Penale

Tuesday 21 June 2005

Avvocatura generale dello Stato – «Conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato nei confronti del ministro della Giustizia in relazione al rifiuto di concedere la grazia a Ovidio Bompressi» sollevato dal Capo dello Stato dinnanzi alla Corte Costituzio

Avvocatura generale dello Stato –
«Conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato nei
confronti del ministro della Giustizia in relazione al rifiuto di concedere la
grazia a Ovidio Bompressi» sollevato dal Capo dello Stato dinnanzi alla Corte Costituzionale
10 giugno 2005

Ricorso

del
Presidente della Repubblica, rappresentato e difeso dall’avvocatura generale
dello Stato giusta decreto presidenziale 7 giugno 2005 e presso la medesima domiciliato
in Roma, Via dei Portoghesi 12;

avente
ad oggetto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del
ministro della Giustizia, in relazione al rifiuto, da questi opposto, di dare
corso alla determinazione, da parte del Presidente della Repubblica, di
concedere la grazia ad Ovidio Bompressi, come risultante dalla nota del 24
novembre 2004 inviata dal ministro medesimo al Capo dello Stato.

Fatto

Con nota dell’8 novembre 2004 il
Presidente della Repubblica, premesso di avere ricevuto ed esaminato la
documentazione sull’istruttoria relativa all’istanza
di grazia presentata da Ovidio Bompressi – documentazione la cui acquisizione
era stata richiesta dal Presidente con note del 30 marzo 2004 e del 4 giugno
2004 – ha manifestato al ministro della Giustizia di essere pervenuto “alla
determinazione di concedere al Bompressi la grazia della pena detentiva
residua”, ed ha invitato pertanto il ministro a predisporre “il relativo
decreto di concessione della grazia, per la successiva emanazione”.

Con nota del 24 novembre 2004 il
ministro della Giustizia ha comunicato al Capo dello Stato di non poter aderire
a questa richiesta, “non … condivisibile né sotto il profilo costituzionale né
nel merito”, argomentando tale rifiuto sul presupposto che “la Costituzione
vigente pone in capo al ministro della Giustizia la responsabilità di formulare
la proposta di grazia”.

Il Presidente della Repubblica
non ritiene di poter condividere la tesi del Ministro, in quanto il potere di
grazia che la Costituzione attribuisce al Capo dello Stato verrebbe
posto nel nulla dalla mancata formulazione della proposta da parte dello stesso
ministro. Tale tesi, se accettata, condurrebbe alla spoliazione della
prerogativa di “concedere grazia” riservata espressamente e in via esclusiva al
Capo dello Stato dall’articolo 87 della Costituzione;
né la Costituzione, e neppure la legge, infatti, richiedono la “proposta” del
ministro della Giustizia ai fini della concessione della grazia. Sicchè, una
volta che il Presidente della Repubblica sia pervenuto alla determinazione di
concedere la grazia ad un condannato, tanto la predisposizione del relativo
decreto quanto la successiva controfirma costituiscono,
per il ministro della Giustizia, “atti dovuti”.

In virtù del decreto in epigrafe
del Capo dello Stato, l’avvocatura generale dello
Stato eleva pertanto, con il presente ricorso, conflitto ai sensi degli
articoli 37 e ss. dalla legge 87/1953, per violazione degli articoli 87 e 89
Costituzione.

Diritto

1 Sull’ammissibilità del ricorso.

1.1 Sotto il profilo soggettivo

La spettanza della qualificazione
di potere dello Stato in capo al Presidente della
Repubblica, odierno ricorrente, è del tutto pacifica.

Per quanto concerne il ministro
della Giustizia, la legittimazione di tale organo ad essere parte in un
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato è
stata costantemente affermata da codesta Corte costituzionale, in ragione del
ruolo istituzionale di guardasigilli che la costituzione ad esso attribuisce
(così, ex multis, Corte costituzionale 379/92; Corte costituzionale, ordinanza
216/95; Corte costituzionale 380/03).

Le competenze che l’articolo 110
Costituzione riserva al ministro della Giustizia
vengono in rilievo, ai fini del presente conflitto, soprattutto in relazione al
momento istruttorio, di sua specifica competenza, delle domande di grazia, a
quello di controllo della regolarità formale del decreto presidenziale ed a
quello della sua esecuzione.

1.2 Sotto il profilo oggettivo.

Il Presidente della Repubblica
rivendica, con il presente atto, l’integrità delle proprie esclusive
attribuzioni costituzionali nell’esercizio del potere di concessione della
grazia, attribuzione che è stata lesa dal rifiuto, da parte del ministro della
Giustizia, di predisporre il relativo decreto di concessione nonché di
controfirmarlo.

Non v’è dubbio, pertanto, che
anche sotto il profilo oggettivo ricorrano i presupposti di cui all’articolo 37 legge 87/1953.

2. Nel merito: violazione degli
articoli 87 e 89 della Costituzione

2.1 Occorre innanzitutto rilevare
che il ministro della Giustizia, nel rifiutare di formulare la proposta di
grazia in favore di Ovidio Bompressi, ritenendola
presupposto indispensabile del relativo decreto di concessione, ha rivendicato
a sé il potere di interdire con la sua decisione (o addirittura con la sua
inerzia) l’esercizio del potere presidenziale di concessione della grazia, così
attribuendosi un sostanziale potere di codecisione, che è, viceversa, assente
nel vigente ordinamento costituzionale: l’articolo 87 della Costituzione è in
equivoco nel conferire in via esclusiva al Capo dello Stato ogni potere
decisionale in materia (“Il Presidente della Repubblica … può concedere grazia
e commutare le pene”)1.

Siffatta titolarità esclusiva in
capo al Presidente della Repubblica del potere di concessione della grazia,
affermata da autorevolissima dottrina, è confermata del resto, da una serie di
considerazioni di ordine logico-giuridico, oltre che
sistematico.

2.1.1. Occorre anzitutto
considerare che l’istituto della grazia, il quale consiste in una eccezionale deroga all’esecuzione della pena inflitta
nella sentenza di condanna, è connotato da una ratio eminentemente umanitaria
ed equitativa, in quanto è ispirato all’esigenza,da sempre presente in ogni
ordinamento, di attenuare l’applicazione della legge penale in tutte quelle
ipotesi nelle quali essa viene a configgere con il più alto sentimento della
giustizia sostanziale. Si tratta certamente di ipotesi
non classificabili ex ante, ma da individuarsi con riferimento alle peculiarità
del singolo caso concreto.

La concessione della grazia esula quindi del tutto da valutazioni di natura politica, e tanto
meno può essere riconducibile all’indirizzo politico della maggioranza
di governo (sulla finalità “umanitaria” della grazia si vedano per tutte Corte
costituzionale 134/76 e Corte costituzionale, ordinanza 388/87).

Va anche ricordato, a questo
riguardo, quanto afferma in proposito la relazione al progetto preliminare del
Cpp del 1988 nel commento all’articolo 672, divenuto
articolo 681 nel testo definitivo: “Sul piano processuale e sostanziale
l’istituto della grazia assolve una funzione correttivo-equitativa dei rigori
della legge, ma anche e sempre più il ruolo di strumento di risocializzazione
alla luce dei risultati del trattamento rieducativi”.

Se così è, allora è naturale che
l’esercizio di un potere di tale elevata e delicata portata venga
riservato in via esclusiva al Capo dello Stato, quale organo rappresentante
dell’unità della nazione: trattasi di potere, del resto, che in tutti i regimi
ed in tutte le epoche è stato riconosciuto come parte inscindibile delle
prerogative proprie della massima autorità dello Stato.

Ciò tanto più nel vigente
ordinamento costituzionale, nel quale il Presidente della Repubblica, per il
suo ruolo istituzionale di garante super partes della Costituzione, è l’unico
organo che offra la garanzia di un esercizio
imparziale del potere di grazia.

Il ministro della Giustizia,
pertanto, è soltanto il ministro “competente” che collabora con il Capo dello
Stato nelle varie fasi del procedimento, contribuendo alla formazione della
volontà presidenziale nell’ambito delle sue specifiche attribuzioni (contributi
istruttori, valutativi ed esecutivi). Tanto anche ai fini della formazione di una auspicabile accordo sulla opportunità e sui contenuti
del decreto di grazia. Resta fermo però che, atteso il ruolo prevalentemente ed
essenzialmente istruttorio spettante al ministro nel procedimento in questione,
in mancanza dell’accordo, devono comunque prevalere le
istanze di cui è portatore il Presidente della Repubblica quale titolare del
potere di giustizia.

2.1.2. Del resto, che la grazia
debba essere connotata essenzialmente da una ratio equitativo-umanitaria, è
confermato in maniera incontrovertibile da un raffronto sistematico con gli
istituti (anch’essi “elemenziali”) dell’amnistia e dell’indulto.

Occorre infatti
considerare che nel testo originario della Costituzione – prima della modifica
dell’articolo 79 operata con legge costituzionale 1/1992 – anche l’amnistia e l’indulto erano concessi
con Dpr: tuttavia, nella specie, tale decreto doveva essere emanato “su legge
di delegazione delle Camere”.

Tale diversa disciplina dimostra
chiaramente che, pur affidando tutti i provvedimenti di clemenza alla firma del
Capo dello stato, il costituente aveva inteso
distinguere nettamente le ipotesi dell’amnistia e dell’indulto, da quella della
grazia. Amnistia ed indulto non potevano essere
disposti senza un preventivo intervento politico del Parlamento. A causa delle
rationes tradizionalmente sottese all’istituto per la grazia, ogni intervento
politico doveva e deve ritenersi invece per essa
precluso.

2.1.3. Né varrebbe far leva, al
fine di riconoscere in capo al ministro della Giustizia dei poteri di natura
sostanziale (id est, di sindacato nel merito) in ordine alla
concessione della grazia, sul disposto dell’articolo 89 Costituzione, a mente
del quale “nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è
controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità”.

Infatti, per quanto concerne il
profilo della asserita necessità della proposta
ministeriale, è sufficiente rilevare che la migliore dottrina2 ha ormai da
tempo osservato che l’espressione “ministri proponenti”, in luogo della più
corretta “ministri competenti”, è imputabile ad un uso improprio della
locuzione “ministri proponenti”.

Codesta stessa Corte
costituzionale, nell’ordinanza 388/87, parafrasando il dettato dell’articolo 89
della Costituzione in relazione al provvedimento di
grazia ha fatto riferimento al “ministro competente” anziché al “ministro
proponente”.

Del resto, con specifico riguardo
alla grazia, è del tutto pacifico in dottrina che l’iniziativa ai fini della
concessione del provvedimento di clemenza ben può partire (come
è avvenuto nel caso di specie) dal Capo dello Stato, senza che sia
indispensabile una formale proposta ministeriale3.

Ne consegue che non sono
condivisibili le argomentazioni con cui il ministero della Giustizia ha
motivato il proprio rifiuto di dare corso alla determinazione presidenziale di
concedere la grazia ad Ovidio Bompressi, in particolare l’affermazione che “la
Costituzione vigente pone in capo al ministro della Giustizia la responsabilità
di formulare la proposta di grazia”, e che pertanto questi sarebbe “titolare
esclusivo del potere di proposta”..

Per quanto riguarda il profilo
della necessità che anche il decreto di grazia sia controfirmato la dottrina è unanime nel riconoscere che la controfirma ministeriale assume un significato
radicalmente diverso a seconda del tipo di atto presidenziale cui viene apposta
4.

Ed invero, con riferimento agli
atti formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi – i quali
costituiscono di gran lunga la maggioranza (si pensi,
a titolo esemplificativo, ai decreti di emanazione degli atti aventi forza di
legge e dei regolamenti nonché a quelli di nomina dei funzionari dello Stato
nei casi indicati dalla legge) – la controfirma ha il significato di attestare
la effettiva paternità dell’atto e la conseguente assunzione di responsabilità
politica, in quanto il Capo dello Stato
si limita ad un mero controllo di legittimità, oltre che di provenienza.

Viceversa, le posizioni dei due
organi costituzionali risultano sostanzialmente
invertite con riguardo agli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali,
tra i quali rientrano la nomina dei giudici costituzionali e dei senatori a
vita, l’invio di messaggi alla Camere ai sensi dell’articolo 87 della
costituzione e la richiesta di riesame di una legge ai sensi dell’articolo 74,
comma 2, della Costituzione; in tali casi la controfirma ministeriale si
presenta con un atto dovuto, in quanto ha una funzione, per così dire,
notarile,di mera attestazione di provenienza dell’atto da parte del Capo dello
Stato, oltre che di controllo della sua regolarità formale. Pertanto una volta
chiarito che la concessione della grazia per le ragioni che precedono è un
potere sostanzialmente presidenziale, non può dubitarsi che la controfirma del
ministro della Giustizia,competente ratione
materie,costituisca anch’essa un atto dovuto, che il ministro stesso non può
rifiutare.

Ex ante, partecipando il ministro
al relativo procedimento essenzialmente in funzione prodromica e strumentale
attraverso l’attività istruttoria, la funzione della controfirma costituisce
mera attestazione di regolarità formale dell’atto.

Infatti, se si riconoscesse che
la proposta del ministro è essenziale per avviare una procedura di grazia, si
attribuirebbe al ministro stesso un potere di interdizione
e quindi di “veto” assoluto sull’esercizio del potere presidenziale consacrato
nell’articolo 87 della Costituzione. Si avrebbe, inoltre, una
indebita ingerenza nell’esecuzione della pena, che nell’ordinamento
vigente non è più consentita al potere esecutivo.

Ex post, la controfirma
ministeriale sul decreto di grazia assume una funzione
ulteriore che è quella di impegno a dare esecuzione alla decisione
presidenziale.

2.1.4. Né sembra invocabile,l’esistenza di una consuetudine costituzionale secondo cui
la concessione del provvedimento di clemenza consegue a una collaborazione tra
Presidente della Repubblica e ministro della Giustizia.

Questa collaborazione tra Presidente
della Repubblica e ministro della Giustizia ha assunto
infatti nel tempo forme e modalità diverse, collegate, tra l’altro,
anche alle modifiche subite dalle norme dell’ordinamento penitenziario,che
hanno progressivamente individuato nuovi percorsi di risocializzazione dei
condannati e consentito l’applicazione di misure alternative alla detenzione,
ad opera della magistratura. Le nuove norme di ordinamento
penitenziario hanno così restituito all’istituto della grazia la sua intima
natura equitativo-umanitaria e hanno consentito – come è reso evidente dalla
drastica riduzione del numero delle grazie concesse – che esso perdesse le
finalità di politica penitenziaria che l’avevano a volte in precedenza pervaso.

Un’ultima considerazione: è noto
che per lungo tempo è invalsa una prassi per cui, a
fronte di una istanza di grazia rispetto alla quale il ministro della Giustizia
riteneva non sussistenti i presupposti per la concessione del provvedimento di
clemenza, il ministro stesso si limitava ad “archiviare” la relativa pratica,
senza neppure informarne il Capo dello Stato.

Tale prassi, che finiva per
attribuire in qualche misura al ministro della Giustizia dei poteri di
decisione sostanziale in materia, è venuta meno negli ultimi anni, posto che cono nota del 15 ottobre 2003 il Presidente della Repubblica
ha formalmente chiesto al ministro della Giustizia – il quale ha immediatamente
manifestato la propria adesione con nota del 17 ottobre 2003 – di essere informato
della conclusione di tutte le istruttorie relative ad istanze di grazia, ai
fini delle sue decisioni.

2.1.5. Un ulteriore
argomento in favore della natura esclusivamente presidenziale del potere di
concedere la grazia è desumibile dalla giurisprudenza di codesta Corte
costituzionale, la quale, in ossequio al superiore principio di separazione dei
poteri e di necessaria “giurisdizionalizzazione”della fase esecutiva delle
sanzioni penali, ha dichiarato a più riprese l’illegittimità costituzionale di
numerose disposizioni che contemplavano competenze dell’esecutivo (e cioè
quindi del ministro della Giustizia) nella fase di esecuzione della pena (cfr.
Corte costituzionale, 110/74, relativa al potere di revoca delle misure di
sicurezza ex articolo 207 Cp; Corte costituzionale
204/74e Corte costituzionale 192/76, relative al potere di differire
l’esecuzione della pena ex articolo 147 Cp).

Di tal che non potrebbe non
apparire contraddittorio riconoscere oggi al ministro della Giustizia poteri
decisionali veri e propri in ordine alla concessione
della grazia; provvedimento che, pur essendo connotato da una ratio del tutto
peculiare, incide certamente sull’esecuzione della pena.

Il principio di separazione dei
poteri (e della correlativa distinzione delle funzioni) non risulta, invece,
vulnerato dal riconoscimento di siffatte attribuzioni in via esclusiva, al
Presidente della Repubblica, in ragione del ruolo istituzionale di garante
super partes che a tale organo assegna la Costituzione.

2.1.6. Da ultimo, la tesi della esclusiva pertinenza presidenziale del potere di
concedere la grazia è stata implicitamente condivisa da codesta Corte nella già
citata sentenza 274/90.

In quella sede, infatti, nel
dichiarare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni del Cpp che attribuivano al ministro della Giustizia e non al tribunale
di sorveglianza il potere di disporre il differimento dell’esecuzione della
pena ai sensi dell’articolo 147, comma 1. n.1 Cp (e
cioè nelle ipotesi in cui venga presentata domanda di grazia), – codesta Corte
ha disatteso apertis verbis la tesi affermata nella relazione ministeriale al
progetto definitivo del Cpp, secondo cui l’attribuzione di tale potere (di
differimento dell’esecuzione della pena) al ministro della giustizia doveva
ritenersi giustificata sulla base della considerazione che “la prognosi
favorevole sulla concedibilità del beneficio (della grazia – ndr) può essere
effettuata soltanto dall’organo che nella prassi costituzionale esercita il
relativo potere”.

Codesta Corte ha in proposito,
affermato che “non (vi sono) vincoli costituzionalmente determinati per
l’esercizio del potere di grazia da parte del Presidente della Repubblica”,
così chiaramente escludendo l’esistenza di qualsivoglia potere decisionale da
parte del ministro della Giustizia (o comunque di
sindacato nel merito).

In definitiva, alla luce delle
considerazioni che tutte precedono, non si può dubitare che il potere di
concessione della grazia, nel vigente ordinamento costituzionale, sia riservato
in via esclusiva al Capo dello Stato, e che quindi il rifiuto, opposto dal
ministro della Giustizia nella nota del 24 novembre 2004, di dare corso alla
determinazione del Presidente della Repubblica di
concedere la grazia ad Ovidio Bompressi costituisca una rivendicazione di
poteri insussistenti in capo al ministro medesimo.

2.2 D’altronde, il ministro è
sicuramente titolare di poteri istruttori ma questi
non possono che concludersi, al più, con una valutazione. In base al principio
di leale collaborazione tra le istituzioni, egli esprime il proprio parere al
presidente della Repubblica al più di pervenire a un
provvedimento condiviso. Con la conseguenza che, nel caso in cui tale
condivisione non si verificasse anche dopo aver
esperito un adeguato confronto sui presupposti (che nel caso di specie,
riguardante Ovidio Bompressi, si è svolto), la volontà prevalente e quindi la
decisione finale non possono che essere quelle del titolare del potere
costituzionale di grazia e cioè del presidente della Repubblica.

Nel contesto
delineato la decisione di codesta Corte costituzionale, oltre a dirimere il
conflitto insorto, verrà ad assumere il precipuo scopo di fare chiarezza
definitiva su un punto importante dell’interpretazione della Costituzione, già
oggetto di dibattiti dottrinali di grande rilevanza.

Quanto precede premesso e ritenuto,
il ricorrente

Chiede

Che
l’Ecc.ma corte adita dichiari che non spetta al
ministro della Giustizia il potere di rifiutare di dare corso alla
determinazione alla quale il Capo dello Stato è pervenuto, di concedere la
grazia ad ovidio Bompressi e che, conseguentemente, annulli l’atto di cui alla
nota del 24 novembre 2004 del ministro della Giustizia.

Si depositano:

1 decreto del Presidente della
Repubblica

2 nota del Presidente della
Repubblica al ministro della Giustizia del 8 novembre
2004;

3 nota del Presidente della
Repubblica al ministro della Giustizia del 30 marzo
2004;

4 nota del presidente della
Repubblica al ministro della Giustizia del 4 giugno 2004,

5 nota del presidente della
Repubblica al ministro della Giustizia del 24 novembre 2004,

6 nota del presidente della
Repubblica al ministro della Giustizia del 15 ottobre 2004,

7 nota del presidente della
Repubblica al ministro della Giustizia del 17 ottobre 2004-

Note

1- In dottrina, hanno sostenuto
che quello di concedere la grazia sia un potere
esclusivamente presidenziale, tra gli altri, G.Guarino, Il Presidente della
Repubblica Italiana, in riv. Trim. dir. Pubbl., 1951,
967; V. Sica, La controfirma, Napoli, 1953, 128; P. Nicosia, voce “Grazia” in
Noviss. Dig. It., Torino, 1962, 8: G. Camerini, La grazia, la liberazione condizionale e la revoca
anticipata delle misure di sicurezza, Padova, 1967, 19; C. Cereti, Corso di
diritto costituzionale, Torino, 1971, 284; C. Mortati, Istituzioni di diritto
pubblico, II, Padova, 1976, 781; A. Baldassarre, Il Capo dello Stato, in
Manuale di diritto pubblico (a cura di G. Amato e A. Barbera), Bologna,
1984, 554; E. Gallo, Ancora sul potere di grazia (a proposito di un anomalo
conflitto di attribuzione), in Nomos, 1992, I,77; T.L.
Rizzo, Il potere di grazia del Capo dello Stato dalla monarchia alla
repubblica, Roma, 1988, 55; M.Ainis, Sulla titolarità del potere di grazia, in
Quaderni costituzionali, 2004, 97; S. Stammati, A proposito del nuovo
dimensionamento del ruolo e dei poteri del Presidente della Repubblica in La
democrazia riformata, Analisi del progetto di revisione costituzionale (a cura
di A. Beverp), Napoli, 2004, 113; F.P. Casavola, Un potere che spetta al
Presidente, in Il Messaggero del 25/11/2004; A. Pugiotto, Potere di grazia tra
“legge Boato” e inerzia presidenziale, in diritto e giustizia, 2004, n.8, 10;
S. Bonfiglio, La controfirma non costituisce un “impedimento a fare” sul sito
dell’associazione dei costituzionalisti. Recentemente intervistati da radio
radicale, si sono espressi negli stessi termini anche V. Cerulli Irelli, G. Sergus, A. Celotto, M. Gigante, P. Carnevale, L. Ferraioli, L.
Carlassare, G. Vassalli, A.Manzella, G.Amato e
A. Cerri.

2- Per tutti P. Virga, Diritto
costituzionale, Milano, 1979, 232

3- Sul punto si vedano, per
tutti, G.Zagrebelsky, voce “Grazia (dir.cost.)”, in
Enc, dir, Milano, 1970, 764, e L. Paladin, voce “Presidente della Repubblica”,
in Enc. Dir, Milano, 1986, 235.

4- cfr.,
per tutti, C.Mortari, op,all 428 ss.