguardano soltanto le banche italiane e le filiali di banche estere in Italia – non potevano suscitare allarme: tali dati, nel caso di specie, rappresentano circa un quarto dell’indebitamento finora accertato. La misura dei finanziamenti erogati dal sistema bancario italiano costituisce del resto lo 0,3% del totale degli impieghi, e – quand’anche dovesse verificarsene la perdita integrale – rappresenterebbe il 20% dell’utile netto di un solo esercizio. Debbono aggiungersi titoli per circa 250 milioni di euro detenuti nel portafoglio dalle stesse banche e per 66 milioni detenuti da fondi comuni d’investimento [219].

In generale, il Governatore ha ribadito che l’organo di vigilanza sul sistema bancario non può interferire sulle singole scelte di affidamento operate dagli amministratori, ma soltanto tenere sotto costante controllo la situazione finanziaria e in particolare l’adeguatezza del patrimonio di ciascun operatore rispetto al complesso dei rischi (qualità del portafoglio, concentrazione, incidenza di crediti anomali). A questo fine, oltre all’analisi dei dati comunicati e, ove necessario, degli elementi disponibili per valutare il profilo di rischio dei soggetti affidati (bilanci, rating, giudizi degli analisti, centrale dei rischi), la Banca d’Italia si avvale di ispezioni miranti ad accertare il rispetto delle norme di vigilanza e l’idoneità dei meccanismi di governo societario e di controllo interno, nonché la correttezza delle procedure di erogazione del credito [220]. Per quanto riguarda in particolare la centrale dei rischi, archivio al quale ogni banca comunica i nomi dei soggetti con esposizione superiore a determinate soglie avendo diritto a ricevere informazioni relative agli affidamenti concessi dalle altre banche, ha precisato che essa rileva solo i prestiti erogati dalle banche italiane e dagli altri soggetti vigilati; pertanto riguarda il solo sistema bancario e non può comunque consentire la ricostruzione dell’indebitamento di gruppi industriali che facciano ricorso ad intermediari esteri: in particolare, nel caso della Parmalat, i dati da essa ricavabili rappresentavano forse un quarto dell’indebitamento finora accertato [221].

Il Presidente della CONSOB ha specificato allo stesso proposito che gl’interventi dell’organo da lui presieduto nei riguardi della Cirio – volti a sollecitare una chiara informazione ai mercati sulla situazione finanziaria del gruppo – hanno preso avvio dal rilevante incremento dei crediti finanziari della società verso correlate facenti capo al medesimo soggetto proprietario [222]. Analogamente, nel caso Parmalat, le indagini della CONSOB sui criteri di contabilizzazione dei prestiti obbligazionari sono originate dal rilievo che il bilancio 2002 manifestava cospicue disponibilità liquide a fronte di un elevato livello d’indebitamento (situazione “di per sé non anormale se comparata con altre società quotate”, che poteva anche essere frutto di strategie societarie, l’anomalia consistendo nella falsità della rappresentazione nel bilancio e della sottostante documentazione). Gl’interventi di vigilanza – documentati da una lunga serie di atti il cui elenco è stato fornito alle Commissioni – hanno sollecitato anche la società di revisione principale ad estendere il perimetro della sua competenza (ripartita con una seconda società) includendovi la finanziaria Bonlat. Soltanto a seguito di ciò sono emersi i primi rilievi critici da parte dei revisori e la vicenda si è avviata all’esito noto [223].

Per quanto riguarda, infine l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, il Presidente di essa ha dato conto degli interventi operati nei riguardi della Parmalat in relazione ad un sospetto inadempimento delle prescrizioni impartitele, rilevando tuttavia come l’impossibilità di accertare la veridicità di dichiarazioni e documentazione fornita dalla società sotto la propria responsabilità, non riscontrabili dall’Autorità attraverso una diretta indagine perché riferite a soggetti esteri, abbia ostacolato il pieno esercizio delle funzioni dell’organo di vigilanza e consentito l’elusione delle norme sulla concorrenza [224].

Nel complesso, i rappresentanti delle autorità di vigilanza hanno segnalato come il carattere fraudolento delle operazioni poste in essere nei casi segnalati, la gravità, la durata e l’estensione delle violazioni commesse da amministratori e dirigenti delle società, la connivenza o l’inerzia degli organi di controllo interno ed esterno abbiano costituito un complesso di fattori eccezionali il cui concorso ha impedito di rilevare tempestivamente l’esistenza di irregolarità, in un contesto normativo che – come osservato con specifico riferimento alla CONSOB dal professor Capriglione – orienta la vigilanza verso forme operative che si raccordano all’attività degli organi di controllo interno e di revisione dei bilanci, cui sono imposti in tal senso obblighi di comunicazione e denunzia [225].

Si osserva incidentalmente che un rilievo analogo è stato formulato dal comandante generale della Guardia di finanza per le attività spettanti a tale Corpo: poichéinfatti i compiti d’istituto incentrano le verifiche sulla funzione di polizia tributaria, l’analisi dei bilanci societari che viene operata nell’esecuzione dei controlli verte sulle operazioni e sulle poste che hanno rilevanza per la determinazione della base imponibile da assoggettare a tassazione. L’ulteriore esplicazione delle competenze specifiche da parte del Corpo è sopravvenuta, a séguito delle iniziative della magistratura, nell’esercizio di poteri di polizia giudiziaria aventi diversa natura e rispondenti ad impulso e finalità differenti [226].

Oltre a quanto detto, dalla ricostruzione dei rapporti fra il Ministro dell’economia e delle finanze e la Banca d’Italia sono emersi contrasti interpretativi riguardanti l’opposizione del segreto a richieste d’informazioni avanzate dal Ministro, allegando la propria qualità di presidente del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), su emissioni obbligazionarie e sulla situazione di istituti di credito, nonché la competenza deliberativa del CICR e la riserva del potere di proposta alla Banca d’Italia [227].

Il Governatore della Banca d’Italia ha ribadito l’interpretazione secondo cui il CICR delibera su proposta della Banca d’Italia [228].

9. 2. Modello di vigilanza e rapporti fra autorità .

Nel disegno storico-ricostruttivo rappresentato alle Commissioni dal professor Gustavo Visentini emerge, in un’epoca di globalizzazione, la tendenza dei sistemi economici a dirigersi verso il modello del mercato regolamentato. Secondo tale modello, i rischi del mercato e dell’economia non potendo essere gestiti a livello centrale in mancanza di adeguata “sapienza tecnica”, sarebbe preferibile lasciare l’alea al mercato, ossia agli operatori privati, i quali compiono di fatto scelte politiche, assumendo le relative responsabilità.

Se il modello di mercato trova applicazione esemplare negli Stati Uniti d’America, il sistema cosiddetto tutorio [con un’economia sostanzialmente diretta dallo Stato, attraverso il sistema finanziario e la politica nei riguardi delle maggiori imprese, pubbliche e private] è quello su cui si è poggiato il nostro Paese dal dopoguerra, con indubbi effetti positivi per lo sviluppo. Si tratta di un sistema che tende ad occultare le crisi, che vengono gestite in via amministrativa; tuttavia, mentre esso può presentare effetti positivi nei periodi di congiuntura sfavorevole, nel lungo periodo tende a trasformarsi in burocrazia, e sembra oggi comunque difficilmente sostenibile in un’economia sempre più interdipendente e globalizzata che travalica i limiti della sovranità territoriale [229].

In questa prospettiva, il modello di mercato conosce due varianti. Una prima versione è quella di un sistema di mercato radicale, privo di regole e pertanto incline a rifiutare controlli prudenziali, sanzioni contro le frodi e norme di trasparenza intese a far sì che il contratto sia gestito correttamente dalle parti. A questo si contrappone il mercato regolamentato, un sistema cioè fondato su una disciplina di diritto privato, nel quale tuttavia, laddove non sia sufficiente il diritto comune, sono necessarie forme di vigilanza amministrativa di carattere prudenziale che dispongano, sulla base della legge, cautele per la solvibilità delle imprese, come accade nella finanza.

Da qui discende l’istituzione delle diverse autorità del mercato, volte ad assicurare concorrenza e trasparenza dei mercati mobiliari e ad esercitare la vigilanza prudenziale sulle banche e sulle imprese finanziarie; secondo la medesima logica, altre autorità possono venire preposte a settori particolari, come le assicurazioni o i fondi pensione.

9. 2. 1. Il modello di vigilanza per finalità.

L’analisi dei modelli di vigilanza individuati dalla dottrina è stata svolta dal professor Marco Onado, che ha richiamato le tre finalità fondamentali: stabilità, protezione dell’investitore e concorrenza. Le funzioni in materia di stabilità possono riguardare i prezzi, e dunque il controllo dell’inflazione, la stabilità macroeconomica, per la prevenzione delle crisi bancarie di natura sistemica, e la stabilità microeconomica, riferita a ciascuna istituzione e realizzata attraverso la vigilanza prudenziale. Nel concreto perseguimento di queste finalità presso gli ordinamenti europei si rileva attualmente la tendenza alla riduzione del numero delle autorità, con l’adozione del modello di vigilanza per soggetti o per finalità o, addirittura, con l’istituzione di un organo regolatore unico. Anche in quest’ultima ipotesi le funzioni relative alla stabilità macroeconomica e alla politica monetaria sono attribuite alla banca centrale, che comunque rimane largamente coinvolta anche nella vigilanza di stabilità microeconomica, mantenendo poteri informativi o d’intervento. Ovunque esistono meccanismi formalizzati di cooperazione e coordinamento tra le diverse autorità .

Benché il sistema italiano soglia ricondursi al modello generale per finalità, esso rappresenta – secondo il citato studioso – una soluzione nella quale formule diverse s’intersecano in forza di valutazioni pragmatiche o talora per stratificazione storica. La soluzione della vigilanza per finalità non è la più frequente, ma dal punto di vista teorico appare la più idonea a prevenire i conflitti d’interessi che possono intervenire tra i vari obiettivi [230].

Nel corso delle audizioni si è registrata ampia condivisione sul mantenimento del modello per finalità [231], con la previsione di tre soggetti competenti per funzioni, la quale favorisce la specializzazione, evita il conflitto fra obiettivi nell’attività di uno stesso organo ed è conforme alla tradizione pluralista che connota il sistema italiano.

A questo modello s’ispira anche l’ipotesi prospettata dal Ministro dell’economia e delle finanze, fondantesi sull’individuazione non di un’autorità unica, ma unica autorità funzionalmente competente per il risparmio, accanto alle autorità di vigilanza attributarie degli altri obiettivi riguardanti la regolazione delle attività finanziarie, tra cui l’organo titolare della vigilanza bancaria, che deve rimanere individuato in forme compatibili con il sistema della Banca centrale europea. Il modello proposto identifica tre soggetti aventi competenza funzionale rispettivamente per la stabilità, la concorrenza e il risparmio [232]. Quest’ipotesi è stata poi esplicitata nel disegno di legge A.C. 4705.

A questo riguardo è stata segnalata una ritenuta improprietà terminologica, consistente nel riferire l’oggetto del risparmio ad un’unica autorità, per altro principalmente competente in materia di mercati, laddove tale oggetto di tutela non sarebbe riconducibile ad una sola finalità e, anche nel riferimento all’articolo 47 della Costituzione, richiamerebbe il contenuto della vigilanza sulla stabilità bancaria in ragione del suo stretto riferimento alla salvaguardia dei depositi e per le esigenze di coerente governo di un insieme inscindibile costituito dalla raccolta del risparmio e dal suo impiego nell’erogazione del credito [233].

È stato osservato altresì che in favore della nuova autorità si derogherebbe al riparto di competenze per funzioni, in vista di un’opzione verso forme non bancarie di finanziamento dei settori produttivi, che non sembra tener conto della realtà attuale, in cui rimane imprescindibile l’apporto del credito e la stabilità del sistema bancario continua a configurarsi come ammortizzatore delle crisi d’impresa [234].

Mette conto ricordare, prima di concludere queste generali considerazioni sui criteri d’organizzazione del sistema della vigilanza, l’osservazione da taluno formulata circa l’opportunità di considerare attentamente la transizione verso nuovi assetti del sistema. L’esperienza sembra confermare che misure di riforma troppo vaste o repentine potrebbero comportare – almeno nella fase iniziale – un calo di efficienza nel sistema dei controlli [235]. Occorre pertanto che gl’interventi necessari siano accuratamente preparati – sia sul piano normativo, sia su quello dell’attuazione amministrativa – così da garantire la continuità nell’esercizio di tutte le funzioni che vi saranno interessate.

9. 2. 2. La collocazione della vigilanza sui settori assicurativo e previdenziale.

In questa prospettiva si è posto il problema riguardante la vigilanza sui settori assicurativo e previdenziale, attualmente affidata, rispettivamente, all’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e d’interesse collettivo (ISVAP) e alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), con una determinazione di competenze riconducibile al modello teorico della vigilanza per soggetti.

L’ipotesi di riassetto del sistema inizialmente avanzata dal Ministro dell’economia e delle finanze prevedeva l’assorbimento di queste due materie nella costituenda autorità per la tutela del risparmio, con la previsione di eventuali articolazioni settoriali [236].

Si è quindi proposta la devoluzione delle funzioni esercitate dai due organi specializzati in materia di assicurazioni e fondi pensione all’organo di vigilanza sulla stabilità [237] ovvero a quello competente in materia di sollecitazione del pubblico risparmio [238].

Da altre parti si è suggerita una diversa valutazione dei due aspetti. Secondo quanto ricordato, in particolare, dai rappresentanti di alcune organizzazioni sindacali, la natura di non completi intermediari che caratterizza i fondi pensione e la difficoltà di creare un vero mercato in questo settore giustificherebbero una separata vigilanza [239], mentre la conservazione di una distinta autorità per il settore assicurativo accrescerebbe i costi senza trovare giustificazione in una fase nella quale è caduta la tradizionale distinzione fra banca, assicurazione e impresa d’investimento sotto il riguardo dei prodotti indistintamente offerti da questi soggetti [240]. Secondo altri, per converso, la particolarità del settore assicurativo – in cui la copertura dei rischi, che ne costituisce l’elemento centrale, non ha diretta attinenza con il risparmio – consiglia di mantenere separata la vigilanza su questi soggetti [241].

Le Commissioni hanno ascoltato nel corso dell’indagine i rappresentanti delle autorità di vigilanza competenti sui due settori.

Il Presidente della COVIP ha sostenuto che nel sistema costituzionale e legislativo italiano sarebbe assolutamente sbagliato, in termini di dottrina e di senso comune, voler assimilare o ridurre il rischio previdenziale a rischio finanziario, o stabilire analogie tra fondi pensione e intermediari finanziari e, per conseguenza, tra le funzioni di regolazione e vigilanza relative ai due settori [242]. Date le specifiche finalità dell’istituto, le diverse modalità di adesione alla previdenza complementare, che la distinguono nettamente dalle forme di sollecitazione all’investimento, e i differenti profili di rischio – estesi alla fase di accumulazione e a quella di erogazione e non strettamente riferiti alla natura dell’investimento – non sarebbe concretamente proponibile per i fondi pensione la bipartizione tra stabilità e trasparenza cui si fa riferimento per gl’intermediari finanziari [243]. Coerentemente, la COVIP, nel sistema attuale fondato sull’articolo 5 del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria, esercita entrambe le funzioni [244].

Il Presidente della COVIP ha avvalorato questa sua posizione richiamandone la proficua collaborazione con le altre autorità di vigilanza e ricordando come anche nel modello di unica autorità adottato nel Regno Unito sussista un organismo ad hoc per la previdenza complementare [245]. Egli ha segnalato invece l’opportunità di adeguamenti normativi che rafforzino le prerogative dell’organo e ne incrementino le risorse consentendo ad esso, anche per accrescerne l’indipendenza, di raccordarsi stabilmente anche a forme di rappresentanza delle parti sociali e delle regioni [246].

Per quanto riguarda l’attività assicurativa, è stato rilevato che la sua sottoposizione a vigilanza prudenziale secondo la legislazione di settore discende dall’intrinseca rischiosità del suo contenuto. L’orizzonte temporale in cui opera l’impresa assicuratrice è connotato da una prospettiva di medio e lungo termine: in quest’àmbito, secondo i rappresentanti dell’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA), l’investimento finanziario delle riserve tecniche non costituisce il fine ultimo dell’attività, ma è strumentale alla copertura dei rischi, garantita anche con il capitale della compagnia [247].

Il Presidente dell’ISVAP ha dichiarato di ritenere necessario mantenere unitarietà di controlli sul settore assicurativo in ragione della tipicità e separatezza delle sue attività rispetto ai settori creditizio e finanziario [248]. Egli ha ricordato come, nel febbraio 2003, l’Istituto abbia ristrutturato il proprio settore della vigilanza, articolata non più per ramo di attività, ma per impresa e gruppo assicurativo, con la costituzione di due servizi di vigilanza, ciascuno competente su un gruppo d’imprese pari alla metà dell’intero mercato e articolato in tre sezioni specializzate rispettivamente nell’attività autorizzatoria e nella verifica dell’efficienza, efficacia e trasparenza dei comportamenti delle imprese, degl’intermediari e dei periti; nelle attività di controllo attuariale; nel controllo patrimoniale e finanziario [249]. Anche in quest’àmbito si registra una proficua collaborazione con le altre autorità che, rispetto alla Banca d’Italia, opera anche attraverso un protocollo d’intesa [250].

Anche secondo l’ANIA, il mantenimento dell’attuale regime si fonderebbe sulla specificità di una vigilanza che alla stabilità – nelle forme adeguate alla natura del rischio assicurativo – associa il controllo della correttezza dei comportamenti degli operatori, specialmente nel ramo danni, sulla base di peculiari parametri giuridici, tecnici e culturali [251]. Quest’Associazione ha suggerito di rafforzare l’autonomia, l’organizzazione e le forme di rendicontazione dell’ISVAP, anche articolandone la struttura in forma collegiale [252].

9. 2. 3. I rapporti fra autorità.

Per quanto attiene ai rapporti fra le autorità, è opinione generalmente condivisa che debbano essere mantenute e rafforzate le forme di collaborazione istituzionale fra le medesime, nel rispetto delle reciproche competenze e con la garanzia della necessaria riservatezza, così da evitare duplicazioni onerose per i soggetti vigilati, e favorire d’altronde l’efficacia e la tempestività dei controlli. In questo senso è stata segnalata l’utilità dell’impiego di sistemi condivisi [253].

Il Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha dichiarato di vedere con favore l’ipotesi di estendere ai rapporti tra autorità indipendenti preposte alla tutela del risparmio e autorità di concorrenza la previsione di cui all’articolo 7, comma 5, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia circa l’inopponibilità del segreto d’ufficio, così da rendere più efficiente l’esercizio delle funzioni e consentire una cooperazione vòlta a verifiche per il cui compimento l’Autorità difetta attualmente di strumenti efficaci [254].

È stato segnalato altresì, con generale riferimento a talune procedure previste nel disegno di legge governativo presentato alla Camera, che la ripartizione di competenze fra più soggetti, uno dei quali agisce “sentito” l’altro, può riuscire disfunzionale nell’applicazione, onerosa per i soggetti vigilati e contrastante con il modello per funzioni [255].

Valutazioni difformi sono state espresse da taluni fra gli studiosi ascoltati circa la funzione attualmente esercitata dal Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), le attribuzioni a questo riguardo previste dal disegno di legge n. 4705 e la determinazione delle competenze informative di quest’organo rispetto alle autorità di vigilanza.

Il professor Capriglione ha sottolineato l’utilità del Comitato quale elemento di raccordo fra autorità politica e autorità tecnica – nei limiti strettamente inerenti a questa funzione – per l’emanazione di atti d’indirizzo politico da tradurre in provvedimenti amministrativi di normazione secondaria da parte delle autorità di settore [256]. Ciò ovvierebbe alla lamentata chiusura, ad esempio, di un sistema bancario in cui il sistema tutorio descritto dal professor Visentini, portato all’estremo, avrebbe prodotto l’esautorazione del ruolo dell’autorità politica [257].

Altri ha per contro sostenuto il superamento del ruolo del CICR in un contesto che ha registrato lo sviluppo delle autorità amministrative indipendenti e, parallelamente, la soppressione di numerosi comitati interministeriali con l’abbandono del modello dogmatico di ordinamento sezionale che vi sottostava. Secondo il professor Cassese, questa linea di tendenza risulterebbe contraddetta dalla concentrazione di poteri, dalla mancata separazione tra politica e amministrazione e dalla despecializzazione a suo avviso connotanti il ruolo del Comitato nel disegno di legge governativo [258]. Anche secondo il professor Costi, considerata altresì l’impossibilità di orientare le scelte d’impresa sulla base di decisioni di politica economica da realizzarsi attraverso la regolazione del credito, la soppressione del CICR sarebbe condizione per consentire al comitato permanente di coordinamento tra le autorità previsto dall’articolo 26 del disegno di legge n. 4705 di esercitare un importante ruolo nello sviluppo del sistema di rapporti fra autorità ivi delineato[259].

Per quanto riguarda, in particolare, la disciplina del segreto d’ufficio che – come detto a conclusione del precedente paragrafo – ha costituito oggetto di contrasto interpretativo fra l’autorità di Governo e la Banca d’Italia, il Governatore di quest’ultima ha sostenuto durante l’audizione che, a fronte di penetranti poteri informativi, la Banca d’Italia è tenuta al segreto d’ufficio (derogabile nei riguardi della magistratura in sede penale, delle altre autorità di controllo e del Ministro dell’economia e delle finanze nell’esercizio delle funzioni di presidente del CICR). Tale obbligo discende dall’articolo 7 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ed è conforme alle prescrizioni dell’articolo 30 della direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 marzo 2000, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi e al suo esercizio [260]. Il Governatore della Banca d’Italia ha segnalato l’inopportunità di estendere la possibilità di comunicazione di notizie coperte da tale segreto ad organi politici al di fuori dello stretto àmbito funzionale [261].

Al medesimo riguardo il professor Guarino ha richiamato l’attenzione sul fatto che la trasmissione di notizie specifiche ad autorità soggette ad obblighi di denunzia potrebbe risultare pregiudizievole ove tali obblighi, come doveroso, venissero adempiuti intempestivamente da soggetti i quali non godono della discrezionalità che, relativamente alla scelta dei tempi, connota la funzione degli organi di vigilanza [262].

9. 3. Stabilità.

La funzione di vigilanza sulla stabilità è storicamente la prima ad essersi sviluppata con specifico riferimento al sistema bancario e creditizio, all’espresso fine di prevenire crisi bancarie rivelatesi rovinose sia per i risparmiatori individualmente considerati, sia per l’intero sistema economico delle nazioni.

In questa prospettiva può richiamarsi quanto ha affermato il Governatore della Banca d’Italia, il quale, ricordando che il risparmio affidato alle banche da famiglie e imprese ammonta attualmente a circa 1.000 miliardi di euro (di cui 900 miliardi riferibili alle famiglie), ha segnalato che nella stabilità del sistema bancario risiede la garanzia di fondo del risparmio ad esso affidato, esprimendo l’avviso che a questo fine l’ordinamento assoggetti il sistema bancario a controlli vòlti a garantire l’integrità dei depositi affidati attraverso la vigilanza sulla sana e prudente gestione degl’istituti bancari nonché sulla stabilità complessiva, l’efficienza e la competitività del sistema [263]. In questa visione, l’estesa articolazione dei gruppi bancari nei diversi comparti dell’intermediazione creditizia e finanziaria richiederebbe l’esercizio congiunto della vigilanza prudenziale sulle banche e sugli altri intermediari [264].

La vigilanza si svolge nel rispetto dell’autonomia degl’intermediari nella definizione delle politiche aziendali e nell’assunzione delle singole decisioni, in primo luogo di quelle inerenti alla concessione del credito. L’azione di controllo, vigilanza e supervisione non può interferire nelle singole scelte di affidamento effettuate dagli amministratori (in quanto si creerebbe una commistione di responsabilità tra autorità di vigilanza e soggetti vigilati). In concreto la Banca d’Italia vaglia la situazione finanziaria degl’intermediari, con particolare riguardo all’adeguatezza dei patrimoni di ciascuna banca rispetto al complesso dei rischi. Un ruolo centrale assumono l’esame delle nuove iniziative bancarie e l’analisi della struttura proprietaria dei gruppi creditizi attraverso il vaglio dell’assunzione di partecipazioni rilevanti nel capitale delle banche e delle operazioni di aggregazione.

L’analisi delle situazioni delle banche si avvale anche delle ispezioni, che mirano in primo luogo ad accertare il rispetto delle normative di vigilanza e se i meccanismi di governo societario e il sistema dei controlli interni siano in grado di assicurare una consapevole gestione dei rischi. La Banca d’Italia verifica che nelle procedure di erogazione del credito siano state utilizzate tutte le informazioni disponibili sull’impresa, in primo luogo i bilanci e le altre scritture aziendali; l’analisi del rischio di credito delle singole banche è diretta a verificare la qualità del portafoglio nel suo complesso e la sua concentrazione.

La probabilità media d’insolvenza degli affidati viene valutata, in primo luogo, raffrontando l’incidenza dei crediti anomali (sofferenze, incagli, sconfinamenti) nel portafoglio di ciascuna banca con quella osservata per l’intero sistema. La concentrazione, per singoli nominativi o per settori di attività economica, viene esaminata in via continuativa attraverso indicatori statistici.

La normativa sui grandi fidi, stabilita a livello comunitario, richiede che nessun debitore riceva credito per un ammontare superiore a un quarto del patrimonio della banca; quando il grado di concentrazione del portafoglio complessivo di una banca risulta relativamente elevato, la Banca d’Italia considera le caratteristiche dei principali gruppi affidati. Le informazioni di cui la Banca d’Italia generalmente dispone sui gruppi societari riguardano i bilanci approvati dagli organi competenti, i rating assegnati ad alcune delle loro imprese, i giudizi degli analisti; la centrale dei rischi fornisce informazioni sulle eventuali classificazioni a sofferenza [265].

Nell’esercizio della funzione di vigilanza, l’organo competente contempera il dovere di salvaguardare il risparmio con l’opportunità di regolare l’erogazione del credito evitando che eventuali e temporanee mancanze di liquidità possano determinare effetti negativi sulla situazione di importanti realtà industriali (è stato ricordato ad esempio il caso della FIAT) [266]. Secondo il medesimo Governatore, problemi particolari, in ragione del più elevato rapporto fra impieghi bancari e valore aggiunto delle imprese, sussistono nel Mezzogiorno, ove nel 1993, in una fase caratterizzata da grave recessione, arresto del settore dei lavori pubblici e interruzione improvvisa dell’intervento straordinario, si è affacciato il rischio di una crisi sistemica, scongiurata grazie all’intervento coordinato dell’autorità di vigilanza e di tutto il sistema bancario [267].

In questo quadro, l’affidamento di tutte le funzioni di stabilità ad un’unica istituzione individuata nella banca centrale risulterebbe coerente con il sistema. È stata per altro espressa l’opinione che, in ragione della discrezionalità politica insita nella funzione, le autorità di vigilanza prudenziale non potrebbero a rigore qualificarsi come autorità indipendenti [268].

Per quanto attiene all’oggetto della vigilanza, uno degli studiosi ascoltati ha formulato riserve circa la permanenza di un penetrante controllo di stabilità sulle società di gestione del risparmio [269].

Un aspetto specifico emerso nel corso dell’indagine in rapporto all’organo di vigilanza attiene alla struttura del capitale della Banca d’Italia, formato con la partecipazione dei soggetti vigilati che – a differenza del passato – non sono attualmente istituti a prevalente partecipazione pubblica [270]. Si è rilevato, in particolare, che ciò influisce sulla composizione del Consiglio superiore della Banca, cui spetta la designazione del Governatore e dei dirigenti di vertice [271], tuttavia forniti di guarentigie idonee ad assicurarne l’indipendenza nell’esercizio dell’incarico. Rispondendo a questo proposito, il Governatore della Banca d’Italia ha ricordato che tale assetto proprietario, come quello di altre banche centrali, deriva da un processo storico riflesso nell’articolo 3 dello Statuto della Banca, approvato con regio decreto 11 giugno 1936, n. 1067, norma che può ritenersi per vari aspetti superata, e rispetto alla quale potrebbe ipotizzarsi un maggiore coinvolgimento delle fondazioni bancarie. Il Governatore ha comunque escluso che i riflessi di questa situazione sulla composizione del Consiglio superiore della Banca possano interferire con la funzione di vigilanza e con la determinazione della politica monetaria, atteso che tale organo non ha competenze in queste materie [272].

Un rilievo specifico, riferito alle disposizioni del disegno di legge A. C. 4705 recanti trasferimento del personale della Banca d’Italia, è stato formulato dal professor Giuseppe Guarino, il quale ha segnalato possibili conseguenze negative sull’adempimento dei compiti di vigilanza e difficoltà d’integrazione dei soggetti trasferiti nelle nuove funzioni [273].

9. 4. Concorrenza.

L’articolo 20 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, ha affidato alla Banca d’Italia la vigilanza sul settore del credito in materia di concorrenza, in ragione della conoscenza approfondita degl’intermediari e dei mercati da essa maturata. Secondo quanto affermato dal Governatore della Banca d’Italia, tale funzione è esercitata in accordo con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, il cui parere, in ventidue casi su ventitré, è stato conforme a quello della Banca d’Italia.

Il Governatore ha manifestato un’opinione largamente positiva sul rilevante processo di ristrutturazione del sistema bancario sviluppatosi negli anni più recenti, che – grazie all’euro, ma anche all’efficienza del sistema – ha consentito la discesa del costo del credito a breve termine al di sotto del 5 per cento, la riduzione dei crediti inesigibili al 4,6 per cento, mantenendo un elevato coefficiente di solvibilità (11,2 per cento a fronte dell’8 per cento richiesto dagli accordi internazionali). Il Fondo monetario internazionale, in un rapporto in corso di pubblicazione, ha espresso un giudizio altamente soddisfacente, anche nella comparazione con quello attribuito ad altri importanti Stati esteri, sulle norme e sulla prassi di vigilanza [274].

L’esistente assetto della vigilanza in materia di concorrenza per il settore bancario è stato tuttavia oggetto di dibattito nel corso delle audizioni, sia in rapporto alla sua corrispondenza con il modello teorico di vigilanza per finalità, sia in relazione alle proposte contenute nel disegno di legge A. C. 4705.

Ad avviso del Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’attribuzione di questa competenza all’Autorità medesima appare coerente con l’evoluzione normativa, sempre più ispirata ad una ripartizione di competenze per funzioni, e sana l’anomalia italiana rispetto al contesto europeo e internazionale. Nel corso del tempo, infatti, il riconoscimento della natura imprenditoriale dell’attività creditizia ha ricondotto il settore bancario sotto l’imperio della normativa comunitaria relativa alla concorrenza [275].

La valutazione di intese o abusi posti in essere nell’ambito dei mercati bancari, indipendentemente dal coinvolgimento di soli istituti di credito o di questi con altri soggetti non bancari, dovrebbe spettare alla competenza esclusiva dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con l’eventuale parere non vincolante della Banca d’Italia per ciò che attenga ai profili tecnici del settore [276].

Così, le operazioni di concentrazione dovrebbero essere rimesse all’esclusiva valutazione dell’autorità competente in materia di concorrenza, con la previsione di un parere motivato non vincolante da parte dell’organo di vigilanza a garanzia della stabilità del sistema, sulla cui base, se fondato, la prima potrebbe operare una valutazione di proporzionalità [277]. L’autorità competente in materia di concorrenza dovrebbe essere informata delle operazioni di cui all’articolo 19 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, qualora non comportino l’acquisizione del controllo dell’impresa bancaria. Per le operazioni che determinino acquisizione del controllo, l’autorità dovrebbe avere invece poteri esclusivi, salvo il parere non vincolante dell’organo di vigilanza per motivi attinenti alla tutela del risparmio, con esclusivo riferimento alle caratteristiche del mercato di cui si tratta [278].

Del resto, secondo lo stesso Presidente, le finalità di concorrenza e di stabilità non comportano conflitto in quest’àmbito, posto che la stabilità può essere garantita da un’efficace azione di vigilanza mentre le regole di concorrenza non debbono essere piegate alla tutela di rendite di posizione, ma debbono trovare applicazione in un contesto di mercato aperto e ispirato alla reciprocità a livello europeo [279].

Opinioni diversamente articolate sono state formulate a questo riguardo. Vi è stato chi, pur ritenendo opportuno il trasferimento di funzioni all’autorità competente per la concorrenza, ha segnalato che nella ponderazione degl’interessi – specialmente in situazioni di crisi – dovrebbe essere privilegiata la stabilità, anche in quanto strumento di tutela del risparmio [280]. Infatti, una redistribuzione di poteri fra autorità nel senso descritto modifica un indirizzo sin qui osservato, incidendo sul modo di operare del sistema con potenziali rischi di cui il legislatore dev’essere consapevole [281].

Possibili conseguenze sono state prefigurate anche in rapporto all’eventuale acquisizione di istituti bancari nazionali da parte di soggetti esteri, suscettibile di produrre effetti negativi sul finanziamento delle imprese italiane. Rispondendo ad un’osservazione dell’on. Armani a tale riguardo, il Governatore della Banca d’Italia ha per altro rilevato che la presenza di grandi operatori bancari e assicurativi esteri nel capitale delle banche è attualmente più elevata in Italia di quanto non sia in altri Stati europei [Germania, Francia, Spagna], ma che in nessun caso tali partecipazioni sono prevalenti [282].

Osservazioni specifiche sono state formulate circa il meccanismo di doppia autorizzazione previsto in questa materia dall’articolo 29 del disegno di legge A. C. 4705, che potrebbe rendere complesso e inefficiente il funzionamento dell’istituto [283]. Per contro, l’ipotesi di sostituire tale formula con una procedura consultiva, in materie di particolare delicatezza e coinvolgenti forti interessi, può esporre i provvedimenti ad impugnazioni fondate su vizi istruttorî o sulle divergenze di valutazione formalmente emerse nella dialettica tra gli organi partecipanti al procedimento [284].

In relazione alle operazioni di cui all’articolo 19, comma 2, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia si è infine rilevato che per rendere più efficiente il cosiddetto mercato del controllo proprietario si potrebbe sopprimere il potere di autorizzazione dell’organo di vigilanza o elevare la soglia oltre la quale esso debba operare [285].

9. 5. Trasparenza.

Sulla base del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria, il controllo della CONSOB sugli emittenti quotati è un controllo di trasparenza, finalizzato ad assicurare la corretta informazione dei risparmiatori, per un consapevole compimento delle scelte d’investimento o disinvestimento. Il parametro di giudizio di tale controllo è la correttezza intesa come completezza, chiarezza, coerenza e adeguatezza delle notizie fornite al mercato.

In concreto, l’intervento della CONSOB si fonda su metodi di campionamento per selezionare gli emittenti e i documenti da esaminare ed è ordinariamente successivo alla diffusione di documenti societari. Queste scelte dipendono anche dall’entità delle risorse disponibili [286].

Il controllo sulla trasparenza dell’informazione, esercitato dalla CONSOB, presuppone il corretto funzionamento dei controlli endosocietari [si veda, sopra, la sezione 5]. Come osservato dal Presidente della CONSOB, non spetterebbe invece alla Commissione giudicare della veridicità dell’informazione – un controllo siffatto essendo del tutto incompatibile con i tempi del mercato e rappresentando un unicum nel panorama internazionale – né pronunziarsi sul merito o sulla convenienza delle operazioni societarie [287]. Diverso avviso ha espresso l’Assonime, secondo cui alla CONSOB spetterebbe il compito di vigilare sulla correttezza delle informazioni fornite dagli emittenti quotati e da quelli non quotati i cui titoli siano diffusi tra il pubblico dei risparmiatori. Lo scrutinio della CONSOB includerebbe pertanto la veridicità, anche in ragione del disposto dell’articolo 157, comma 2, del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria, che conferisce ad essa il potere d’impugnare i bilanci “in ogni caso”[288].

La disciplina prevede obblighi informativi che devono essere adempiuti direttamente dagli emittenti, conferendo alla CONSOB poteri di richiesta di diffusione di informazioni ulteriori o di acquisizione di dati e notizie. Riguardo ai primi l’Autorità non svolge solo il compito di verifica dell’esatto assolvimento dell’obbligo ma contribuisce, attraverso il potere regolamentare, a definire un assetto normativo di regole che sia idoneo a soddisfare le esigenze informative del mercato e che sia rapidamente aggiornabile, anche con il contributo degli operatori [289].

In relazione alle ipotesi di riassetto, il Presidente della CONSOB, confermando l’apprezzamento per il modello di vigilanza per finalità, ha suggerito di adeguarne alcuni elementi riferiti alla vigilanza sulla trasparenza e correttezza delle gestioni dei fondi comuni, su cui attualmente è contemplata per taluni aspetti soltanto la vigilanza prudenziale, e di estendere l’obbligo di prospetto alle obbligazioni bancarie e agli altri prodotti finanziari emessi dalle banche e dalle imprese di assi-curazione [290]. In senso favorevole a quest’ipotesi milita l’osservazione formulata dall’Assogestioni, secondo cui prodotti strutturati, nei quali il rapporto fra l’acquirente e la banca o l’assicurazione si configura come mandato più o meno generico di gestione e non come obbligo di restituzione di un importo pari o commisurato a quello ricevuto, postulano un controllo di trasparenza in aggiunta a quello tradizionale di stabilità [291]. Allo stesso proposito si è per altro osservato che il controllo dell’autorità competente per la trasparenza non potrebbe considerarsi esaustivo rispetto all’emissione di obbligazioni bancarie, in considerazione degli effetti che la loro emissione può avere sulla stabilità degl’istituti [292]. È stata segnalata altresì l’importanza delle disposizioni attualmente contenute nell’articolo 129 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia anche sul versante della stabilità dei mercati e della regolazione dei tassi, compresi quelli del debito pubblico [293].

Anche secondo i rappresentanti di Assonime dovrebbe essere attribuita all’autorità di vigilanza sui mercati l’applicazione delle regole di trasparenza e di protezione dell’investitore per tutti i prodotti finanziari, con l’esclusione della tutela della stabilità patrimoniale degli intermediari [294]. È stato suggerito altresì di conferire a tale autorità poteri e mezzi che consentano di verificare tempestivamente, attraverso ispezioni e analisi sistematiche, la qualità e l’attendibilità dei bilanci societari [295].

Una possibilità di rafforzamento dei poteri d’indagine si è ravvisata nel recepimento della direttiva sugli abusi di mercato [296]. Sul piano dell’attribuzione di poteri ispettivi atti a rendere più efficace l’azione della CONSOB sono stati indicati i seguenti:

1) effettuare richieste e disporre ispezioni nei confronti di chiunque;

2) richiedere perquisizioni o sequestri;

3) richiedere l’accompagnamento coattivo [297].

Ulteriori misure sono quelle indicate nella posizione comune raggiunta dal Consiglio dell’Unione europea l’8 dicembre 2003 sulla proposta di direttiva relativa ai servizi d’investimento e ai mercati regolamentati [298], tra cui:

1) accesso ai dati relativi al traffico telefonico;

2) adozione di provvedimenti cautelari anche nella forma dell’inibizione di attività [299].

All’autorità potrebbe essere infine conferito il potere di promuovere l’azione civile di responsabilità a tutela degli interessi collettivi [300].

Per l’attività di controllo e d’indagine si è avanzata l’ipotesi di forme strutturate di collaborazione con altri organi, compresa la Guardia di finanza, anche mediante la costituzione di apposito nucleo [301].

È stata sottolineata da taluno – in relazione ad aspetti del disegno di legge A. C. 4705 – l’esigenza di sottoporre l’autorità al principio di legalità con la precisa definizione di destinatari, finalità, forme procedurali ed effetti dell’esercizio dei poteri normativi e amministrativi ad essa conferiti [302]. Da Assogestioni è stato formulato il suggerimento d’integrare i soggetti interessati nel processo di produzione delle norme secondarie, anche attraverso il coinvolgimento consultivo delle rappresentanze di categoria [303]. Analogamente, i rappresentanti dell’Assonime hanno proposto, correlativamente al rafforzamento dei poteri sanzionatorî, la previsione di effettive possibilità di partecipazione e contraddittorio tra tutte le parti coinvolte nei procedimenti, con integrale pubblicazione delle regole procedurali dell’autorità, come avviene per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Inoltre, la fase istruttoria e la fase decisionale dovrebbero essere separate, evitando che i soggetti responsabili della prima partecipino alla successiva. L’esercizio efficace di più penetranti poteri da parte della CONSOB presuppone, inoltre, maggiori garanzie d’indipendenza rispetto all’esecutivo e meccanismi rinforzati di responsabilità nei confronti del Parlamento [304].

Si è segnalato che la consistenza dell’organico della CONSOB è molto ridotta e rappresenta un vincolo obiettivo alla definizione di un assetto organizzativo adeguato. La difficoltà è aggravata, ad avviso del Presidente dell’autorità, dall’esodo di personale esperto, che dovrebbe essere acquisito e conservato mediante retribuzioni adeguate ai livelli di mercato. Accanto al rafforzamento degli organici, potrebbe valutarsi la temporanea applicazione di magistrati attraverso stage [305].

10. Sistema sanzionatorio e interventi sulla giurisdizione.

Il sistema sanzionatorio rappresenta lo strumento per inverare e rendere effettivo il funzionamento degl’istituti di controllo che, senza il presidio di esso, rimane di necessità imperfetto. Nell’àmbito qui considerato, attese la varietà e la complessità delle situazioni e delle condotte illecite che possono prefigurarsi e la diversa posizione dei soggetti che vi possono risultare coinvolti, appare necessaria un’ampia graduazione di misure – alcune delle quali già segnalate nella sezione precedente – il cui opportuno impiego consenta alle competenti autorità di esercitare, ove non siano sufficienti le attività di controllo e prevenzione, interventi repressivi pronti ed efficaci.

Secondo quanto segnalato dal Presidente della CONSOB, le sanzioni amministrative pecuniarie attualmente previste si sono rivelate inefficaci per i seguenti motivi:

1) ridotta entità;

2) lentezza delle procedure d’irrogazione;

3) scarsa pubblicità delle sanzioni (in caso di oblazione in misura ridotta) e dei risultati degli accertamenti.

Sarebbe utile anche l’estensione delle sanzioni di tipo interdittivo o incidente sulla reputazione dei soggetti [306].

Anche il Presidente dell’ISVAP ha segnalato che i poteri sanzionatorî attribuiti all’Istituto risultano datati, essendo previste sanzioni d’importo insufficiente a costituire un vero deterrente verso comportamenti difformi [307].

La possibilità d’irrogare sanzioni di tipo pubblico – incidenti cioè sulla reputazione dei soggetti colpiti – anche da parte della società di gestione del mercato è stata sollecitata dai rappresentanti di Borsa italiana SpA [308].

Più complesso è il riferimento alle sanzioni penali, che hanno costituito recentemente l’oggetto di una riforma, da talune parti criticata perché ritenuta ispiratrice di condotte irregolari, che ha per altro introdotto nuove fattispecie sanzionatorie [309]. Sotto questo riguardo, la cronologia dei fatti che hanno condotto ai recenti dissesti esclude che le modifiche legislative dell’ultimo periodo possano avere indotto comportamenti illegali o favorito aspettative d’impunità, giacché i reati su cui la magistratura sta indagando si sono consumati sotto l’imperio delle norme precedentemente in vigore.

Nondimeno, da più parti sono stati sollecitati interventi che rafforzino la tutela penale sui diversi piani qui considerati.

Il Ministro dell’economia e delle finanze ha segnalato per primo l’esigenza di aggravare le sanzioni in materia societaria, rafforzandole, inoltre, mediante l’introduzione di sanzioni accessorie consistenti nella sospensione o decadenza dalle cariche, nella pubblicità delle misure afflittive e nella confisca dei beni [310].

Così, i rappresentanti della Confindustria hanno insistito sull’esigenza di aumentare il livello delle sanzioni sia detentive sia, soprattutto, pecuniarie previste a carico delle persone fisiche autrici dei reati, accompagnandovi meccanismi vòlti ad agevolare il risarcimento del danno arrecato. L’intensificazione dei meccanismi sanzionatori dovrebbe essere estesa a tutti i casi di falsificazione delle comunicazioni delle società. Ad avviso di questa Confederazione, dovrebbero essere aggravate anche le sanzioni, introdotte dalle nuove norme di diritto penale societario, per comportamenti diretti ad ostacolare l’efficace svolgimento dei controlli da parte sia delle società di revisione sia delle autorità di vigilanza, così da assicurare un concreto effetto deterrente. Il rafforzamento dell’impianto sanzionatorio dovrebbe pertanto essere esteso ai reati d’impedito controllo da parte della società di revisione e di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza [311].

Analoga posizione ha espresso l’Assonime, secondo cui la disciplina della responsabilità degli amministratori appare nel complesso adeguata, mentre sarebbe meritevole di revisione quella sugl’illeciti penali e amministrativi. Le pene previste per i reati di false comunicazioni sociali, falso in prospetto e falsità nelle relazioni e nelle comunicazioni delle società di

revisione appaiono insufficienti, anche per gli effetti sui termini di prescrizione, connessi alla lentezza dei procedimenti giurisdizionali. La previsione di soglie quantitative di esclusione della punibilità per il reato di false comunicazioni sociali andrebbe eliminata perché suscettibile di minare la percezione dell’illegalità del comportamento [312].

Il presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, pur apprezzando la trasformazione del falso in bilancio da reato di pericolo a reato di danno, ha convenuto circa l’opportunità di prevedere pene più severe, con misure premiali per chi denunzi i reati finanziari [313].

Si potrebbe altresì prevedere, quale sanzione nei confronti degli amministratori per i casi di informazioni ingannevoli, l’interdizione dall’incarico di amministratore nell’intera Unione europea [314], mentre si è già detto, con riferimento alle società di revisione (sopra, paragrafo 6.3), della proposta di rimodulazione del sistema sanzionatorio con maggiore graduazione e la possibilità di misure cautelari [315].

A garanzia della correttezza della rappresentazione dei fatti contabili è stata suggerita la previsione di una specifica responsabilità penale a carico dei dirigenti degli uffici amministrativi e contabili per l’incompletezza o la falsità dei documenti da essi prodotti o utilizzati per predisporre il bilancio e per la scorretta tenuta delle scritture [316]. In diverso àmbito, anche la reintroduzione del mendacio bancario potrebbe rappresentare un utile deterrente, benché tale reato, prima della sua abolizione, sia stato raramente contestato [317].

Per quanto attiene al reato di nocumento al risparmio previsto dall’articolo 44 del disegno di legge A. C. 4705, è stata segnalata la necessità di meglio definirne la struttura [318].

Connessa all’esercizio delle funzioni statuali, non solo a fini sanzionatorî, risulta la richiesta da più parti avanzata di considerare l’istituzione di sezioni specializzate in materia societaria presso gli organi giurisdizionali[319], anche limitandola a sedi opportunamente individuate [320], unitamente alla rimodulazione dei poteri sospensivi del giudice amministrativo [321]. Il sottosegretario di Stato per la giustizia Michele Vietti ha espresso l’avviso che la previsione di una giurisdizione specializzata sarebbe congruente con il rito proprio introdotto per le controversie societarie dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 [322].

L’azione collettiva potrebbe rappresentare un utile deterrente, ove consentita al di sopra di certe dimensioni, per evitarne un uso improprio [323]. In alternativa, potrebbero prevedersi forme di conciliazione [324], ovvero – come già accennato (paragrafo 9.5) – un’azione di responsabilità promossa dall’autorità pubblica di vigilanza [325], ritenuta idonea a surrogare forme di class action sulla cui trasponibilità nel nostro ordinamento sono state da talune parti avanzate riserve.

11. I sistemi di risarcimento dei risparmiatori.

La vigente legislazione contempla sistemi di garanzia o d’indennizzo nei settori bancario e dell’intermediazione finanziaria – rispettivamente previsti dal titolo IV, capo I, sezione IV del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia e dagli articoli 59 e 60 del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria – destinati ad assicurare la soddisfazione degl’impegni assunti dagli intermediari nei riguardi dei clienti. Non sono tuttavia previste forme di tutela amministrativa nei riguardi delle perdite derivanti da investimenti sui mercati finanziari, mentre la tutela degli acquirenti di titoli nei casi d’insolvenza degli emittenti è rimessa alle azioni risarcitorie o alle procedure concorsuali previste dall’ordinamento.

Il numero dei risparmiatori coinvolti nelle recenti vicende e l’entità complessiva delle perdite subìte hanno indotto tuttavia una riflessione circa la possibilità di prevedere forme ulteriori di risarcimento. Iniziative in tal senso sono state sollecitate con forza dalle associazioni dei consumatori, alcune delle quali hanno opportunamente precisato che la copertura non dovrebbe riguardare qualsiasi rischio, ma solo il danno prodotto da informazioni ingannevoli [326]: infatti, nell’investimento dev’essere garantita la parità fra le parti, ma il rischio rimane a carico dell’investitore, non potendo essere traslato su altri soggetti (ad esempio l’amministrazione di controllo), laddove in caso di accertato raggiro occorre mettere in atto idonei rimedi giuridici [327].

Il Ministro dell’economia e delle finanze ha prospettato nella sua audizione la possibilità di adottare un sistema di copertura mutualistica fra gl’intermediari per l’indennizzo dei danni patrimoniali subìti dai risparmiatori a séguito di abusi degl’intermediari stessi, ferma restando la possibilità di agire in giudizio nei riguardi dei responsabili. Si esclude l’istituzione di un fondo finanziato a carico della fiscalità generale [328].

La previsione di forme di ristoro rigorosamente determinate – fuori da ipotesi impraticabili come l’estensione alle obbligazioni delle garanzie previste per i depositi bancari – potrebbe rispondere non solo alla finalità etica riferita alla difesa del piccolo risparmiatore o alle ragioni costituzionali di protezione del risparmio, ma anche a considerazioni di carattere economico, la ricchezza fondamentale del sistema finanziario – come ricordato dal Ministro delle politiche comunitarie – essendo costituita dalla fiducia[329]. Il Presidente della CONSOB ha convenuto che un ricupero di fiducia presso i risparmiatori potrebbe essere favorito dall’introduzione di un sistema mutualistico il quale consentirebbe il ristoro di taluni danni, prescindendo dall’accertamento di colpa o dolo nella condotta degl’intermediari [330].

Al di là delle iniziative annunziate dalle banche interessate ai recenti fatti, l’ABI ha proposto l’istituzione di un fondo destinato a ristorare i consumatori o i creditori che abbiano subìto un danno ingiusto dall’illecito imputato alla società. Il fondo potrebbe essere finanziato mediante la devoluzione allo stesso dell’ammontare delle sanzioni pecuniarie irrogate alla società in relazione all’illecito commesso. Si tratterebbe di un meccanismo di finanziamento diverso da quello previsto per il sistema d’indennizzo prefigurato dall’articolo 42 del disegno di legge A. C. 4705 che, ripartendo sull’intero sistema bancario i danni causati dal singolo inter-mediario, finirebbe per dar vita ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva sconosciuta all’ordinamento, con rilevanti rischi di moral hazard da parte degl’intermediari [331].

È stata d’altronde segnalata l’esigenza di un sistema di controllo che elimini gli automatismi del sistema mutualistico per non provocare casi di deresponsabilizzazione degl’intermediari o di “azzardo morale” da parte degl’investitori, altrimenti indotti a nutrire improprie aspettative di protezione dal rischio [332].

La possibilità di ricorrere a forme assicurative è stata invece esclusa dai rappresentanti dell’ANIA, che hanno ricordato come, per principio generale, il caso di frode rimanga escluso dalla garanzia del rischio [333].

12. Le procedure fallimentari.

Un argomento che, quantunque estraneo all’iniziale impostazione dell’indagine, è stato toccato da alcuni dei soggetti ascoltati e merita dunque di essere preso sia pur sommariamente in considerazione in questo documento è rappresentato dalla gestione delle situazioni di crisi industriale. È stato infatti da più parti segnalato che l’attuale ordinamento non appresta strumenti idonei a promuovere, laddove possibile, la salvaguardia dei valori produttivi e dell’occupazione, per ottenere i quali risulta necessario apprestare procedure straordinarie o derogatorie, com’è accaduto ancora una volta nei recenti dissesti.

L’ABI ha sollecitato a questo fine un profondo intervento di riforma delle procedure concorsuali e di revisione globale della legge fallimentare, prefigurando procedure di risanamento giudiziali e stragiudiziali efficienti e favorendo soluzioni concordate delle crisi [334].

Anche ad avviso della Confindustria, il dissesto della Parmalat induce ad un’approfondita riflessione sull’efficacia delle procedure predisposte dal nostro ordinamento per affrontare le situazioni di crisi dell’impresa. Tale Confederazione non condivide tuttavia l’opinione dei fautori di un intervento più pregnante del giudice nella procedura e dell’introduzione di più gravi sanzioni a carico del debitore: i casi di frode debbono essere sanzionati penalmente e a tal proposito appare adeguata la soluzione proposta dalla Commissione di riforma del diritto fallimentare istituita presso il Ministero della giustizia, ma non sarebbe opportuno appesantire le procedure di crisi affidandole ai magistrati, né mantenere le attuali sanzioni civili a carico dell’imprenditore fallito. Essa chiede invece procedure di risanamento che privilegino gli accordi con i creditori per una rapida soluzione della crisi, e delle quali cui il giudice verifichi la sola regolarità formale. Soltanto quando la situazione di crisi sia insanabile si giustificherebbe, ad avviso della Confindustria, un più incisivo intervento del giudice [335].

Una riforma dovrebbe fornire inoltre adeguati strumenti che rendano conveniente per l’imprenditore dichiarare tempestivamente il proprio stato di crisi. A questo stesso fine il Ministro delle attività produttive ha annunziato misure vòlte a consentire all’autorità amministrativa di cogliere i sintomi di crisi attraverso un controllo sulla situazione delle imprese che consenta interventi preventivi atti ad evitare conseguenze dannose sul piano economico e sociale [336].

CONCLUSIONI

13. Osservazioni conclusive.

13.1. Premessa.

Come risulta dal confronto con i casi verificatisi altrove, in Europa e negli Stati Uniti d’America, le vicende italiane confermano la complessità di problemi che, per l’interazione fra i comportamenti di soggetti operanti globalmente sui mercati finanziari mondiali, esigono interventi coordinati sia nella legislazione interna sia sul piano degli organismi sovranazionali e della cooperazione internazionale fra gli Stati.

Per quanto specificamente riguarda la situazione italiana, pur nell’eccezionalità delle condotte fraudolente individuate, e in particolare per la grave e prolungata violazione delle regole da parte di amministratori e dirigenti delle società interessate, le cui responsabilità sono in via di accertamento dalle competenti autorità, l’entità delle perdite derivate dall’insolvenza dei due gruppi societari emittenti, il danno per le imprese italiane che intendano fare ricorso ai mercati finanziari e il complessivo nocumento all’immagine del paese impongono di adottare sollecitamente misure atte a ristabilire la fiducia turbata e a prevenire, per quanto possibile, il ripetersi di episodi come questi nel futuro.

Per quanto riguarda i risultati dell’indagine svolta dalle Commissioni parlamentari, suscita grave preoccupazione il fatto che le responsabilità emerse appaiono diffuse a tutti i livelli. Questa conclusione induce a mettere allo studio una vasta serie di correttivi di carattere legislativo e organizzativo, e impone anche di dare segnali decisi di un cambiamento di rotta, prestando nel contempo la dovuta attenzione affinché venga meglio regolamentato ma non ostacolato il ricorso al finanziamento obbligazionario da parte delle imprese, che costituisce un fattore di modernizzazione del mercato finanziario.

Il ricorso allo strumento del prestito obbligazionario va infatti tutelato come mezzo fondamentale per lo sviluppo delle imprese, nonché per ristabilire un indispensabile clima di fiducia tra i risparmiatori, le società emittenti e le banche collocatrici dei titoli stessi.

È forte il rischio di ripercussioni negative, dirette e indirette, sui mercati finanziari italiani che potrebbero derivare dai casi d’insolvenza verificatisi: una stretta creditizia nei confronti delle imprese in difficoltà causata dalla maggiore cautela delle banche nell’accordare loro linee di finanziamento; una crescente difficoltà di approvvigionamento mediante capitale di debito per le imprese; una diffusa sfiducia dei risparmiatori nei confronti dell’investimento in titoli azionari. Questi possibili fattori di crisi richiedono interventi diretti a salvaguardia del mercato obbligazionario.

Con riguardo ai risultati dell’indagine, risulta manifesto, in primo luogo, che le strutture di controllo interne e i collegi sindacali delle due società Parmalat e Cirio non hanno prevenuto, accertato e segnalato le irregolarità commesse dagli organi di gestione anche attraverso il ricorso alla falsificazione di documenti e alla costruzione di una complessa e opaca rete di rapporti tra consociate, né hanno impedito la diffusione di false rappresentazioni della realtà societaria attraverso i bilanci e le altre comunicazioni dirette al mercato.

Non meno evidente è che i responsabili delle società di revisione hanno certificato i bilanci medesimi senza riconoscere le alterazioni in essi contenute, in ciò facendo venir meno un presidio fondamentale posto a tutela dei risparmiatori e dei mercati finanziari.

Risulta inoltre che i soggetti professionalmente operanti nel settore dell’analisi e della valutazione economico-finanziaria sono stati sviati dalla falsità di quanto rappresentato nei documenti presi a fondamento per la loro attività, pur in presenza d’indizi che avrebbero potuto e dovuto suscitare attenzione. Occorrerà a questo riguardo che venga chiarita – con il contributo fondamentale che potrà provenire dalle indagini giudiziarie in corso – la posizione di alcuni istituti di credito sia nei rapporti con le suddette imprese, sia rispetto alla formazione delle decisioni d’investimento dei risparmiatori.

L’osservazione che desta maggiore preoccupazione e che accomuna tutti i casi citati è che nessuno dei presìdi posti a tutela della correttezza e della trasparenza abbia funzionato: non hanno funzionato certamente i controlli interni alle imprese, né quelli delle autorità di vigilanza sul mercato finanziario ovvero sul comportamento delle banche.

Ciò obbliga il legislatore ad interrogarsi sull’adeguatezza dell’organizzazione e dell’assetto di competenze e poteri che presiede all’esercizio di funzioni fondamentali per assicurare il rispetto della legge, la fiducia degli operatori e dei mercati, la corretta formazione delle scelte d’investimento e la tutela del risparmio impiegato in queste attività.

13.2. La riforma dei controlli societari.

13.2.1. L’integrazione dei mercati finanziari e il governo societario.

Nell’ultimo quinquennio l’architettura finanziaria internazionale ha subìto radicali trasformazioni: la crescente finanziarizzazione dell’economia, l’attivismo delle banche universali in campo finanziario e l’esplosione dei mercati borsistici – sostenuta nel vecchio continente dalla stabilità monetaria dell’euro e dal ribasso dei tassi d’interesse – hanno innescato un poderoso processo di convergenza e integrazione delle regole in materia societaria, creditizia e finanziaria.

L’adozione dei princìpi contabili internazionali (International accounting standards), il nuovo Accordo di Basilea sui requisiti minimi patrimoniali, la vigilanza e la trasparenza delle banche nell’esercizio della funzione del credito, la vasta produzione normativa comunitaria in tema di diritto societario, mercati e servizi finanziari, bancari, assicurativi e d’investimento, così come l’adozione nei mercati borsistici di codici di autodisciplina ispirati alle migliori prassiinternazionali di governo societario, testimoniano chiaramente questo processo tendente all’unificazione delle regole di mercato.

È, infatti, la stessa integrazione dei mercati finanziari ad esigere nuovi assetti regolatori all’altezza della dimensione sovranazionale dei mercati medesimi e dei nuovi problemi di stabilità finanziaria che da essa discendono.

La tendenza, in atto, ad una maggiore armonizzazione normativa si configura anche come una reazione ai recenti dissesti finanziari, alle bolle speculative, e, più in generale, alle fragilità sistemiche che sono emerse a livello internazionale negli ultimi anni.

La sempre più sofisticata articolazione delle piramidi societarie e l’operatività internazionale dei grandi gruppi industriali e dei conglomerati finanziari polifunzionali, impostata su logiche di pianificazione tributaria e di convenienza fiscale e legale (i cosiddetti paradisi fiscali), hanno evidenziato, in particolare, l’esigenza di rafforzare e coordinare il sistema dei controlli a presidio della stabilità, della trasparenza e della concorrenzialità del mercato medesimo.

Per quanto concerne, segnatamente, il mercato finanziario italiano, pur permanendo i connotati tipici di un sistema ancora fortemente bancocentrico e con accentuati intrecci tra banche e imprese, a partire dall’introduzione dell’euro si è registrata una progressiva diversificazione degli strumenti di finanziamento delle imprese, con il crescente ricorso all’emissione di titoli obbligazionari.

A questa fase di transizione verso un sistema finanziario maggiormente orientato al mercato non hanno fatto séguito, tuttavia, né un adeguato approfondimento della cultura finanziaria delle imprese, né un adeguato rafforzamento del sistema delle tutele per i risparmiatori e gl’investitori nei gruppi societari che fanno appello al pubblico risparmio.

Nel dibattito sui recenti scandali finanziari sono emersi, infatti, i limiti di un assetto di governo societarioincentrato prevalentemente sulla regolazione dei rapporti tra gli azionisti e gli amministratori, da cui deriva un sistema restio a garantire un’autentica dialettica endosocietaria tra il socio di controllo e gli altri detentori d’interessi, azionisti di minoranza, investitori e risparmiatori.

Nel processo di transizione da un capitalismo protetto a carattere familiare, quale quello italiano, ad un sistema aperto al mercato dei capitali di rischio e alle “creative” opportunità della finanza globale, l’attuale assetto regolamentare, anche sotto il profilo dei controlli interni ed esterni, non sembra ancora sufficientemente incentrato sulla tutela dell’investitore, ancor più se si considerano le nuove e più ampie possibilità di finanziamento e di indebitamento delle società verso i terzi introdotte dalla riforma del diritto societario.

I recenti scandali finanziari dimostrano come anche l’adesione volontaria delle imprese quotate alle migliori prassiinternazionali dei codici di autodisciplina, se non è sorretta da un’adeguata trasparenza della catena informativa societaria, e dunque da puntuali obblighi giuridici di pubblicità e conseguenti poteri sanzionatori dell’autorità di vigilanza, possa addirittura ingigantire le asimmetrie informative del mercato (e quindi anche le dimensioni di eventuali crisi).

L’esistenza di un articolato sistema di controlli interni, fondati sulla presenza maggioritaria di amministratori indipendenti, prevista dal Codice Preda che non ha alcuna vincolatività giuridica e da cui non dipendono l’ammissione e la permanenza in un mercato regolamentato, non appare sufficiente a garantire la dialettica societaria indispensabile al buon andamento dell’impresa.

Lo stesso requisito dell’indipendenza degli amministratori, se non adeguatamente definito in via legislativa o regolamentare, rischia di ridursi ad una mera petizione di principio, essendo gli stessi amministratori indipendenti individuati dal socio di maggioranza, o comunque dal gruppo di comando dell’impresa.

13.2.2. La riforma dei controlli interni.

Mentre la tutela del risparmio bancario è realizzata attraverso la vigilanza sulla sana e prudente gestione degl’intermediari, la tutela del risparmio raccolto dalle imprese è affidata ai controlli interni sulla gestione delle imprese stesse e alla sorveglianza sulla corretta rappresentazione della loro situazione finanziaria.

I controlli operati da organismi interni all’impresa, in grado di acquisire una puntuale e tempestiva conoscenza delle politiche aziendali e dei risultati economici, rappresentano il primo presidio per evitare che comportamenti fraudolenti abbiano luogo e si ripetano, compromettendo la stabilità aziendale. Malfunzionamenti, o peggio omissioni o complicità, creano le condizioni per condotte fraudolente da parte dei vertici societari; vengono distorte le valutazioni degli analisti e le decisioni degl’investitori.

Per tutelare questi ultimi ed evitare ulteriori “fallimenti del mercato” è necessario, dunque, potenziare l’efficacia dei meccanismi di controllo endosocietario, favorendo la dialettica rappresentativa all’interno della compagine societaria, sia attraverso il rafforzamento del ruolo di controllo degli azionisti di minoranza, sia mediante un maggiore coinvolgimento – come già possibile nell’ambito dell’autonomia statutaria – degl’investitori istituzionalie dei rappresentanti dei titolari degli strumenti finanziari emessi dalla società per il mercato o assegnati ai dipendenti.

Il primo ed essenziale presupposto per la trasparenza informativa nei riguardi del mercato è dato dalla presenza di organi di controllo realmente indipendenti all’interno delle imprese aperte al mercato dei capitali.

È questo l’intendimento sotteso alla recente riforma del diritto societario, ispirata a maggiore flessibilità e semplificazione per le società “chiuse” e al contestuale rafforzamento dei presìdi di trasparenza e controllo nelle società “aperte” ai capitali di rischio.

Le recentissime modifiche al testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria (in vigore dal 29 febbraio 2004), con cui si è provveduto al suo adeguamento ai nuovi modelli alternativi di amministrazione e controllo introdotti dalla riforma del diritto societario, hanno, infatti, rafforzato il regime delle incompatibilità e dei poteri ispettivi degli organi di controllo interno, estendendo al contempo gli obblighi informativi degli amministratori verso gli organi di controllo anche alle operazioni influenzate dal soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento.

Nonostante tali condivisibili interventi, la disciplina speciale delle società per azioni quotate nei mercati regolamentati pone ancora questioni irrisolte in ordine alla funzionalità dei nuovi modelli di amministrazione e controllo nella prevenzione dei possibili conflitti d’interessi, sia con riferimento agli organi di controllo interno, scelti dal medesimo socio di controllo che nomina gli amministratori, sia in relazione alla posizione dei revisori contabili, anch’essi individuati dal socio di controllo e potenzialmente interessati a rapporti di consulenza.

Alla luce delle inefficienze riscontrate nei meccanismi di controllo endosocietario, assumendo a riferimento il modello di amministrazione e controllo tradizionale, le Commissioni ritengono auspicabile l’introduzione di ulteriori garanzie a presidio dell’indipendenza, dell’efficienza e della trasparenza dell’operato degli organi di controllo interno, valutando favorevolmente un intervento correttivo in materia di diritto societario diretto a:

estendere alle società non quotate la disposizione di cui all’articolo 148, comma 2, del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria, in base alla quale l’atto costitutivo delle società per azioni deve contenere le clausole necessarie ad assicurare che un membro effettivo del collegio sindacale [o due nel caso di collegio composto da più di tre membri], e dei corrispondenti organi di controllo nei modelli alternativi, sia eletto dalla minoranza azionaria;

introdurre, con esclusivo riferimento alle società quotate, il potere di nomina del presidente del collegio sindacale da parte della CONSOB, sentita l’assemblea, nell’ambito di un apposito albo di soggetti aventi determinati requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza, prevedendo in ogni caso un termine massimo di permanenza nella carica, o, in alternativa, con riferimento alle medesime società, attribuire alla minoranza azionaria il potere di nominare la maggioranza dei membri effettivi del collegio sindacale, attribuendo alla CONSOB la competenza a stabilire le procedure di voto a ciò idonee e il potere di dichiarare la decadenza dei sindaci nominati dalla maggioranza oltre il numero ad essa spettante;

rafforzare i profili di controllo contabile del collegio sindacale, oggi venuti meno nelle società tenute al bilancio consolidato che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, trasformando il collegio nell’organo di raccordo con la società di revisione e nell’interlocutore privilegiato dell’autorità di vigilanza; a tal fine potrebbe demandarsi al collegio sindacale il compito di conferire l’incarico di controllo contabile alla società di revisione e di determinarne il compenso, sentiti gli amministratori e l’assemblea dei soci – o, in alternativa, rendere vincolante il parere che il collegio sindacale deve esprimere ai sensi dell’articolo 159 del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria – sulla base di più stringenti criteri di incompatibilità, rotazione, durata e remunerazione dell’incarico di revisione medesimo, secondo le indicazioni della raccomandazione 2002/590/CE della Commissione del 16 maggio 2002 in materia di indipendenza dei revisori legali dei conti, così come del resto previsto dal disegno di legge del Governo, ovvero adottare altre soluzioni che rafforzino l’autonomia e l’indipendenza dei revisori;

accrescere l’efficacia dei poteri d’ispezione e controllo dei sindaci, attribuendo loro il potere di richiedere direttamente a terzi, senza il tramite della società, informazioni su operazioni poste in essere dagli amministratori;

rendere obbligatoria, per le società quotate e per quelle che eccedono determinate soglie di fatturato e patrimonio netto o che emettono strumenti finanziari, la costituzione di una struttura di controllo interno rapportata alle dimensioni della società;

legittimare i sindaci a proporre l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori in favore della società, ed eventualmente a presentare denunzia al tribunale in caso di gravi irregolarità di gestione degli amministratori, prescindendo dal danno potenziale alla società o alle sue controllate;

rafforzare la garanzia d’indipendenza dei membri del collegio, precludendo al sindaco qualsiasi attività di consulenza, diretta o indiretta, in favore delle società sottoposte a controllo; al riguardo andrebbe assicurata l’effettiva applicazione della disposizione del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria, recentemente introdotta, che annovera tra le cause di decadenza dall’ufficio l’esistenza di rapporti di natura patrimoniale suscettibili di compromettere l’indipendenza del sindaco;

rafforzare l’obbligo, a carico dell’organo di controllo, di segnalare tempestivamente all’autorità di vigilanza eventuali irregolarità nella gestione, prevedendo adeguate sanzioni in caso d’inerzia;

introdurre adeguate forme di pubblicità del numero degl’incarichi assunti dai componenti degli organi di controllo in altre società, demandando all’autorità di vigilanza il potere di fissare un limite massimo al numero degl’incarichi che uno stesso soggetto può ricoprire;

prevedere una specifica responsabilità personale, di natura penale, a carico dei dirigenti degli uffici amministrativi e finanziari per l’incompletezza o la falsità dei documenti da essi prodotti o utilizzati per predisporre il bilancio e per il caso di scorretta tenuta delle scritture.

Nella prospettiva, sin qui adottata, di rafforzamento della dialettica intrasocietaria s’innestano ulteriori proposte dirette a rafforzare ulteriormente il ruolo degli azionisti di minoranza.

A tale riguardo è stata sottolineata, ad esempio, la possibilità, di conferire alla minoranza azionaria la facoltà di nominare uno o due membri del consiglio d’amministrazione, a seconda del numero dei componenti dell’organo.

Nella medesima direzione, è opportuno valutare con attenzione la possibilità di abbassare la soglia, attualmente fissata nel 5 per cento del capitale sociale, per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

In proposito, il metodo del voto di lista, previsto per l’elezione dei membri del collegio sindacale, potrebbe utilmente estendersi anche ai componenti del consiglio d’amministrazione, ferma restando in tal caso l’esigenza di non consentire in sede statutaria la fissazione di quorum eccessivamente elevati, i quali ostacolerebbero di fatto la presentazione delle liste nelle numerose imprese aperte al mercato con compagini sociali molto articolate; sotto altro profilo, il rafforzamento dei poteri delle minoranze per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità dovrebbe comunque tenere conto dell’esigenza di non accentuare le possibilità di conflitto e di uso strumentale dei poteri delle minoranze azionarie all’interno delle compagini societarie.

13.2.3. Il ruolo dell’autodisciplina di mercato.

Oltre alle linee di riforma prospettate, le Commissioni ritengono essenziale intervenire anche in relazione ai princìpi di governo societario stabiliti nel Codice di autodisciplina delle società quotate.

In esso si rinvengono elementi di grande qualità dal punto di vista della trasparenza, che consentono alle società di aumentare la propria affidabilità per gl’investitori attraverso l’applicazione di un avanzato modello organizzativo societario.

Le Commissioni ritengono, pertanto, che alcuni princìpi di maggior rilievo contenuti nel cosiddetto Codice Preda, come quelli inerenti al ruolo del consiglio d’amministrazione e del comitato per i controlli interni, l’informazione ai consiglieri e la trasparenza delle operazioni con parti correlate, possano essere recepiti o comunque considerati nell’ordinamento giuridico.

Ciò che appare fondamentale, tuttavia – alla luce di quanto sopra esposto circa il ruolo di orientamento del mercato che ha assunto l’autodisciplina – è garantire una maggiore pubblicità delle modalità concrete di adesione ai princìpi del Codice Preda.

I recenti scandali finanziari testimoniano, infatti, come l’attuale assetto, nel quale le istruzioni di borsa vincolano le società quotate ad informare il mercato sull’applicazione delle raccomandazioni del Codice e sulle motivazioni di eventuali scostamenti dalle stesse, non appaia sufficiente a garantire un corretto e trasparente funzionamento dei mercati finanziari, ma sia viceversa foriero di possibili effetti distorsivi in mancanza di un sistema di controlli e di sanzioni in ordine alla veridicità delle informazioni fornite al mercato.

Al fine d’introdurre più adeguati meccanismi informativi per gl’investitori circa l’effettiva attuazione delle regole del Codice di autodisciplina da parte delle imprese, le Commissioni, pur salvaguardando il principio dell’autore-golamentazione, valutano positivamente l’introduzione, in via legislativa o regolamentare, di obblighi specifici di comunicazione periodica relativamente all’adesione a taluni princìpi del Codice, dal rispetto dei quali far dipendere l’ammissione o la permanenza nel mercato regolamentato, affidando a tal fine alle organizzazioni di mercato e all’autorità di vigilanza efficaci poteri sanzionatorî contro la diffusione d’informazioni fraudolente. Nella medesima direzione gioverebbe, altresì, attribuire agli organi di controllo interno o, eventualmente, a soggetti esterni qualificati, come le società di revisione, il compito di verificare le modalità di attuazione dei princìpi del Codice e la sostanziale veridicità della relazione sulla corporate governance.

13.2.4. La riforma dei controlli esterni: le società di revisione.

Dalla ricostruzione dei recenti casi di dissesto emersa durante le audizioni dell’indagine conoscitiva, come anche dall’esame di vicende occorse in altri paesi [ad esempio il caso Enron] si evince che le società di revisione contabile hanno un ruolo fondamentale nell’assicurare la veridicità dei conti delle imprese e la trasparenza della loro situazione finanziaria e contabile. Le società in questione rappresentano, infatti, uno snodo essenziale al fine di realizzare un capitalismo moderno ed efficiente e svolgono funzioni di estrema delicatezza e di rilevante interesse per la collettività.

In proposito, è indubitabile che l’efficienza dell’attività di revisione è proporzionale all’indipendenza della società e del responsabile della revisione e presuppone, dunque, la neutralizzazione dei conflitti d’interessi.

Questi ultimi si possono manifestare sia nella scelta del revisore da parte del socio di controllo, sia nello svolgimento di incarichi diversi dalla revisione da parte di soggetti collegati alla società di revisione, sia, infine, in relazione alla partecipazione di imprenditori, banche e società finanziarie al capitale delle società di revisione medesime.

Sul punto, le Commissioni ribadiscono l’esigenza di garantire la terzietà della società di revisione, introducendo limiti ulteriori rispetto all’esclusività dell’oggetto sociale delle società di revisione, già sancita dall’ordinamento nell’articolo 6 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88.

Nelle more dell’approvazione dei progetti di legge sulla tutela del risparmio – che intervengono sulla materia della revisione contabile con criteri, quali quelli delineati nel disegno di legge del Governo, che le Commissioni ritengono ampiamente condivisibili – potrebbe essere data attuazione all’articolo 160 del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria, il quale prevede l’adozione di un apposito regolamento del Ministro della giustizia per la disciplina dei casi d’incompatibilità della società e del responsabile della revisione.

Nel rafforzare la disciplina delle incompatibilità dovranno introdursi misure incidenti sia sulle società di revisione e sui soggetti con esse collegati, sia direttamente sulle persone fisiche in esse operanti, vietando alle società di revisione di svolgere, anche indirettamente attraverso aziende, studi o professionisti collegati in una “rete”, attività di consulenza o comunque attività diverse dalla revisione nei riguardi della società sottoposta alla revisione o delle società o soggetti che siano controllanti o controllati della società oggetto della revisione, o ad essa collegati o sottoposti al medesimo controllo.

Sempre in tema d’incompatibilità, appare opportuno introdurre il divieto di conferire l’incarico di revisione a soggetti che versino in situazioni di conflitto d’interessi, derivanti da rapporti professionali intercorsi nel triennio antecedente tra i gruppi di appartenenza della società oggetto di revisione e del soggetto incaricato della revisione, ovvero da circostanze personali o di qualsiasi altro tipo atte a comprometterne l’indipendenza. È, inoltre, necessario prevedere un congruo periodo di tempo entro il quale sia precluso a chi ha prestato la propria opera nell’àmbito della società di revisione di assumere incarichi presso la società che ha conferito il mandato.

Sotto altro profilo, appare opportuno ripristinare talune fondamentali garanzie originariamente previste dal decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1975, n. 136, a presidio dell’indipendenza dei revisori contabili. Si tratta, in particolare, delle facoltà, attribuite alla CONSOB, di negare l’approvazione della delibera di nomina della società di revisione, per incompatibilità o inidoneità tecnica, e di revocare la società di revisione da un determinato incarico.

Accanto al necessario ripristino dei predetti poteri e alle misure prospettate in materia d’incompatibilità e conflitti d’interessi, le Commissioni ritengono opportuno intervenire anche sul versante della responsabilità delle società di revisione, rendendo efficace e concretamente esperibile l’azione di responsabilità civile di risarcimento dei danni a favore dei soci e dei terzi in caso d’irregolarità nell’attività di revisione, con particolare riferimento alla veridicità delle informazioni societarie diffuse al mercato. A tale riguardo, al fine di agevolare la corresponsione del risarcimento dei danni subìti dai soggetti coinvolti, si reputa opportuno introdurre un’inversione dell’onere della prova, per cui, in presenza di indizi d’irregolarità nelle informazioni societarie diffuse al mercato, la società di revisione sia tenuta

al risarcimento dei danni lamentati dai soci e dai terzi se non prova la diligenza nell’adempimento del proprio incarico, fornendo la documentazione del procedimento seguìto e la ragione dei criteri adottati nello svolgimento dell’incarico medesimo.

Sotto il profilo penalistico, si ritiene opportuno intervenire sul reato previsto dall’articolo 2624 del codice civile [Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione], non solo con l’inasprimento della pena, ma anche mediante l’introduzione di una fattispecie incriminatrice di condotte colpose, auspicandosi altresì l’introduzione di specifiche circostanze aggravanti connesse al conseguimento di un ingiusto profitto e alla determinazione di un effetto depressivo sui mercati finanziari.

Per introdurre maggiore chiarezza nell’analisi contabile e in vista della piena applicazione del regolamento comunitario in materia di princìpi contabili internazionali, le Commissioni auspicano, inoltre, la sollecita attuazione dell’articolo 117, comma 2, del testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria, che demanda ad un regolamento del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’individuazione dei princìpi contabili internazionali che le società emittenti strumenti finanziari possono utilizzare per la redazione dei bilanci consolidati.

In linea con gli indirizzi comunitari, appare, infine, utile definire requisiti minimi più stringenti per l’attività di revisione, prevedendo correlativi controlli di qualità. Si ritiene in particolare opportuno affidare all’autorità competente in materia di trasparenza il controllo sui requisiti d’indipendenza e sulla correttezza delle società di revisione, precisando meglio i poteri e i doveri di vigilanza e di verifica continua dell’operato delle società di revisione iscritte nell’albo speciale, e completando altresì il sistema sanzionatorio disegnato dal testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria con la previsione di efficaci sanzioni amministrative a carico della società di revisione – e non soltanto del singolo revisore – nonché la possibilità di adottare interventi di natura cautelare.

13.2.5. La riforma dei controlli esterni.

13.2.5.1. a) Le società di rating.

Nel corso dell’indagine conoscitiva è stato posto l’accento sulla rilevanza, per il corretto e trasparente funzionamento dei mercati finanziari, dell’attività di soggetti esterni all’impresa, come le agenzie di rating e gli analisti finanziari, le cui valutazioni esercitano un ruolo cruciale nell’orientare le strategie e le decisioni di investimento degl’intermediari e dei singoli risparmiatori.

In particolare, il giudizio espresso dalle agenzie di rating sugli strumenti finanziari è contemplato nella normativa secondaria riguardante le attività d’intermediazione finanziaria. Risulta pertanto necessario regolare in modo più puntuale la prestazione di tali servizi al pubblico, con riguardo sia alla qualificazione dei soggetti e al contenuto dell’attività esercitata, sia sul piano della prevenzione e della regolazione dei conflitti d’interessi che si potrebbero verificare nel suo svolgimento, nonché, infine, con riferimento alla responsabilità che quest’attività può comportare.

Con riferimento a tale tipo di attività, le Commissioni ritengono essenziale addivenire a un assetto regolatore che, superando la dimensione dei confini nazionali, tenga conto delle linee di tendenza in atto nell’ordinamento comunitario, vòlte ad imporre un livello di trasparenza e di informazione commisurato agli obiettivi di una solida tutela degli investitori e dell’efficienza del mercato. In questa direzione si rende opportuna la necessità di una riflessione, nelle sedi competenti, sull’istituzione di un sistema di supervisione a livello europeo sull’attività di rating e sui soggetti che la esercitano.

13.2.5.2. b) Analisti finanziari.

Per quanto concerne l’attività degli analisti finanziari, oltre al regime sostanzialmente oligopolistico di tale mercato, sono emersi alcuni rilevanti aspetti di criticità, quali, tra l’altro, la forte prevalenza di consigli operativi nel senso dell’acquisto, la sostanziale assenza di studi contenenti valutazioni negative, l’uniformità dei giudizi espressi negli studi stessi, la difficoltà e la lentezza nell’adeguamento alle variazioni del mercato, nonché i più generali problemi discendenti dai conflitti d’interessi.

A tale ultimo riguardo, i recenti scandali finanziari sembrano dimostrare l’insufficienza degli strumenti di autoregolamentazione e della mera imposizione agli intermediari dell’obbligo di porre in essere le cosiddette “muraglie cinesi” [chinese walls], le quali dovrebbero assicurare la neutralità dell’analisi impedendo la circolazione e lo sfruttamento delle informazioni disponibili tra i diversi comparti dell’organizzazione degli operatori polifunzionali.

Le Commissioni ritengono opportuna l’introduzione di una disciplina dell’analisi finanziaria che affronti le questioni connesse ai requisiti professionali necessari per lo svolgimento di tale attività e, soprattutto, il problema dei conflitti d’interessi che vi possono insorgere.

In relazione all’attività degli analisti finanziari, le Commissioni ritengono necessario, in particolare, garantire la loro terzietà rispetto alla società i cui titoli vengono analizzati. A tale scopo, sono valutati favorevolmente gli interventi diretti a: sottoporre al potere regolamentare della CONSOB tutti gli studi aventi ad oggetto titoli trattati su mercati regolamentati italiani; assoggettare a specifiche disposizioni comportamentali, di trasparenza e di correttezza, i soggetti che producono gli studi; includere nel novero dei soggetti tenuti al rispetto delle norme comportamentali i giornalisti e le altre figure che diffondono al pubblico le informazioni contenute negli studi.

13.2.6. Il fenomeno delle cosiddette “scatole cinesi”.

Con l’espressione di scatole cinesi sono denominate le strutture patrimoniali societarie in cui l’attivo di una società quotata in borsa è rappresentato prevalentemente dalla partecipazione – perlopiù di controllo – in un’altra società quotata.

In proposito è da condividere l’obiettivo di introdurre strumenti di tipo informativo vòlti a rendere nota e trasparente la situazione del mercato, aumentando gli obblighi d’informazione sulle operazioni intragruppo; introducendo regole di governo societario dirette ad incrementare la tutela delle minoranze [in particolare, nel caso di società controllata da un’altra società quotata, la società controllata dovrebbe dotarsi di un comitato di controllo interno composto esclusivamente da amministratori indipendenti]; utilizzando le segmentazioni di mercato al fine di segnalare agl’investitori i profili di potenziale criticità che caratterizzano le “scatole cinesi”.

Vanno inoltre previste la progressiva esclusione delle società costituenti “scatole vuote” dal listino di borsa, nonché la creazione di un mercato separato delle società che controllano altre società, a fini di maggiore trasparenza.

13.2.7. Paradisi fiscali e legali.

È da valutare con grande preoccupazione il diffuso utilizzo, nel mercato finanziario internazionale, di sedi aperte nei cosiddetti paradisi fiscali e legali: si tratta di normali pratiche internazionali vòlte a ridurre i costi d’intermediazione sotto il profilo sia fiscale, sia legale e amministrativo, che possono tuttavia avere pesanti effetti di opacità nelle scelte aziendali e finanziarie. La tematica va però trattata con grande cautela, sia perché non appare possibile imporre un divieto assoluto nei riguardi d’imprese di dimensione internazionale, sia per non ridurre la capacità competitiva delle imprese italiane sui mercati internazionali. La scelta più condivisibile sembra essere quella di rendere gl’investitori e i risparmiatori pienamente informati del ricorso delle imprese – siano esse manifatturiere, finanziarie o creditizie – a tali strategie di competizione tributaria in modo da sterilizzare, almeno sul piano della trasparenza e della correttezza, gli eventuali rischi connessi ad investimenti su titoli, di qualsiasi tipo, provenienti o circolanti grazie a tali sedi privilegiate.

Una simile indicazione assume certamente maggior valore per le banche, relativamente alle quali è necessario che l’informazione fornita su tali aspetti abbia massima diffusione e, correlativamente, che l’autorità di vigilanza controlli il pieno adempimento di tali obblighi informativi.

13.2.8. L’ammissione dei titoli alla negoziazione di borsa.

La scelta effettuata dal legislatore nel nostro Paese in sede di privatizzazione è stata di affidare le cosiddette funzioni di listing [cioè l’ammissione a quotazione e la successiva sorveglianza al mercato di Borsa] alla responsabilità delle società di gestione del mercato. L’affidamento del listing a tali società genera tuttavia un potenziale conflitto d’interessi, essendo Borsa Italiana SpA una società per azioni al cui capitale partecipano intermediari finanziari quotati. Altro conflitto può poi derivare dall’interesse della società che gestisce il mercato ad incrementare il numero delle società ammesse alla quotazione, a scapito del rigore nella verifica dei requisiti.

Per risolvere tali conflitti si è di volta in volta proposto di quotare nello stesso mercato borsistico la società di gestione, al fine di stemperare la presenza degli intermediari quotati nel suo capitale, oppure di attribuire all’autorità di sorveglianza le funzioni di ammissione alla quotazione.

Tale esigenza va condivisa, riconoscendo gli interessi generali collegati alla funzione di listing. Pertanto, ferme restando le istruttorie e verifiche affidate comunque a Borsa Italiana SpA, si potrebbe riservare all’autorità di supervisione la decisione finale al riguardo, in modo da affidare ad un soggetto pubblico la tutela di un interesse pubblico, nonché prevedere la facoltà di non ammettere o escludere dalla quotazione società, sulla base di criteri predeterminati.

13.3. I rapporti tra banca e impresa.

Nel corso dell’indagine si è più volte accennato al tema del rapporto fra banche e imprese. È noto che la convergenza di convenienze che si verifica fra le imprese, spinte dall’esigenza di disporre di fonti privilegiate di accesso al credito e ai servizi di finanza d’impresa, e l’alta dirigenza delle banche, interessata a prevenire modificazioni degli assetti di controllo proprietario per preservare la propria posizione di comando, può determinare situazioni in cui la presenza di esponenti di imprese debitrici nei consigli di amministrazione delle società bancarie produce palesi conflitti d’interessi fra il ruolo di gestore della banca, la cui attività dovrebbe tendere a una sana e prudente gestione della stessa, e il ruolo di imprenditore, interessato a diventare beneficiario di credito per la propria azienda.

L’emergere del nuovo modello di banca universale, il superamento della separazione tra finanziamenti a breve e a medio termine e la progressiva trasformazione della banca tradizionale nella nuova figura dell’intermediario bancario e finanziario polifunzionale, codificate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia emanato nel 1993, ha accentuato questa tendenza, portando ad un sempre più stretto coinvolgimento delle banche nelle vicende e nelle sorti dei grandi gruppi industriali.

Occorre allora promuovere e, se necessario, imporre la trasparenza dei rapporti di partecipazione al capitale bancario e dei rapporti di finanziamento che legano reciprocamente le banche e le imprese loro azioniste, ed eliminare il conflitto di interesse nel quale versa l’imprenditore che, azionista della banca, sia anche prenditore di credito da parte della stessa, precludendo a tale soggetto, quando l’esposizione debitoria ecceda una data soglia rilevante, la possibilità di esercitare qualsiasi influenza sulle decisioni riguardanti le scelte d’indirizzo e la gestione della società bancaria.

L’accresciuta presenza degli imprenditori fra gli azionisti bancari rende opportuno introdurre una disciplina più stringente con riguardo alla definizione dei “soggetti industriali collegati” e alla contemporanea posizione di amministratore e di affidato della banca.

Si potrebbero prevedere limiti patrimoniali più stringenti di quelli oggi in vigore e maggiori cautele nelle relazioni d’affari tra le imprese bancarie e le parti correlate, così da contenere la posizione complessiva del rischio che la banca assume nei confronti di tali soggetti.

A tal fine appare opportuno estendere l’obbligo di approvazione da parte del consiglio d’amministrazione a tutte le operazioni finanziarie [e non solo ai prestiti] compiute in favore di azionisti industriali con una partecipazione superiore ad una certa soglia; nonché introdurre limitazioni per le imprese ad investire, entrare nel consiglio d’amministrazione o partecipare a patti di sindacato nelle banche verso cui abbiano un’esposizione superiore ad una certa percentuale del proprio indebitamento finanziario lordo complessivo. Appare cioè necessario definire procedure più articolate per la valutazione dei finanziamenti da erogare ai clienti che siano azionisti rilevanti della banca, disciplinando in maniera puntuale e sistematica la responsabilità degli organi decisionali. Va nel contempo previsto l’obbligo di comunicare all’autorità di vigilanza sul sistema creditizio tutte le operazioni poste in essere dai membri del consiglio d’amministrazione, in proprio o per conto delle società che essi rappresentano. Potrebbe essere altresì valutata l’opportunità di rafforzare i presìdi prudenziali attualmente previsti in materia dalla regolamentazione secondaria adottata dall’autorità di vigilanza ai sensi del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, limitando ulteriormente o escludendo la possibilità d’indebitamento dei soggetti imprenditoriali nei riguardi delle banche ad essi collegate.

13.4. La riforma delle funzioni di vigilanza.

13.4.1. Ragioni e orientamento della riforma.

Ogni intervento sulle funzioni di vigilanza deve muovere dal riconoscimento della validità del modello del mercato regolamentato. Le vicende degli ultimi anni – dalla bolla speculativa sui mercati dei titoli azionari negli anni 1999-2000, alle crisi delle società americane Enron e Worldcom, fino ai recenti avvenimenti italiani – suggeriscono infatti di rafforzare i presìdi a tutela degli investitori e dei risparmiatori, ampliando proprio l’operatività di tale modello e rafforzando le regole, le procedure e i controlli, ancora più necessari in un’ottica globalizzata e con scenari internazionali aperti.

Un intervento sull’attuale assetto delle funzioni di vigilanza appare, in particolare, necessario alla luce di tre fondamentali elementi emersi nel corso dell’indagine. Un primo dato meritevole di attenta considerazione attiene all’evoluzione in corso a livello europeo. È in atto, infatti, un processo di convergenza delle funzioni di vigilanza che ha già realizzato l’unificazione del mercato dei valori mobiliari e condurrà, entro un periodo assai breve, ad un mercato unico dei servizi finanziari, ponendo, sul piano interno, il problema d’introdurre adeguati correttivi all’attuale frammentazione delle competenze in materia di vigilanza. Un secondo elemento dal quale non appare possibile prescindere attiene alla struttura finanziaria del mercato, che si caratterizza, in misura sempre maggiore, per una marcata integrazione fra le diverse attività di credito e per la conseguente despecializzazione degli intermediari nonché per una nuova composizione dell’offerta di prodotti finanziari. Un terzo, fondamentale elemento riguarda la nuova composizione dei portafogli dei nuclei familiari: è drasticamente diminuito il peso dei depositi bancari e dei titoli di Stato ed è nettamente aumentata l’incidenza di attività finanziarie di mercato [azioni e obbligazioni emesse da soggetti privati]. Gli ultimi due aspetti qui richiamati richiedono, innanzitutto, di finalizzare maggiormente l’attività di vigilanza alla tutela degli interessi dei risparmiatori, che si configurano come i “soggetti deboli” ed esposti ai rischi più elevati in conseguenza delle intervenute trasformazioni dei mercati finanziari.

Rispetto al nuovo quadro che si è obiettivamente determinato, l’assetto della vigilanza, oltre che della regolamentazione, appare, in particolare, assegnare, da un lato, un’eccessiva centralità al sistema bancario – scelta questa comprensibile con riferimento al passato ma, sotto molti aspetti, non più attuale – e, dall’altro, non tenere nella debita considerazione le trasformazioni alle quali è andata incontro l’attività svolta dagli intermediari.

13.4.2. Sviluppare il modello di vigilanza per finalità ponendo al centro la tutela del risparmio.

Nel corso delle audizioni è risultata ampiamente prevalente l’opinione secondo la quale risulterebbe controproducente, o quanto meno prematura, fino a una più compiuta valutazione delle esperienze avviate in questo senso in altri paesi, una radicale trasformazione dell’attuale assetto della vigilanza e, in particolare, la previsione di un’unica autorità competente in materia di banche, intermediari mobiliari e assicurazioni. È invece da confermare la scelta, già parzialmente operata dall’ordinamento, di un modello di vigilanza per finalità, caratterizzato dalla presenza di più autorità, ciascuna competente per uno degli obiettivi generali della regolamentazione, che va tuttavia integralmente attuata, tenendo conto degli elementi di forte discontinuità ai quali si è accennato.

Gli avvenimenti recenti, in Italia e all’estero, hanno infatti mostrato che il modello della banca universale tende a riproporre il problema dei conflitti d’interessi tra le diverse attività svolte, con rischi sia per i risparmiatori che per la stabilità del sistema. È quindi opportuno insistere sugli strumenti che limitano e segmentano lo svolgimento delle varie attività all’interno delle banche universali. In conseguenza di ciò, anche il sistema di vigilanza e di controllo deve poter correttamente distinguere tra gli obiettivi di fondo della stabilità e della correttezza e trasparenza, altrimenti ci si espone al rischio di subordinare l’obiettivo della correttezza a quello, ben più importante dal punto di vista sistemico, della stabilità. Tale rischio sarebbe particolarmente rilevante in Italia, dove i controlli di stabilità hanno una tradizione, una credibilità e un’incisività ben più forti di quelli relativi alla trasparenza e alla correttezza, a motivo della ben maggiore autorevolezza, forza e tradizione del soggetto storicamente preposto al controllo della stabilità. La vigilanza per funzioni origina dall’osservazione che i problemi di stabilità si pongono essenzialmente dal lato dell’offerta [banche, assicurazioni, intermediari] mentre quelli di correttezza riguardano essenzialmente la domanda, vale a dire la tutela dei risparmiatori nei loro rapporti con le imprese e gli intermediari.

In linea di principio, dovrebbe pertanto mantenersi alla Banca d’Italia la competenza in materia di stabilità macroeconomica, ossia relativa alla prevenzione di crisi bancarie di portata sistemica, e di stabilità microeconomica, ossia relativa alla conservazione di condizioni di equilibrio economico e patrimoniale a livello dei singoli intermediari finanziari.

Dell’attuale CONSOB andrebbe esaltato il ruolo di protezione degli investitori, da realizzarsi garantendo sia la trasparenza delle informazioni sia la correttezza dei comportamenti degli intermediari. I poteri di tale istituzione devono essere tuttavia sensibilmente rafforzati e risultare esercitabili nei confronti di tutti gli intermediari finanziari, ferme restando le esigenza di tutela della stabilità. Le Commissioni ritengono in particolare necessario ampliarne i poteri d’indagine e di verifica, prevedendo sia la possibilità di avvalersi della Guardia di finanza, sia la facoltà di ottenere le informazioni necessarie dalle altre autorità di vigilanza.

In ogni caso, ferma restando la competenza della Banca d’Italia in materia di raccolta del risparmio bancario, occorre tenere presente che i profili di vigilanza sulla trasparenza e sulla stabilità relativi alle obbligazioni emesse dalle banche risultano oggettivamente intrecciati: pertanto, il riparto di competenze in merito tra le relative autorità dovrà essere attentamente e specificamente definito in occasione dei successivi interventi legislativi.

Un coerente recepimento del modello di vigilanza per finalità richiede inoltre di estendere al settore bancario le competenze dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Tale orientamento, oltre a risultare pienamente aderente alla disciplina comunitaria della materia, è volto a tenere conto del potenziale conflitto tra la funzione di tutela della stabilità e quella di tutela della concorrenza nell’ambito del settore creditizio. A questo riguardo va per altro segnalato come il riconoscimento della competenza dell’Autorità garante anche con riferimento al settore bancario esiga l’introduzione di forme di coordinamento tra l’attività di quest’ultima e quella della Banca d’Italia, che, senza introdurre procedure eccessivamente complesse ed esposte al rischio di esiti paralizzanti, assicuri una saggia ponderazione fra le esigenze della concorrenza e quelle della stabilità. A riguardo non va sottovalutato come le fusioni e le acquisizioni tra banche presentino in ogni caso un rilevante profilo di stabilità, che inerisce alle competenze proprie della Banca d’Italia, e come la tutela delle esigenze di stabilità rivesta, anche in tali casi, un rilievo fondamentale ai fini della tenuta complessiva del sistema creditizio.

In conclusione, le Commissioni ritengono che, in materia di tutela della concorrenza, occorra ridefinire i rapporti tra la specifica autorità e la Banca d’Italia, al fine di consentire un’adeguata valutazione, con riferimento ai singoli casi, della prevalenza delle esigenze di stabilità o di concorrenza.

13.4.3. La vigilanza sulle assicurazioni e sui fondi pensione.

Nell’attuale assetto della vigilanza, il modello per finalità è applicato in modo solo parziale, in quanto il legislatore ha ritenuto che i caratteri specifici dei due settori giustifichino l’esistenza di due organismi, ISVAP e COVIP, dotati di competenze in materia di vigilanza rispettivamente sui settori delle assicurazioni e dei fondi pensione. Le due citate autorità riconducono ad un modello di tipo istituzionale, connotato dal conferimento della vigilanza sulle diverse categorie di operatori ovvero sui diversi mercati ad uno specifico organo, competente per tutte le attività e per il perseguimento di tutti gli obiettivi.

Con particolare riferimento al settore assicurativo, va evidenziato come i relativi prodotti abbiano un rilevante contenuto finanziario, che può risultare diretto concorrente di prodotti offerti da banche e da fondi comuni d’investimento. Sul piano funzionale si assiste ad un’evoluzione diretta verso la tendenziale despecializzazione degli intermediari. Strutturalmente, esistono legami societari tra i settori bancario e assicurativo che si esplicano nella partecipazione o addirittura nell’esercizio del controllo da parte di gruppi bancari su un rilevante numero di compagnie assicurative. D’altronde, non può non rilevarsi la specificità delle attività connesse all’assicurazione contro i rischi, la cui valutazione è rimasta finora estranea alla funzione di vigilanza sul credito.

L’indagine induce quindi ad approfondire il problema se sussista un grado di prossimità tra realtà bancaria e assicurativa, anche per quanto riguarda l’esposizione al rischio di credito, tale da giustificare la riconduzione della vigilanza di stabilità sulle assicurazioni nell’ambito del modello di vigilanza per finalità.

Un discorso in parte analogo può svilupparsi per i fondi pensione, rispetto ai quali occorre tuttavia tenere in ogni caso conto della peculiare natura dei fondi “contrattuali” [o chiusi], dell’attinenza della materia alla disciplina previdenziale e, quindi, a quella dei rapporti di lavoro, nonché dell’orizzonte temporale di lungo periodo sul quale debbono operarsi le valutazioni inerenti al tipo di prestazione e di rischio che connota questi soggetti.

13.4.4. La disciplina delle autorità.

Le autorità preposte alla funzione di vigilanza sono sorte in tempi diversi e la relativa disciplina risente del momento in cui è stata concepita. Nell’ordinamento si è andata frattanto precisando la figura dell’autorità indipendente, che ha assunto in misura sempre maggiore natura e connotati uniformi. Al fine di ridefinire la complessiva disciplina degli organismi di vigilanza del settore, occorre porsi l’obiettivo di introdurre elementi di razionalizzazione e coordinamento nella regolamentazione delle diverse autorità, onde rafforzarne la coerenza e l’efficacia, secondo una logica di sistema. È necessario garantire una ripartizione chiara ed efficiente delle funzioni affidate alle autorità, anche valutando l’opportunità di ridurre il numero delle stesse, al fine di limitare la frammentazione delle competenze, semplificare i controlli ed agevolare l’individuazione dell’ambito delle relative responsabilità.

Un primo tema da considerare è quello del rapporto tra organi politici d’indirizzo e autorità di vigilanza. Ogni intervento in materia deve considerare la necessità di salvaguardare l’autonomia e l’indipendenza delle autorità di vigilanza sul mercato finanziario e sugli intermediari bancari e finanziari. Ciò non appare tuttavia escludere la possibilità che l’azione delle autorità si conformi ad indirizzi politici generali. A tale riguardo sembrerebbe opportuno limitarsi a confermare le competenze del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, ferma restando la necessità di chiarire gli àmbiti di responsabilità del Governo. Deve tuttavia essere introdotta una disciplina che, in conformità con il peculiare regime di responsabilità proprio delle autorità, rafforzi i rapporti tra le autorità stesse e il Parlamento, prevedendo eventualmente uno specifico organismo parlamentare competente in materia di autorità indipendenti.

Il rapporto tra organi politici d’indirizzo e autorità di vigilanza dovrebbe inoltre manifestarsi al momento della nomina dei componenti dell’autorità, in particolare attraverso il requisito di una maggioranza qualificata dell’organo parlamentare. Riguardo alle modalità di nomina, ma anche alla composizione dell’organo di vertice e alla durata in carica dello stesso, si tratta d’individuare criteri uniformi per le autorità, ferma restando la salvaguardia delle relative garanzie di indipendenza. A riguardo si può in ogni caso rilevare come proprio la disciplina delle autorità indipendenti attualmente esistenti dimostri la possibilità di assicurare piena indipendenza, autonomia ed efficacia anche ad organismi collegiali nominati per un periodo di tempo predeterminato con l’intervento congiunto del Governo e di un’ampia maggioranza parlamentare.

Ogni eventuale modifica all’assetto delle competenze delle autorità di vigilanza dovrà comunque accompagnarsi a misure che ne assicurino la piena funzionalità.

13.4.5. Coordinamento e semplificazione normativa.

La disciplina organizzativa delle autorità di vigilanza dovrà perseguire inoltre l’obiettivo di un maggiore coordinamento tra le stesse, destinato a manifestarsi, innanzitutto, attraverso un più intenso scambio d’informazioni e un più ampio confronto nello svolgimento delle rispettive attività. A tal fine appare da condividere la proposta di costituire un apposito organismo di coordinamento che si riunisca con periodicità prestabilita al fine di realizzare un più efficace raccordo tra indirizzi e attività delle autorità.

Il coordinamento tra le diverse autorità di vigilanza dovrà tendere, in primo luogo, a impedire che gli intermediari siano gravati di oneri eccessivi e superflui, evitando la duplicazione degli adempimenti, i controlli congiunti, la sovrapposizione dei compiti e i contrasti d’indirizzo.

Occorre, più in generale, optare per una semplificazione della regolamentazione in materia di vigilanza che sappia far leva anche sui meccanismi di mercato e sulla responsabilizzazione degli operatori, rifuggendo dalla tentazione di esasperare il regime dei controlli moltiplicando le autorizzazioni e gli oneri amministrativi quando ciò non corrisponda ad effettive necessità.

13.5. Il problema dell’apparato sanzionatorio.

La disciplina vigente in materia sanzionatoria è parsa per molti aspetti difettare di efficacia deterrente.

Su tale tematica, vale certamente la considerazione che le vicende di crisi non derivano solo dalla carenza di controllo istituzionale, né soltanto da smagliature nel tessuto del governo societario, ma sono originate anche dal fatto che il mercato e gli operatori, in qualche modo, hanno smarrito gli incentivi a indirizzare le proprie attività verso meccanismi di comportamento virtuoso.

Occorre quindi prendere in esame un rafforzamento delle sanzioni amministrative e penali in materia societaria, cui si accompagni la previsione di sanzioni accessorie di tipo interdittivo, consistenti nella sospensione o decadenza dalle cariche, e di strumenti efficaci per determinare conseguenze negative di carattere reputazionale, consistenti nella piena pubblicità delle misure afflittive di fronte al mercato.

Si richiede pertanto l’inasprimento delle sanzioni attualmente previste in materia: la modesta entità delle pene attuali, in un contesto ordinamentale che si caratterizza per l’estrema lentezza dei procedimenti penali, contribuisce, fra l’altro, ad abbassare la soglia di rilevanza dei termini di prescrizione; per quanto concerne, in particolare, la disciplina del reato di false comunicazioni sociali, l’introduzione di soglie quantitative che escludono la punibilità del fatto può oggettivamente alterare la percezione dell’illegalità del comportamento. Appare quindi necessario semplificare la struttura della fattispecie di reato, nonché valutare l’opportunità di ripristinarne la perseguibilità d’ufficio.

Al fine di prevenire mancanze nel funzionamento della filiera di controllo sulla produzione di dati e di notizie all’interno delle società [servizi di controllo interno, collegio sindacale, comitato di controllo, società di revisione], può essere utile individuare nuove fattispecie sanzionatorie e nuovi profili di responsabilità, introducendo nell’ordinamento, per garantire la genuinità del dato informativo di base, una specifica responsabilità penale dei dirigenti degli uffici amministrativi e contabili per la produzione di documenti falsi o contenenti informazioni false o incomplete, la consapevole diffusione di tali documenti da sé o da altri prodotti, e la predisposizione di bilanci contenenti rappresentazioni false, incomplete o comunque alterate a scopo fraudolento.

A fronte dell’esiguità dei limiti minimi e massimi di sanzione pecuniaria, inferiori a quelli di altri ordinamenti, potrebbe valutarsi l’opportunità di aumentare, almeno in alcuni casi, l’ammontare delle sanzioni.

Tra le sanzioni interdittive, poi, potrebbero essere adottate iniziative nelle sedi competenti per prevedere, quale sanzione nei confronti degli amministratori per i casi di informazioni ingannevoli, l’interdizione dall’incarico di amministratore nell’intera Unione europea.

Per quanto concerne la cosiddetta sanzione reputazionale – il cui metus, colpendo un bene essenziale per chi opera nei mercati finanziari basati sulla fiducia, potrebbe in astratto essere fortemente deterrente rispetto a comportamenti criminosi – la forma di pubblicità dei provvedimenti sanzionatorî di violazioni amministrative, ora consistente nella sola pubblicazione per estratto nel Bollettino della CONSOB o della Banca d’Italia, non risulta idonea a produrre un effetto deterrente concreto nei confronti degli operatori: potrebbe invece prevedersi la pubblicazione su quotidiani, anche specializzati in materia economica, aventi diffusione sull’intero territorio nazionale.

Appaiono condivisibili la finalità d’intervenire sul sistema sanzionatorio complessivo e la filosofia del nuovo reato di nocumento al risparmio. Tale innovativa soluzione, che ha il pregio d’identificare nel risparmio un bene pubblico da tutelare penalmente, presenta tuttavia alcuni profili problematici, in particolare dal punto di vista della determinazione della condotta sanzionata: in questa prospettiva potrebbe valutarsi piuttosto l’opportunità di rafforzare le sanzioni riferibili a figure di reato già contemplate nell’ordinamento, anche inasprendo le sanzioni previste per il falso in bilancio.

Appare, infine, opportuno affrontare la tematica dell’eventuale revisione, laddove fosse necessario, dell’impianto della disciplina dei reati societari, senza rinnegare la portata innovativa dello stesso come recato dalla riforma del 2002. Non può essere tuttavia sottaciuta l’assoluta assenza di qualsiasi correlazione tra la riforma del diritto societario e dei reati societari e gli episodi di malaffare e di truffa emersi nei mesi passati.

13.6. Interventi sulla giurisdizione.

In Italia, l’estrema lentezza dei processi in materia commerciale e societaria, che si riverbera in scarsa certezza e in una deminutio di tutela dei rapporti fra operatori, potrebbe trovare rimedio nell’istituzione di sezioni specializzate dei tribunali per le materie economiche, di guisa che fosse assicurata la specializzazione richiesta dalla specificità e complessità delle questioni di diritto edi fatto che tali controversie sottendono.

Anche nel contesto della recente riforma del processo commerciale, i nuovi organi giurisdizionali, costituiti da sezioni specializzate presso il giudice ordinario localizzate a livello di distretto delle singole corti d’appello, sarebbero competenti nella materia societaria, nelle materie disciplinate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia e dal testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria, nonché per le procedure concorsuali.

A tale ultimo riguardo, la mancanza di una legislazione efficiente per la gestione delle situazioni di crisi dell’impresa sollecita una revisione globale della legge fallimentare e delle altre procedure concorsuali, che, in tutti i casi in cui ciò sia possibile, persegua con maggiore efficacia di quanto oggi avviene il fine di favorire il recupero della produttività dell’impresa, preservandone il valore nei periodi di difficoltà economica.

13.7. Sistemi di tutela dei risparmiatori.

Nell’àmbito delle audizioni dell’indagine è stata affrontata anche la problematica relativa alla definizione di sistemi di tutela dei risparmiatori possessori di titoli obbligazionari o di altri strumenti finanziari soggetti ad insolvenza, anche con riferimento al valore costituzionale della tutela del risparmio sancito dall’articolo 47 della Costituzione.

L’esigenza d’individuare adeguate forme di tutela dei risparmiatori è stata prospettata in una duplice ottica: da un lato per dare soluzione alle difficoltà contingenti, a fronte delle consistenti perdite – tanto in dimensioni assolute quanto in proporzione alle disponibilità patrimoniali individuali – subìte da numerosi risparmiatori italiani; dall’altro, per favorire, in una prospettiva futura, la ricostituzione del rapporto fiduciario, che oggi appare incrinato, tra i risparmiatori stessi e le istituzioni, pubbliche e private, operanti nei mercati finanziari.

In tale àmbito tematico occorre tuttavia distinguere tra strumenti di tutela di tipo giuridico e strumenti di tutela di carattere economico-finanziario.

Sotto il primo profilo si possono indicare tutti gl’interventi di carattere normativo atti a rendere più facile, rapido ed efficace l’esperimento delle tutele giurisdizionali da parte dei risparmiatori che si ritengano danneggiati dai comportamenti di emittenti o intermediari nel collocamento di strumenti finanziari.

In tale prospettiva è stata segnalata, e costituisce oggetto di alcune iniziative legislative già all’esame della Camera dei deputati, la possibilità d’introdurre nell’ordinamento italiano forme di tutela analoghe a quella della class action, già sperimentata nell’ordinamento americano, vale a dire di un’azione giurisdizionale finalizzata a riconoscere tutela ad una pluralità di soggetti, appartenenti ad una medesima categoria di consumatori o risparmiatori, che si ritengono danneggiati dal comportamento di un operatore economico.

A riguardo si ribadisce come ogni strumento atto ad incrementare la capacità dei risparmiatori di tutelare giuridicamente i propri diritti debba essere in linea di principio valutato positivamente, anche in quanto il rischio di vedersi esposti ad azioni giudiziarie, con le relative conseguenze di richieste di risarcimento e di perdita di reputazione, concorrerebbe a dissuadere gli operatori scorretti dal porre in essere comportamenti illeciti.

Occorre peraltro segnalare come l’inserimento di un istituto che non conosce precedenti nell’àmbito della tradizione giuridica italiana debba essere operato con opportuna cautela, al fine di evitare incertezze interpretative o vere e proprie aporie normative.

Sul piano del merito appare inoltre necessario che l’introduzione di tale istituto non porti ad affidare integralmente la tutela dei consumatori e dei risparmiatori esclusivamente ad associazioni o gruppi organizzati – che pure in questo campo possono svolgere un ruolo importante d’informazione e sensibilizzazione – ledendo il diritto, costituzionalmente garantito a ciascun soggetto, di agire in giudizio nelle forme e secondo le strategie che valuti più opportune sulla base della propria situazione concreta e dei propri interessi.

Sempre in quest’àmbito si possono ricordare le norme, già sperimentate in alcuni casi, che prevedono l’imposizione di limiti alla circolazione presso il pubblico di strumenti finanziari destinati ad investitori professionali ovvero che ne vincolano la circolazione alla prestazione di garanzie da parte dei soggetti collocatori.

Passando a considerare gli strumenti di tutela di carattere economico-finanziario, nel corso dell’indagine sono state ipotizzate diverse tipologie d’intervento, per le quali si rinvia alla parte ricostruttiva, senza pertanto addentrarsi nelle caratteristiche specifiche e nelle problematiche di carattere tecnico che ciascuna di esse potrebbe presentare.

In linea generale occorre comunque rilevare come la previsione di forme d’indennizzo generalizzato e indiscriminato si esponga al rischio di determinare effetti perversi, inducendo sostanzialmente tutti i risparmiatori ad acquisire strumenti finanziari incorporanti un livello di rischio nettamente superiore a quello che sarebbe stato scelto sulla base delle proprie aspettative razionali e della propensione individuale al rischio, in ragione della rispettiva situazione patrimoniale e reddituale, fidando sul fatto che, in ogni caso, il cattivo andamento dell’investimento non comporterebbe comunque riflessi negativi sul loro patrimonio, in presenza d’una garanzia di ultima istanza.

Tale circostanza, oltre ad apparire assai discutibile sul piano etico, ingenerando l’erronea convinzione che l’acquisto di uno strumento finanziario non determini l’assunzione di alcun rischio, comporterebbe forti distorsioni nei meccanismi di mercato di allocazione del capitale, in quanto annullerebbe, di fatto, il contenuto informativo per il mercato stesso incorporato nella diversificazione dei tassi dei titoli, determinando una loro impropria convergenza anche con riferimento a strumenti finanziari caratterizzati da un livello di rischio intrinseco molto diverso, e favorirebbe in ultima analisi proprio il collocamento di titoli speculativi a più alto livello di rischio, a danno del finanziamento delle iniziative produttive di maggiore solidità.

Sotto un altro punto di vista, la costituzione di sistemi di garanzia generalizzata comporterebbe la necessità di risolvere il problema relativo al finanziamento degli stessi e al riparto dei relativi oneri tra i diversi soggetti privati coinvolti, salva l’ipotesi, che appare peraltro improponibile, di una totale fiscalizzazione dei medesimi costi a carico del bilancio pubblico.

La previsione di un obbligo di finanziamento generalizzato a carico di tutti gli intermediari bancari sarebbe anch’essa fonte di gravi distorsioni, ponendo impropriamente sullo stesso piano soggetti che hanno tenuto comportamenti tra loro difformi in materia di collocamento dei titoli.

Peraltro, una previsione che intendesse stabilire tale onere a carico delle sole banche collocatrici, indipendentemente da ogni verifica giudiziale circa la sussistenza di profili di responsabilità per i comportamenti tenuti nei confronti della clientela acquirente di titoli, apparirebbe anch’essa molto dubbia sul piano della costituzionalità, anche in quanto finirebbe per pregiudicare i diritti degli azionisti privati delle banche medesime, ai quali sarebbero sostanzialmente trasferire le perdite subìte dai possessori dei titoli dei quali sia stata dichiarata l’insolvenza.

Inoltre, l’imposizione di obblighi di garanzia o di gravosi oneri di finanziamento alle banche in relazione al collocamento o alla negoziazione dei titoli rischierebbe di determinare la fuga degli intermediari finanziari nazionali da tale attività, ovvero un incremento esponenziale dei costi di emissione, risolvendosi in un ulteriore danno per l’intero tessuto produttivo nazionale, che vedrebbe inaridirsi un canale di finanziamento, alternativo all’indebitamento bancario, ormai indispensabile per la sua crescita, e aumentando pertanto il carattere bancocentrico, da più parti criticato, del sistema imprenditoriale italiano.

Inoltre tali misure determinerebbero l’ulteriore, paradossale conseguenza, di incentivare ancor più il ricorso ad emissioni effettuate su piazze finanziarie straniere, ovvero, addirittura, in paradisi fiscali o legali, caratterizzati da un minor livello di trasparenza e di tutela.

Una soluzione alternativa potrebbe essere rappresentata dalla costituzione di un fondo per il ristoro dei danni subìti dai risparmiatori, nel quale confluiscano i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate.

Peraltro, le Commissioni valutano positivamente e sostengono le iniziative, intraprese autonomamente da molte banche italiane, di ristorare i propri clienti risparmiatori delle perdite subìte, ritenendo che le procedure d’indennizzo debbano essere completate nei tempi più rapidi possibili, onde superare la sfiducia che molti risparmiatori nutrono nei confronti del sistema creditizio nel suo complesso. Al medesimo fine può essere opportuno attribuire un riconoscimento istituzionale all’attività delle maggiori organizzazioni rappresentative dei consumatori, anche prevedendo forme di consultazione delle stesse da parte delle autorità del settore.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte possono trarsi alcune parziali conclusioni e formulare alcune prime ipotesi.

In primo luogo occorre sottolineare come la più generale tutela per i risparmiatori e per tutti i soggetti che si affacciano sui mercati finanziari sia costituita da tutte le misure che favoriscano o rafforzino la completezza, la veridicità e la piena conoscibilità delle informazioni rilevanti per i mercati dei capitali.

In secondo luogo, sempre su un piano generale, il necessario, delicato bilanciamento tra i valori, inevitabilmente tra loro in parte confliggenti, della stabilità, della trasparenza e della concorrenza dev’essere individuato in un punto d’equilibrio che non sia di per sé pregiudizievole degl’interessi dei risparmiatori, sui quali non debbono essere riversate le debolezze e le contraddizioni del sistema.

Appare inoltre da valutare positivamente la possibilità, contenuta nel disegno di legge presentato dal Governo, di prevedere, nel caso di successiva circolazione di titoli destinati ad investitori professionali, la prestazione di una garanzia da parte del soggetto collocatore relativamente al pagamento degl’interessi e alla restituzione del capitale.

Un’ulteriore proposta che appare condivisibile riguarda la possibilità di introdurre nell’ordinamento una norma analoga a quella presente nella legislazione statunitense, secondo cui i soggetti collocatori hanno l’obbligo di mantenere nel proprio portafoglio per un determinato periodo di tempo i titoli destinati a investitori professionali prima di collocarli presso il pubblico indistinto, ovvero, in subordine, di introdurre l’obbligo, per gli intermediari incaricati del collocamento, di detenere in portafoglio, per un periodo prefissato, i titoli privi di prospetto informativo.

In un’ottica di maggiore trasparenza nei rapporti tra intermediari e clienti, appare anche opportuno consentire il collocamento delle sole emissioni obbligazionarie accompagnate da un prospetto informativo, nonché estendere l’obbligo di prospetto a tutti i prodotti finanziari collocati presso il pubblico indistinto, introducendo altresì stringenti previsioni vòlte ad assicurare la piena comprensibilità dei medesimi prospetti informativi.

Nella medesima prospettiva si ritiene utile prevedere che l’intermediario produca, al momento dell’acquisto del prodotto finanziario da parte del risparmiatore, una formale attestazione della rispondenza o meno del prodotto stesso al relativo profilo di rischio individuale, indipendentemente dal fatto che l’acquisto derivi o no da una proposta dell’intermediario.

Inoltre, potrebbe essere imposto il divieto di cedere ad investitori non professionali titoli che, per le loro caratteristiche intrinseche, abbiano un carattere altamente speculativo non adeguato al profilo di rischio del normale risparmiatore, ferma restando la possibilità di derogare a tale divieto di fronte ad una manifestazione di volontà di acquisto inequivocabile, spontanea e informata del risparmiatore stesso.

Infine, come misura di carattere estremo, che dovrebbe tuttavia essere verificata in sede comunitaria, potrebbe essere introdotto il divieto di emissione e/o di negoziazione sui mercati italiani di titoli che risultino privi di alcune caratteristiche minime, sul piano delle garanzie di solvibilità dell’emittente.

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I recenti scandali finanziari hanno incrinato la fiducia dei cittadini nella capacità del sistema di tutelare adeguatamente il risparmio.

Con l’attività conoscitiva svolta dalle Commissioni, il Parlamento ha dato una prima, tempestiva risposta, ad aspettative relative all’accertamento degli eventi e delle circostanze che hanno concorso a renderli possibili.

Le Commissioni hanno operato unitariamente, procedendo a tutti gli accertamenti in uno spirito di serena e fattiva collaborazione e prescindendo dalle diverse valutazioni su singoli aspetti.

L’indagine è stata condotta con senso di responsabilità, incentrando il confronto sulle questioni che investono interessi generali della collettività. Il Parlamento ha dunque dimostrato, in questa prima fase, di saper agire come Istituzione unitaria di fronte a questioni che mettono in causa interessi e valori permanenti della comunità nazionale.

L’attività d’indagine parlamentare garantisce condizioni fondamentali di trasparenza e visibilità del dibattito, idonee a consentire all’opinione pubblica nazionale e internazionale di partecipare e verificare la sostanza e la serietà del confronto in atto tra le forze politiche e il Governo.

Il metodo parlamentare assicura, con maggiore evidenza nelle situazioni più difficili, la visione più alta di tutti gli aspetti di un problema, al di sopra degli interessi particolari e delle visioni parziali che i diversi soggetti in causa manifestano. Applicando fino in fondo il metodo parlamentare, le Commissioni hanno assicurato condizioni fondamentali di trasparenza e visibilità.

In questo senso si auspica che le modalità , la rapidità e la qualità dell’approfondimento svolto in questi due mesi dalle Commissioni parlamentari contribuiscano a trasmettere un primo e sostanziale messaggio di fiducia ai risparmiatori e ai mercati finanziari.

Questo messaggio dovrà essere sollecitamente confermato e corroborato dai fatti consequenziali, traducendosi nell’adozione delle misure di carattere legislativo, che sappiano innescare quel processo di trasformazione richiesto dall’evoluzione del contesto internazionale e dalla necessità di superare senza ulteriore indugio le difficoltà di adattamento che il sistema italiano ha evidentemente manifestato.

I risparmiatori debbono poter fare pieno affidamento sul sistema creditizio e finanziario; il ruolo e i poteri delle istituzioni di vigilanza vanno adeguati alle nuove dinamiche dei mercati; le regole di governo e l’interna organizzazione delle società debbono garantire la trasparenza e la funzionalità dei loro assetti.

Questi obiettivi richiedono interventi riformatori, mirati e incisivi, tali da rinnovare e rilanciare l’immagine complessiva del sistema finanziario e creditizio, restituendo pienamente ai risparmiatori la fiducia che è condizione necessaria per il funzionamento dei mercati.