Penale
Beneficio della detenzione domiciliare per condannato in condizioni di salute gravi. I dubbi di costituzionalità del Magistrato di Sorveglianza di Alessandria. 688 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 aprile 2004
Beneficio della detenzione domiciliare per condannato in condizioni di salute gravi. I dubbi di costituzionalità del Magistrato di Sorveglianza di Alessandria
ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 aprile 2004.
Ordinanza emessa l’8 aprile 2004 dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria sull’istanza proposta da M. I. Ordinamento penitenziario – Misure alternative alla detenzione – Detenzione domiciliare – Concessione del beneficio al condannato (nella specie: persona in condizioni di salute particolarmente gravi) con pena residua superiore ai quattro anni – Mancata previsione – Parita’ di trattamento di situazioni diverse – Contrasto con il principio di umanita’ della pena – Lesione del diritto alla salute. – Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, comma 1-quater, introdotto dall’art. 4 della legge 27 maggio 1998, n. 165. – Costituzione, artt. 3, 27 e 32. (GU n. 33 del 25-8-2004)
IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA
Nel procedimento relativo al differimento provvisorio
dell’esecuzione della pena ex art. 684 del codice di procedura penale
nei confronti di M. I., nato a Corleto Monforte (Salerno) il giorno
8 gennaio 1956, detenuto nella Casa di Reclusione N.C. San Michele di
Alessandria, difeso dall’avv. Flavio Campagna del foro di Torino di
fiducia, in relazione alla pena di cui al provvedimento di cumulo
proc. rep. contro Tribunale di Torino in data 22 gennaio 2004.
O s s e r v a
I. M. ha avanzato a questo magistrato di sorveglianza istanza di
applicazione provvisoria della detenzione domiciliare ai sensi del
combinato disposto dagli articoli 47-ter, commi 1-ter e 1-quater
della legge n. 354/1975, come introdotti dalla legge n. 165/1998.
In effetti, dalle acquisizioni istruttorie in atti risulta quanto
segue.
Sul piano giuridico, egli e’ condannato definitivo con pena
residua superiore a quattro anni..
Sul piano sanitario, egli risulta sieropositivo dal 1989, con
alterazione della funzionalita’ epatica e biliare, affetto da epatite
C, neorotoxoplasmosi, con reliquati neorologici che determinano
difficolta’ nell’articolazione della parola e dei movimenti, in
condizioni di salute non adeguati trattabili in istituto
penitenziario..
Egli tuttavia non risulta nelle condizioni descritte
dall’art. 146 del codice penale (grave deficienza immunitaria o AIDS
conclamato accertate ai sensi dell’art. 286-bis del codice di
procedura penale, ne’ e’ in fase cosi’ avanzata da non rispondere
piu’ ai trattamenti disponibili o alle terapie curative)..
Egli, a causa di tale quadro, si trova invece nella condizione di
cui al numero 2 dell’art. 147 del codice penale (persona in
condizioni di grave infermita’ fisica). Egli, in particolare, si
trova, dal punto di vista sanitario, nella condizione che ha
individuato la Corte di cassazione nella applicazione della medesima
disposizione (non e’ sufficiente che una o piu’ infermita’ fisiche
menomino in maniera piu’ o meno rilevante la salute del soggetto e
siano suscettibili di generico miglioramento in caso di ritorno alla
liberta’, ma e’ necessario che le patologie siano suscettibili di
generico miglioramento in caso di ritorno alla liberta’, ma e’
necessario che le patologie siano di tale gravita’ da far apparire
l’espiazione della pena in contrasto con il senso di umanita’ cui si
ispira la norma dell’art. 27, secondo comma, Cost.; occorre cioe’ che
la malattia sia di tale gravita’ da escludere – in quanto
preponderante sugli altri aspetti della vita intramuraria,
globalmente considerata, del detenuto la sua capacita’ di avvertire
l’effetto rieducativo del trattamento penitenziario» Cass. sez. I,
15 ottobre 1996, in Ced. Cass., rv. 206329).
Egli tuttavia non soddisfa la condizione di cui all’art. 147,
ultimo comma del codice penale (esclusione del concreto pericolo di
commissione di delitti). Ha commesso infatti numerosi delitti di
particolare gravita’ e, situazione decisiva, e’ gravemente recidivo
dopo benefici penitenziari e inflizione di misure di sicurezza, di
tal che la pura e semplice remissione in liberta’ costituisce fattore
di rischio per l’interessato e la collettivita’.
Piu’ precisamente, poiche’ tale pericolo di recidiva e’ una
situazione di fatto, da accertare in concreto, esso e’ una variabile
che dipende dal regime sanzionatorio. Alla luce di tale valutazione,
sia pure effettuata nella presente sede cautelare, egli e’ portatore
di pericolosita’ sociale incompatibile con la mera scarcerazione, ma
compatibile con il collocamento in un regime restrittivo e
controllato quale quello inerente la detenzione domiciliare, con i
relativi controlli, supporti e regime sanzionatorio e deterrente, ivi
compresa la possibilita’ di immediato arresto per evasione.
Sussiste, inoltre, il periculum in mora, attese le condizioni
compromesse di salute e il cospicuo tempo di attesa necessario per la
trattazione davanti al tribunale di sorveglianza, poiche’ l’udienza
piu’ prossima fissata in conformita’ all’art. 70, della legge
n. 354/1975 non e’ prima del 12 maggio 2004.
L’istanza dell’interessato e’, in definitiva, assai ben fondata
in punto di fatto.
Essa pero’ non puo’ essere accolta poiche’ vi osta l’art. 47-ter,
comma 1-quater. Questa disposizione consente l’applicazione
provvisoria della detenzione nei soli casi di cui ai commi 1 e 1-bis,
escludendo il caso, che qui ricorre, dell’art. 1-ter. Cio’ risulta in
modo inequivocabile dalla disposizione dello stesso art. 1-quater,
introdotto contestualmente al comma 1-ter (circostanza ugualmente
decisiva). Non e’ possibile, in definitiva, alcun altro significato
per l’omesso richiamo di tale ultima disposizione, se non la chiara
volonta’ legislativa di escludere tale ipotesi dalla possibilita’ di
applicazione provvisoria. Tale e’ del resto la costante applicazione
concreta della norma nella quotidiana pratica giurisprudenziale.
A sommesso avviso di questo magistrato di sorveglianza non e’
manifestamente infondato il dubbio che questo assetto normativo,
rilevante nel presente procedimento come emerge da quanto sopra, sia
in contrasto con gli articoli 3, 27 e 32 della Costituzione.
In primo luogo, per il fatto che esso impedisce,
irragionevolmente, di adottare in via urgente l’unica misura,
terapeutica e sanzionatoria, adeguata a tutelare il diritto a una
pena umana, il diritto alla salute e il valore costituzionale
rilevante (e anch’esso immanente alla pena) della sicurezza dei
cittadini. In proposito, e’ sufficiente sottolineare la efficacia
umanitaria, rieducativa e preventiva di una misura contenitiva come
la detenzione presso un luogo di privata dimora o cura. Ne’ puo’
essere trascurato il dato criminologo della riconosciuta efficacia
deterrente di prescrizioni, controlli e immediate sanzioni che
possono conseguire alla detenzione domiciliare (per tacere della
possibile attuazione di meccanismi di controllo elettronico del
rispetto delle prescrizioni).
In secondo luogo perche’ irragionevolmente equipara situazioni
diverse quanto ai valori costituzionali in gioco, con violazione
dell’art. 3 Cost., in correlazione con gli articoli 27 e 32 Cost. Per
rimanere alla fattispecie oggetto dell’odierno esame, equipara un
condannato portatore di pericolosita’ compatibile con la detenzione
domiciliare a un detenuto al quale tale misura non potrebbe essere
concessa (neanche in sede definitiva), a causa di una pericolosita’
del tutto incompatibile con forme trattamentali esterne.
In terzo luogo (e si tratta di profili di dubbia legittimita’
della disposizione non direttamente rilevanti nella situazione di
fatto presente ma concernenti identici profili), perche’, nel caso di
persona nei cui confronti ricorrano le condizioni, piu’ gravi,
dell’art. 146 del codice penale, equipara, nella fase provvisoria, il
condannato socialmente pericoloso a quello non socialmente
pericoloso, impedendo l’applicazione al primo dell’unica misura
idonea della detenzione domiciliare, stringendo tra le due
alternative ugualmente costituzionalmente dubbie della scarcerazione
tout court o del mantenimento della carcerazione. La prima priva il
condannato di supporti necessari alla sua rieducazione e la
collettivita’ di tutela contro le aggressioni (tutela che la
detenzione domiciliare garantirebbe). La seconda lederebbe la salute
del condannato e principi di evidente umanita’.
Questa irragionevole alternativa, in fatto, ricorre nella specie
odierna.
Tali profili della disciplina, a modestissimo avviso di questo
giudice, non appaiono espressione di discrezionalita’ legislativa ma:
a) irragionevolmente e ingiustificata compressione dei valori
costituzionali predetti;
b) irragionevole equiparazione di situazioni differenti, se
valutate alla luce dei valori medesimi.
Ne’ potrebbe giustificarsi, per completezza, tale assetto, sulla
base di una ipotetica necessita’, valutata dal legislatore, di
intervento del giudice collegiale (di cui fanno parte componenti
esperti) per le fattispecie di cui al comma 1-ter e art. 47-ter della
legge n. 354/1975, concernenti le pene piu’ elevate (e la correlata
maggiore pericolosita), per l’ovvio motivo che provvedimenti che
determinano la scarcerazione di soggetti, anche autori di gravissimi
delitti e per pene della stessa durata, e’ possibile in via
monocratica (ad esempio, per effetto del combinato disposto
dall’art. 146 del codice penale e 684 del codice di procedura
penale). In tali casi, in modo esattamente opposto a quello che
questa ipotetica ratio comporterebbe, e’ riservata al giudice
monocratico l’adozione in via urgente del provvedimento di
liberazione tout court (e irragionevolmente preclusa l’applicazione
provvisoria della detenzione domiciliare).
Ne consegue che la questione di legittimita’ costituzionale del
comma 1-quater e dell’art. 47-ter, della legge n. 354/1975, nella
parte in cui non consente l’applicazione provvisoria della detenzione
domiciliare al caso di condannato con pena residua superiore ai
quattro anni e’ rilevante nel presente giudizio e non manifestamente
infondata.
Il procedimento deve pertanto sospendersi e gli atti essere
inviati alla Corte costituzionale.
P. Q. M.
Visti gli articoli 23 e seguenti, legge 11 marzo 1953, n. 87 e
47-ter, legge n. 354/1975;
Dispone la trasmissione degli atti del presente procedimento alla
Corte costituzionale;
Dispone la sospensione del presente procedimento in attesa della
decisione della Corte medesima;
Manda alla cancelleria per le comunicazioni di legge e, in
particolare, la notifica all’interessato, al pubblico ministero, al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche’ la comunicazione ai
Presidenti delle Camere.
Alessandria, addi’ 8 aprile 2004.
Il magistrato di sorveglianza: Marcheselli