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Appalti pubblici: anche le condanne a pena patteggiata devono essere dichiarate pena l’ esclusione dalla gara. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V sentenza 29 marzo 2004 n. 1660
Appalti pubblici: anche le condanne a pena patteggiata devono essere dichiarate pena l’esclusione dalla gara.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – sentenza 29 marzo 2004 n. 1660 – Pres. Quaranta, Est. Millemaggi Cogliani – Favellato Claudio S.r.l. (Avv. V. Spagnolo Vigorita) c. Comune di Miranda (Avv. V. Colalillo) e Melfi Costruzioni S.r.l. (Avv. V. Caputi Jambrenghi) – (conferma T.A.R. Molise, sent. n. 319/2000).
F A T T O
1. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Molise, con sentenza n. 319 del 4 ottobre 2000, ha accolto il ricorso proposto dalla Melfi Costruzioni S.r.l. per l’annullamento della deliberazione della Giunta municipale del Comune di Miranda n. 98 del 4 ottobre 1999, con la quale sono stati approvati gli atti relativi alla gara per l’affidamento della concessione della realizzazione e gestione dell’impianto di distribuzione del gas naturale, con aggiudicazione alla attuale appellante,
Nel ricorso di primo grado erano poste una serie di censure per violazione dei legge ed eccesso di potere, intese a contestare: a) l’invito alla gara della controparte; b) la falsità delle dichiarazioni rese dalla Favellato ai fini della ammissione alla gara; c) in via subordinata, lo stesso bando e la lettera di invito, per non avere esplicitamente previsto l’esclusione dalla gara in difetto del requisito della moralità professionale in presenza di una sentenza passata in giudicato come quella irrogata nei confronti di controparte e l’esclusione della gara per dichiarazioni mendaci; d) i consequenziali vizi dell’aggiudicazione.
Nel giudizio di primo grado si erano costituiti la controinteressata ed il Comune, la prima proponendo altresì ricorso incidentale, ed entrambi contestando il fondamento del ricorso, salvo l’eccezione preliminare del Comune in ordine alla pretesa mancanza di interesse del ricorrente, sul presupposto che la stessa doveva a sua volta essere esclusa per avere formulato un’offerta in rialzo non ammessa dal bando.
Il Giudice di primo grado, respinta l’eccezione del Comune, ha accolto il ricorso sulla base della natura assorbente del primo motivo di impugnazione, ritenendo che la ditta controinteressata, proclamata aggiudicataria, doveva essere esclusa, obbligatoriamente, per mancanza della necessaria moralità professionale, per essere stato, il titolare della stessa (al tempo della domanda, ancora ditta individuale), condannato, con sentenza patteggiata a norma dell’art. 444 c.p.p., per reati incidenti gravemente sulla moralità professionale.
2. Avverso l’anzidetta sentenza propone appello l’attuale società a responsabilità limitata, nel frattempo succeduta alla ditta individuale Favellato, la quale contesta in radice le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di primo grado, in ordine alla rilevanza della sentenza patteggiata e comunque, sulla obbligatorietà della esclusione e ripropone in questa sede i moti del ricorso incidentale a suo tempo posto dal Favellato, in quanto titolare della ditta individuale omonima, in ordine alla ammissione della offerta in rialzo della Melfi S.r.l.
Si è costituita la società appellata resistendo all’impugnazione e richiamando in questa sede i motivi assorbiti.
Si è anche costituito in giudizio, con memoria non notificata, il Comune – il quale nel frattempo ha dato esecuzione alla sentenza di primo grado, non sospesa – difendendo la validità del proprio operato e chiedendo l’accoglimento dell’appello.
3. Chiamata alla pubblica udienza del 9 gennaio 2004, la causa è stata trattenuta in decisione.
D I R I T T O
1. La sentenza appellata, merita di essere confermata, sia pure con talune precisazioni, derivanti dalla necessità di riprendere in esame, per quanto di ragione, il secondo motivo del ricorso di primo grado che il Tribunale ha ritenuto assorbito, per la ritenuta natura prevalente del primo motivo di impugnazione.
Con tale motivo era denunciato, per un verso la mendacità della dichiarazione resa dal controinteressato, nell’affermare di essere soggetto abilitato alla stipula di contratti pubblici, dall’altro, l’ambiguità delle clausole contrattuali che non hanno espressamente previsto l’esclusione dalla gara dei soggetti i quali avessero riportato condanna penale, anche ai sensi dell’art. 444 c.p.p. per reati che per loro natura erano tali da escludere la moralità professionale del concorrente.
2. Ciò premesso, e tenendo nel debito conto le censure formulate dalla parte appellante, osserva la Sezione che è principio di ordine generale – per la cui applicazione è indifferente il raggiungimento o meno della soglia comunitaria – quello fissato l’art. 18 comma 1 lettera c) del D.L. vo n. 406 del 1991, secondo cui, indipendentemente da quanto previsto dagli artt. 20 e 21 della L. 10 febbraio 1962 n. 57 e successive modificazioni, può essere escluso dalla procedura di appalto o di concessione il concorrente che abbia riportato condanna, con sentenza passata in giudicato, per un reato che incida gravemente sulla sua moralità professionale.
Il suddetto principio deve ritenersi operativo anche in vigenza della L. 11 febbraio 1994 n. 109, il cui art. 7 comma 8 – in luogo delle misure previste dalla L. 10 febbraio 1962 n. 57, in tema di sospensione e cancellazione dall’albo dei costruttori (artt. 20 e 21) – ha stabilito che, fino al 31 dicembre 1999, il Comitato centrale dell’Albo nazionale dei costruttori (fermo quanto previsto dalla vigente disciplina antimafia ed in materia di misure di prevenzione) dispone la sospensione da tre a sei mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento di lavori pubblici nei casi previsti dall’art. 24 comma 1 della direttiva 93/37/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993, abrogando le norme incompatibili relative alla sospensione e alla cancellazione dall’Albo, dichiarando inefficaci i procedimenti iniziati in base alla normativa previgente e affidando direttamente alle stazioni appaltanti il compito di provvedere direttamente, dal 1 gennaio 2000, all’esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento di lavori pubblici, sulla base dei medesimi criteri.
Deve convenirsi con l’attuale appellante che la norma sopravvenuta implica l’esercizio di una discrezionalità compatibile con i limiti definiti dalla riferita normativa, che non si concilia con i principi affermati nella sentenza appellata, che assumono come obbligatoria l’esclusione del concorrente condannato con sentenza emessa ad istanza di parte per reati per loro natura incompatibili con i requisiti di moralità richiesti al contraente con le pubbliche amministrazioni.
L’espunzione dall’ordinamento della misura interdittiva della cancellazione e la sostituzione con altra che limita, nel tempo, la possibilità di partecipazione alle gare, deve indurre a ritenere che la stazione appaltante sia tenuta a rapportare le proprie determinazioni alla situazione concreta, con riferimento anche alla natura del provvedimento penale nonché della persistenza della situazione di allarme sociale in funzione della quale la pena è stata comminata.
L’espressa previsione dell’equivalenza dell’applicazione della pena a norma dell’art. 444 Cod. proc. pen., in tema di esclusione dai contratti ad evidenza pubblica, compare, invero, enunciato nell’art. 12 del D.L. vo 17 marzo 1995 n. 157, secondo cui sono esclusi dalla partecipazione alle gare per i contratti ivi previsti, coloro “b) nei cui confronti sia stata emessa sentenza di condanna passata in giudicato, ovvero sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per qualsiasi reato che incide sulla loro moralità professionale o per delitti finanziari”
Lo stesso art. 445 comma 1 ultimo inciso, recita che “salve diverse disposizioni di legge, la sentenza (pronunciata ai sensi dell’art. 444, comma 2) è equiparata a una pronuncia di condanna” e deve essere relazionato, per ciò che concerne l’esercizio della discrezionalità, a quanto successivamente disposto nel comma 2 dello stesso articolo, che prevede l’estinzione del reato e di ogni effetto penale se, nel termine di cinque anni (quando, come nella specie, la sentenza concerne un delitto), l’imputato non commetta un delitto della stessa indole.
Tenuto conto, dunque, che il principio posto dal D.L. vo del 1991 configura, non già come automatica, l’esclusione dalla gara, del soggetto che abbia subito condanna, ma in termini di facoltà discrezionale dell’Amministrazione, ciò non toglie che, dal complesso delle disposizioni citate emerge con sufficiente chiarezza che :
a) non può ritenersi in possesso dei requisiti di partecipazione alla gara colui il quale abbia riportato una condanna penale per uno dei reati incidenti sulla moralità professionale del concorrente;
b) la sentenza che applica la pena ad istanza di parte, deve essere equiparata a tutti gli effetti, per i fini che interessano, alla sentenza di condanna;
c) la preclusione della partecipazione alla gara di chi non sia in possesso dei necessari requisiti di moralità è insita nelle disposizioni di carattere generale che governano le pubbliche gare e prescinde da un’esplicita previsione del bando;
d) la clausola del bando che prescrive una dichiarazione sostitutiva, in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione, pur nella ambiguità della formulazione ed anche nella mancanza di una clausola esplicita di esclusione per mancanza di tali requisiti, implica anche che la dichiarazione del concorrente sia completa e tale da non indurre in errore l’amministrazione nella valutazione discrezionale dei presupposti e quindi della sussistenza o meno dei requisiti in questione in capo al soggetto che abbia riportato sentenza equiparata a sentenza di condanna per uno dei reati incidenti sulla moralità professionale.
3. Nel caso in esame, se pure è vero che la lettera di invito è stata lacunosamente formulata, limitandosi a richiedere dichiarazione attestante “che vi è inesistenza di tutte le cause che comportino l’impossibilità di assunzione dell’appalto di cui alle disposizioni antimafia in vigore”, bisogna dare atto, al contrario che, nel bando di gara il Comune aveva espressamente richiesto ai concorrenti una dichiarazione di differente tenore, in quanto l’interessato avrebbe dovuto attestare “di essere soggetto abilitato alla stipula di contratti pubblici, non essere inquisito o sospettato si sensi della vigente normativa antimafia” (punto 20,coma 1, n. 1 del bando prot. n. 4402 del 30 ottobre 1998, pubblicato sul bollettino Ufficiale della Regione Molise n. 22 del 16 novembre 1998).
Orbene, mentre è pacifico il principio secondo cui, in tema di gare pubbliche, nel caso di contrasto tra il bando e la lettera di invito, prevale il primo, quale lex specialis della selezione concorsuale, non modificabile mediante lettera d’invito (per tutti, parere della Sez. II, n. 149 del 7 marzo 2001), deve concludersi – anche ponendo mente alla normativa transitoria invocata dall’appellante e già al tempo applicabile (L. n. 109/94, con le modifiche introdotte dall’art. 4 ter D.L. n. 101 del 1995) – nel senso che il concorrente aveva obbligo di dichiarare la sussistenza delle cause eventualmente preclusive della partecipazione, fra le quali deve annoverarsi senz’altro la sentenza patteggiata della quale si tratta, dal momento che, come correttamente osservato dal giudice di primo grado, i reati in ordine ai quali è intervento il patteggiamento (sentenza 1°luglio 1998, divenuta irrevocabile il 1° ottobre 1998 del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Campabasso) per corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, abuso d’ufficio in casi non preveduti specificamente dalla legge in concorso, turbata libertà degli incanti in concorso, associazione per delinquere, corruzione continuata e quant’altro, per non contare il decreto penale 7 agosto 1996, esecutivo il 1° ottobre 1996, per violazione della normativa sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (il tutto risultante dal certificato generale del casellario giudiziale della Procura della Repubblica di Isernia n. 2647/004-0162 del 25 gennaio 2000, acquisito agli atti del fascicolo di primo grado) evidenziano una situazione che, anche a norma di quanto espressamente stabilito dal bando, doveva essere portato a conoscenza della stazione appaltante, al fine di esprimere le valutazioni sulla cui discrezionalità si incentra l’appello.
4. Tanto appare sufficiente alla reiezione dell’appello sulla base di quanto dedotto dalla parte ricorrente nel motivo II del ricorso originario, assorbito dal giudice di primo grado, in ordine alla mendicità della dichiarazione resa dal controinteressato, quale causa autonoma di esclusione, non spettando al concorrente stesso di valutare in concreto l’incidenza sulla sua moralità professionale, e dunque la rilevanza ai fini della partecipazione alla gara dei reati per i quali è intervenuto il patteggiamento e non essendo dunque egli esonerato dal rendere la dichiarazione, e l’amministrazione dall’obbligo di escludere il concorrente che non aveva reso una dichiarazione conforme a quanto richiesto dal bando.
E’ pur vero che i margini di insindacabilità attribuiti all’ esercizio del potere discrezionale dell’ Amministrazione appaltante di valutare una condanna penale ai fini dell’ esclusione da una gara non consentono alla committente di prescindere dal dare contezza di aver effettuato la suddetta disamina e dal rendere conoscibili gli elementi posti alla base della eventuale definitiva determinazione espulsiva (Sez. V n. 1145 del 1 marzo 2003), cosicché, per tale profilo è erroneo il procedimento logico seguito dal giudice di primo grado.
Tuttavia è altrettanto incontestabile che la vicenda, nel suo complesso, si connota di particolare gravità per la natura dei reati in ordine ai quali è intervenuto il patteggiamento ed il silenzio serbato dal partecipante sulla sua situazione penale, che avrebbe dovuto condurre, sulla base della clausola del bando sopra citata, alla esclusione del concorrente.
Pur tenendo nella debita considerazione l’elasticità del concetto di moralità professionale, richiamato dall’ art. 18 D.L. vo 19 dicembre 1991 n. 406, ritiene la Sezione che l’incompatibilità derivante da taluni reati prescindere totalmente dalla circostanza che il reato sia stato accertato in un’ordinaria sentenza passata in cosa giudicata e non abbia costituito, invece oggetto di una contestazione conclusasi con il patteggiamento, con la conseguenza che è mendace la dichiarazione che non ne reca contezza, ed illegittimo il comportamento dell’amministrazione che non tiene conto della omessa dichiarazione prescritta dal bando.
Sotto differente profilo, l’istituto del patteggiamento, non può risolversi in un espediente per sfuggire ai requisiti di onorabilità professionale richiesti, nelle linee generali ai partecipanti alle pubbliche gare, così come ai partecipanti alle pubbliche cariche (Sez. V, n.1052 del 13 settembre 1999), cosicché la valutazione della incidenza dei reati su cui verte il patteggiamento sulla moralità e quindi sulla possibilità di partecipare alla gara non può essere lasciata all’arbitrio del concorrente che omette di rendere all’Amministrazione la necessaria dichiarazione.
5. Sulla base di tutte le considerazioni che precedono e con le precisazioni relative alla motivazione della sentenza impugnata, l’appello deve essere respinto.
Le spese del giudizio, che devono compensarsi quanto al Comune costituitosi in adesione, vanno poste a carico dell’appellante ed in favore della società resistente, come liquidate in dispositivo.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe;
Condanna l’appellante al pagamento, in favore della resistente S.r.l. Melfi Costruzioni, in persona del legale rappresentante in carica, al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in euro 3.000.00 oltre C.P.A. e I.V.A. come per legge; spese compensate quanto al Comune costituito;
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 9 gennaio 2004, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V) riunito in camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Alfonso QUARANTA PRESIDENTE
Raffaele CARBONI CONSIGLIERE
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI CONSIGLIERE
Paolo BUONVINO CONSIGLIERE
Francesco D’OTTAVI CONSIGLIERE
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Chiarenza Millemaggi Cogliani F.to Alfonso Quaranta
Depositata in segreteria in data 29 marzo 2004.