Enti pubblici

Wednesday 05 February 2003

Appalti pubblici: quando una condanna preclude la partecipazione all’appalto.

Appalti pubblici: quando una condanna preclude la partecipazione all’appalto.

Tar per il Piemonte – Sezione seconda – sentenza 7-18 dicembre 2002, n. 2050

Presidente Calvo – estensore Massari

Ricorrente Consorzio ravennate delle cooperative di produzione e lavoro

Fatto

Con bando pubblicato nei termini di legge l’Azienda ospedaliera S. Croce e Carle di Cuneo indiceva una gara d’appalto per l’affidamento dei lavori di costruzione del nuovo corpo di fabbrica adibito a servizi operatori, di poliambulatorio, centrale di sterilizzazione, spogliatoio, autorimessa e centrali tecnologiche.

Il disciplinare di gara prevedeva il deposito di una dichiarazione attestante fra l’altro: “a) di non trovarsi, indicandole specificamente, nelle condizioni previste dall’articolo 75, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), g), h) del Dpr 554/99;

b) che non sono state pronunziate nei propri confronti sentenze di condanna con il beneficio della non menzione nei certificati del casellario giudiziario richiesto dai privati ovvero di irrogazione della pena su richiesta;

c) che nei propri confronti non sono state emesse sentenze ancorché non definitive relative a reati che precludono la partecipazione alle gare d’appalto”.

Il Consorzio Ravennate e la Cooperativa B. Cellini partecipavano alla gara in forma di raggruppamento temporaneo di imprese da costituire, producendo tutta la documentazione richiesta, ivi comprese le autocertificazioni attestanti l’inesistenza di sentenze di condanna e di altri ostacoli alla partecipazione all’appalto questione.

Nel luglio 2002 la Cooperativa Cellini riceveva dall’ente appaltante la nota, in data 19 luglio 2002 n. 19885, con la quale si chiedevano chiarimenti su un decreto penale non dichiarato.

A tale nota veniva risposto evidenziando l’irrilevanza dell’annotazione di detto decreto ai fini della partecipazione alla gara.

Peraltro, con la nota del 22 agosto 2002, impugnata, il Consorzio Ravennate riceveva la comunicazione che con determinazione del Commissario dell’Azienda ospedaliera S. Croce e Carle di Cuneo in data 21 agosto 2002, n. 909 l’Ati Consorzio Ravennate Cooperative di Produzione e Lavoro e Cooperativa B. Cellini era stata esclusa dalla gara in quanto il legale rappresentante della Cooperativa Cellini aveva omesso di indicare un decreto penale subito nel giugno 1991 per una lieve violazione al Testo unico relativo alla prevenzione infortuni, Dpr 547/55.

Contro gli atti sopraindicati ricorrono le società in intestazione chiedendone l’annullamento, previa sospensione, con vittoria di spese e deducendo i motivi che seguono:

– Violazione di legge con riferimento all’articolo 75 del Dpr 554/99, nonché per via traslata, dagli articoli 125, 459 e seguenti, 529 e seguenti del Cpp.

Eccesso di potere violazione della lex specialis, contraddittorietà, irragionevolezza, errore sul presupposto, difetto di istruttoria.

Violazione dell’articolo 3 della legge 241/90 ed eccesso di potere per illogica motivazione.

Assumono le ricorrenti che l’articolo 75 del Dpr 554/99, per quanto qui interessa, indica, tra le ipotesi che possono determinare l’esclusione dalle procedure concorsuali per l’affidamento dei pubblici appalti e l’impossibilità di stipulare i relativi contratti, esclusivamente l’aver riportato “sentenza di condanna passata in giudicato, oppure di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del Cpp, per reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale”, senza che si faccia menzione alcuna della diversa fattispecie, disciplinata dagli articoli 459 e seguenti Cpp, di condanna conseguita per effetto decreto penale.

Tale modalità di conclusione del processo penale, seppure conducente all’applicazione di una pena nei confronti del reo, deve ritenersi ontologicamente diversa da quelle indicate nell’articolo 75 appena citato, dal momento che essa, oltre a potersi utilizzare solo nell’ipotesi in cui il giudice per le indagini preliminari ritenga applicabile un pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di pena detentiva, viene applicata in assenza di contraddittorio e senza che la condanna contenga, dal punto di vista soggettivo l’affermazione della penale responsabilità dell’interessato.

Nello stesso senso si esprime sostanzialmente il disciplinare di gara senza che possa consentirsi un’interpretazione estensiva delle norme de quo stanti le gravose conseguenze che comporta in ordine alla preclusione all’accesso ai pubblici appalti.

Ne consegue che, seguendo fedelmente le indicazioni del bando, il legale rappresentante della ricorrente cooperativa ha affermato l’inesistenza a proprio carico di pregiudizi penali in tal senso rilevanti.

Per contro l’amministrazione intimata non ha fornito alcuna indicazione in merito alla rilevanza del decreto penale in parola ai fini dell’affidabilità morale e professionale dell’impresa interessata, avuto anche riguardo alla speciale tenuità della fattispecie di reato ascritta al legale rappresentante della ditta.

Con ricorso per motivi aggiunti, tempestivamente notificato, la parte ricorrente ha dedotto un ulteriore motivo di doglianza:

– Eccesso di potere per violazione del principio dell’affidamento nonché del principio di massima concorrenza.

La lex specialis predisposta dall’Amministrazione appaltante è, ad avviso delle ricorrenti, così dettagliata e univoca nelle sue affermazioni da aver creato nelle dichiaranti il legittimo affidamento sulla necessità di redigere autocertificazioni secondo una formulazione che imponeva di tener conto unicamente delle sentenze di condanna passate in giudicato, oppure di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell’articolo 444 del Cpp.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata opponendosi all’accoglimento del gravame.

Con ordinanza 883/02, depositata il 4 ottobre 2002, veniva accolta la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato e contestualmente fissata l’udienza di discussione del merito del gravame.

Alla pubblica udienza del 20 novembre 2002 i procuratori delle parti hanno insistito nelle proprie tesi ed il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Diritto

È stato impugnato l’atto, in epigrafe precisato, con cui l’Azienda ospedaliera S. Croce e Carle di Cuneo ha escluso le società ricorrenti dalla gara a pubblico incanto per l’appalto dei lavori di costruzione del nuovo corpo di fabbrica adibito a servizi operatori, di poliambulatorio, centrale di sterilizzazione, spogliatoio, autorimessa e centrali tecnologiche.

L’amministrazione resistente ha proceduto alla contestata esclusione a causa della violazione, da parte del legale rappresentante della Cooperativa B. Cellini, della norma del disciplinare di gara che prevedeva l’obbligo per le imprese concorrenti di dichiarare che non sono state pronunziate nei propri confronti sentenze di condanna con il beneficio della non menzione nei certificati del casellario giudiziario richiesto dai privati ovvero di irrogazione della pena su richiesta delle parti (articoli 444 e seuenti Cpp) e che nei propri confronti non sono state emesse sentenze, ancorché non definitive, relative a reati che precludono la partecipazione alle gare d’appalto.

Infatti, a fronte della dichiarazione resa nel senso appena precisato dal legale rappresentante della Cooperativa B. Cellini, sig. Stefano Ciacci, l’Amministrazione sanitaria, esperiti i necessari controlli, riscontrava che a carico del medesimo era stato pronunciato, in data 6 maggio 1991, da parte del Gip di Prato, un decreto penale di condanna all’ammenda di lire 250.000, non opposto e divenuto perciò definitivo, per violazione delle norme antinfortunistiche.

Le società ricorrenti lamentano che la stazione appaltante abbia proceduto illegittimamente in considerazione sia dell’inequivoco disposto dell’articolo 75 del Dpr 554/99, pedissequamente ripreso dal bando di gara, e del conseguente affidamento così ingenerato in capo ai soggetti obbligati alla dichiarazione de quo, sia dell’obbligo sussistente in capo all’amministrazione di valutare la gravità del reato ascritto all’interessato e alla sua incidenza sull’affidabilità morale e professionale dell’impresa coinvolta.

L’argomentazione è meritevole di essere condivisa.

Si osserva in proposito che la stessa indeterminatezza dei concetti di affidabilità morale e professionale a cui è legato l’effetto espulsivo di cui parte ricorrente di duole in questa sede comporta necessariamente l’esercizio, da parte dell’amministrazione aggiudicante, di un potere discrezionale di valutazione dei reati ascritti agli interessati.

Ciò tanto più se si considera che, nell’ipotesi di cui all’articolo 459 Cpp, l’applicazione della pena, che avviene eccezionalmente in assenza del contraddittorio con l’imputato, può avvenire esclusivamente per reati di particolare tenuità che comportano l’irrogazione di una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di pena detentiva.

Da ciò consegue, altresì, che non è sufficiente l’accertamento in capo al soggetto interessato di una condanna penale, giacché il dettato normativo richiede una valutazione da parte dell’amministrazione ai fini di verificare, attraverso un apprezzamento discrezionale che deve essere adeguatamente motivato, l’incidenza della condanna sul vincolo fiduciario da instaurare attraverso il contratto con l’amministrazione stessa, senza che tale apprezzamento possa ritenersi compiuto per implicito attraverso la semplice enunciazione delle fattispecie di reato alle quali si riferisce la condanna.

In tale senso già si era pronunciata la giurisprudenza, sia pure con riferimento alla normativa pregressa di analogo tenore, affermando la necessità, ai fini dell’esclusione da una gara di appalto, di una discrezionale valutazione dell’Amministrazione, insindacabile in sede giudiziale se non mediante la dimostrazione della sussistenza di vizi logici ovvero dell’erronea rappresentazione dei fatti, in ordine alla rilevanza di una condanna penale, subita dall’imprenditore partecipante alla gara stessa (Consiglio di Stato, sezione sesta, 125/98).

L’assunto viene ribadito anche con riferimento alla normativa in vigore confermando che, nelle gare per l’aggiudicazione di contratti pubblici, all’amministrazione è demandato il compito di apprezzare se eventuali condanne riportate nel certificato del casellario giudiziale possono implicare un qualche vulnus alla moralità professionale del soggetto partecipante alla gara, attraverso la motivata valutazione, in concreto, della natura, della gravità e della rilevanza del reato (Tar Sicilia, Palermo, sezione seconda, 1980/00).

Ne consegue che l’amministrazione era tenuta a motivare con riferimento alla rilevanza del fatto omissivo – di per se non determinante in relazione all’affidamento creato dalla formulazione letterale della norma di cui sopra – e all’incidenza della condanna sul vincolo fiduciario da instaurare attraverso il contratto con l’amministrazione stessa. Nel caso di specie il sig. Ciacci risulta condannato ad un’ammenda di lire 250.000 per la violazione degli articoli 18 e 328 del Testo unico delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, approvato con Dpr 547/55 che disciplinano, rispettivamente, l’uso delle “scale semplici portatili” e le verifiche periodiche in materia di “impianti di messa a terra”.

Nessuna indicazione è contenuta nel provvedimento impugnato in ordine all’incidenza di tali fatti sui valori tutelati dall’articolo 75 del Dpr 554/99.

Né può semplicemente ritenersi che a sostituire la valutazione di cui trattasi possa intervenire la semplice constatazione del mendacio in cui secondo l’amministrazione sarebbe incorsa la società ricorrente, attesa l’inequivoca formulazione della lex specialis di gara che può avere indubbiamente ingenerato nel dichiarante un legittimo affidamento in ordine alle circostanze di cui fare menzione nella dichiarazione stessa.

Per le ragioni esposte il ricorso deve quindi essere accolto con il conseguente annullamento degli atti impugnati.

Quanto alla domanda di risarcimento del danno, essa deve essere respinta sulla base di un duplice ordine di considerazioni: da un lato, come sostiene la ricorrente, nell’ipotesi in cui l’Amministrazione, a seguito dell’annullamento del provvedimento impugnato, aggiudicasse il contratto d’appalto alla ricorrente medesima, essa vedrebbe ripristinato in forma specifica il bene della vita per la cui tutela agisce in giudizio; dall’altro, prima ancora della realizzazione di tale evenienza, è sufficiente rilevare che l’annullamento per difetto di motivazione comporta, in linea di principio, il potere/dovere per l’amministrazione di esercitare nuovamente il potere amministrativo sulla base delle indicazioni della sentenza, di guisa che non può dirsi, al momento, positivamente realizzato quel giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita per cui si agisce che, secondo l’insegnamento della Corte di cassazione, costituisce l’operazione logica necessaria anteriormente alla pronuncia di accoglimento della domanda risarcitoria (Cassazione Sezioni unite, 500/99).

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

PQM

Il Tar per il Piemonte – sezione seconda – accoglie il ricorso in epigrafe indicato e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Respinge la domanda di risarcimento del danno.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.