Lavoro e Previdenza

Wednesday 04 May 2005

Anche nel rito del lavoro ammissibili in fase d’ appello soltanto le prove sopravvenute al giudizio di primo grado Cassazione – Sezioni unite civili – sentenza 3 marzo-20 aprile 2005, n. 8202

Anche nel rito del lavoro ammissibili in fase d’appello soltanto le prove
sopravvenute al giudizio di primo
grado

Cassazione – Sezioni unite civili – sentenza 3 marzo-20 aprile 2005, n. 8202

Presidente Carbone – relatore Vidiri

Pm Iannelli –
conforme – ricorrente Filocamo ed altri – controricorrente ministero dell’Interno

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 29
aprile 1993 Eleonora Filocamo, Francesco Siciliano e
Francesca Siciliano, tutti nella qualità di credi di
Rocco Siciliano, adivano il Pretore di Palmi, in funzione di giudice del
lavoro, esponendo che il loro dante causa Rocco Siciliano, deceduto In data 11
settembre 1992, era affetto da patologie gravi che ne avevano menomato la
capacità di muoverai autonomamente e di attendere alle proprie ordinaria e
personali necessità quotidiane. Chiedevano, quindi, che fosse riconosciuto
giudizialmente lo stato di invalidità assoluta del
loro dante causa ed il diritto all’indennità di accompagnamento, e che il
ministero dell’Interno fosse condannato al pagamento dei relativi ratei.

Il Pretore rigettava la domanda ed il
Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza del 5 gennaio 2002, conformava la
prima decisione. Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale escludeva, sulla
base del disposto dell’articolo 437 Cpc, che si potesse tenere conto dei nuovi documenti (non indicati
nell’atto di appello) prodotti nel corso del gravame, e sul quali il consulente
tecnico d’ufficio nominato in quel grado
del giudizio aveva fondato, in via esclusiva,
il suo parere positivo sulla sussistenza del requisito sanitario
richiesto per il riconoscimento dell’1ndonnità di accompagnamento. A sostegno
della sua decisione il giudice d’appello osservava che i documenti in oggetto
erano stati depositati solo dopo l’inizio delle operazioni, violandosi così il
precetto che limita la possibilitá di acquisire
documenti in appello solo al momento della proposizione del gravame. Precetto
che nel caso di specie risultava applicabile
trattandosi non di documenti sopravvenuti ma invece di documenti di data
anteriore al primo grado di giudizio.

Avverso tale
sentenza Eleonora
Filocamo, Francesco Siciliano e Francesca Siciliano,
nelle suddetta qualità, propongono ricorso per cassazione, affidato ad un unico
articolato motivo.

Resiste con controricorso
il ministero dell’Interno.

A seguito di ordinanza
del 22 luglio 2003 della Sezione lavoro il primo Presidente ha disposto che, al
sensi dell’articolo 374 Cpc, le Su si pronunzino in
ordine all’ammissibilità nelle controversie di lavoro della produzione di nuovi
documenti In appello, per essere la questione stata oggetto di contrasto
all’interno della stessa Sezione lavoro.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso gli eredi di Rocco Siciliano denunziano violazione di
legge e mancata o insufficiente motivazione sui punti decisivi della
controversia (articolo 1 legge 18/1980 e successive modificazioni; articolo 360
nn. 3 e 5 Cpc). In
particolare denunziano che il giudice di appello ha
disatteso con la sua decisione la giurisprudenza della Corte di cassazione, che
ha ripetutamente affermato che nel rito del lavoro i documenti, quali prove
precostituito, ancorchè non indicati nel ricorso
possono essere prodotti fino all’udienza di discussione, anche in appello,
senza incorrere nelle preclusioni di cui agli articoli 414, 416 e 437 Cpc; norme quest’ultime
applicabili alle sole prove costituendo.

2. Ragioni di ordine
argomentativo rendono opportuno alcune preliminari considerazioni sulla
problematica oggetto dell’esame di queste Su.

2.1. Come evidenziato
nella già indicata ordinanza del 22 luglio 2003, dopo la sentenza delle Su
9199/90 – secondo la quale la produzione dei documenti, pur sottraendosi al
divieto sancito dall’articolo 437 Cpc, esige a pena
di decadenza che essi siano indicati specificamente nel ricorso dell’appellante
o nella memoria dell’appellato e vengano depositati contestualmente a tali
atti(salvo che 91 tratti di documenti sopravvenuti o la cui produzione sia
giustificata dello sviluppo della vicenda processuale) – sono intervenute
numerose pronunzie che hanno confermato quanto statuito della ricordate
decisione, anche in ordine alla modalità ed al limiti della produzione (cfr. ex plurimis: Cassazione, 10128/04,
con riferimento alle controversie in materia di locazione, cui è applicabile il
rito del lavoro, cui adde, Cassazione 7845/03;
Cassazione 15197/00; Cassazione 10335/00; Cassazione 7948/00; Cassazione
5596/00; Cassazione 14690/99; Cassazione, 9724/94, ed, ancora, Cassazione,
11323/92, che ha però escluso la regola della necessaria indicazione dei
documenti nuovi nell’atto IntroduttIvo del giudizio di appello con riferimento
alle controversie in tema di invalidità pensionabile, ove la documentazione
medica riguardi aggravamenti o infermità certificati in epoca posteriore al
deposito del ricorso d’appello).

Altre decisioni, invero, nel
confermare la non operatività del divieto di cui all’articolo 437, comma 2,Cpc in relazione alle prove
costituito, hanno mostrato maggiore flessibilità nel dare ingresso alla
produzione dei

documenti, statuendo che detta produzione,
anche se i documenti non siano indicati in ricorso, possa avvenire fino alla
udienza di discussione anche in appello(Cassazione, 4048/03; Cassazione 917/00 nonchè, con riferimento al documenti sopravvenuti nel corso
del giudizio d’appello, e, pertanto, inevitabilmente non indicati nel ricorso,
Cassazione, 10944/90; Cassazione, 3640/98).

Uno scrutinio delle indicate
pronunzie ne evidenzia il dato comune nell’assunto,
condiviso anche da una parte della dottrina, che il divieto sancito
dall’articolo 437, comma 2, Cpc – di ammissione in
grado di appello nella controversie soggetto al rito del lavoro di nuovi mezzi
di prova (salvo che il collegio li ritenga indispensabili al fini della
decisione) – si riferisca soltanto alle prove costituendo, per la quali è
previsto in generale un giudizio di ammissibilità ed un procedimento di
assunzione (cui fa riferimento in particolare lo stesso articolo 437, comma 3, Cpc) e non riguarda invece la produzione di documenti, la
cui acquisizione, tra l’altro, non contrasta con le esigenza di concentrazione
e di immediatezza caratterizzanti il processo del lavoro.

2.2. Si è andato nel tempo, però,
formando un indirizzo restrittivo, fondato sul principio che il potere del giudica d’appello di ammettere nuovi documenti trova un
limite nel carattere veramente “nuovo” che la documentazione offerta in sede di
impugnazione devo avere, sicchè il documento che
poteva essere indicato ex articolo 414 n. 5 Cpc nel
ricorso introduttivo del giudizio di primo grado non può più essere prodotto in
appello(cfr. Cassazione, 7233/94). E sempre
nell’ambito di più restrittivi orientamenti, in alcuni pronunziati è stato,
poi, affermato che nel rito del lavoro è inammissibile la produzione dei documenti
sui quali il giudice di primo grado abbia già emesso una pronunzia di inammissibilità, con contestuale dichiarazione di
decadenza della parte stessa dalla facoltà di produrli, osservandosi al
riguardo che la produzione di tali documenti vanificherebbe la sanzione di
decadenza già pronunziata (cfr. Cassazione, 3380/03;
Cassazione, 6342/00; Cassazione, 4013/92). Nello stesso ordine di idee si è poi rimarcato che il principio per cui il
giudice può rilevare di ufficio le eccezioni in senso lato o improprio, non
comporta di per sè che, nel rito speciale del lavoro,
la parte possa produrre in grado di appello documenti a sostegno di una di
dette eccezioni quando non siano stati formati successivamente all’introduzione
del giudizio di primo grado, ed in quel giudizio sia stata pronunciata la
decadenza della parte dalla produzione tardivamente effettuata (Cassazione,
7907/98).

2.3. Si ascrive all’indirizzo volto a
rendere rigoroso il sistema delle preclusioni, con riferimento alla produzione
dei documenti, l’affermazione dei giudici di legittimità che la possibilità per
la parte di produrre, tardivamente nel giudizio di primo grado, prova
documentali presuppone ex articolo 420, comma 5, Cpc
che si tratti di documenti sopravvenuti nella disponibilità delle parti stesso
ed in ogni caso che si tratti (in coerenza con il disposto dell’articolo 416 n.
3 Cpc) di documenti e sostegno di eccezioni
o posizioni difensive tempestivamente dedotte risultando "fuorviante
invocare la nota ripartizione tra prove costituite e prove costituende” al fine
di superare le preclusioni rigidamente indicate dalla citata norma dei codice
di rito(cfr. in tali sensi: Cassazione, 14110/02).

2.4. Nel quadro globale
dei precedenti giurisprudenziali sulla problematica in esame, sicuramente espressione
dell’indirizzo più rigoroso è una recente pronunzia della Sezione lavoro di
questa Corte che, dopo avere sottoposto a revisione critica tutti gli elementi
su cui al basa il contrario orientamento, esclude, sulla base di ragioni ala
testuali che logico-sistematiche, la possibilità di differenziare al fini
preclusivi prove costituito e prove costituendo, da ciò facendo scaturire
l’inclusione dei documenti nei “nuovi mezzi di prova”, indicati nell’articolo
437, comma 2, Cpc, con conseguente applicabilità
anche per la produzione documentale della disciplina limitativa delle prove in
appello, dettata dalla summenzionata disposizione di rito. Nel delineato
assetto ricostruttivo della operatività
nel rito del lavoro delle preclusioni, il limito alla producibilità
dei nuovi documenti finisce cosi per non operare solo per: i documenti
preesistenti, la produzione dei quali sia giustificata dallo sviluppo assunto
dal processo(articolo 420, comma 5 e 7, Cpc); i
documenti destinati a provare un fatto di cui, con ragionevole attendibilità,
non è prospettabile una particolare contestazione; i documenti costituiti, pur
dopo il ricorso introduttivo della lite, avanti ad oggetto l’accertamento delle
condizioni di salute dell’assicurato, che possono essere esibiti nel corso del
giudizio ed anche in grado d’appello in ragione del disposto dell’articolo 149 disp. att. Cpc
(che nelle controversie previdenziali in materia di invalidità dà rilievo
all’aggravamento della malattia, nonchè a tutte le
infermità comunque incidenti sul complesso invalidante che si siano verificate
tento nel corso del processo amministrativo che di quello giudiziario) (cfr. Cassazione, 775/03).

3. L’indirizzo da ultimo indicato,
che ha indotto la dottrina a rivisitare approdi in buona misura sedimentati ed
a sollecitare un intervento di queste Su volto a
eliminare – nell’esercizio dei suoi poteri nomofilattici
– il denunziato contrasto, impongono alcuno considerazioni sulla specialità del
processo del lavoro al fine di accertare se ed in quali limiti detta specialità
si rifletta sulla soluzione della problematica in esame.

4.Queste Su in relazione all’onere “di
prendere posizione, in materia precisa e non limitata ad una generica
contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda”,
previsto dall’articolo 416, ultimo comma, prima parte Cpc,
hanno statuito che il combinato disposto di quest’ultima
disposizione e dell’articolo 167, comma 1. Cpc fa
“della non contestazione un comportamento univocamente rilevante al fini della determinazione
dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che
dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e
dovrà ritenerlo sussistente, proprio per la ragione che l’atteggiamento
difensivo delle parti, valutato alla stregua dell’esposta regola di condotta
processuale, espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti”;
su tale premessa hanno poi precisato che nel nostro sistema il principio della
"non contestazione” viene ad accreditarsi di tendenziale irreversibilità (dovendosi fare
salvi i casi di contestazione rimessi ad atti successivi a quelli introduttivi
del giudizio) “In piena coerenza con la struttura del processo che, nel rito
del lavoro, è finalizzata a far si che all’udienza di discussione la causa
giunga delineata in modo compiuto, quanto ad oggetto ed ad esigenze
istruttorie, secondo un modello non estraneo, ormai, come nota autorevole
dottrine, neanche al rito ordinario, improntato, dopo la riforma del 1990, a
finalità di chiarezza e semplificazione rese palesi dal concatenamento fra la
fase diretta alla chiarificazione della posizione delle parti e la fase della
formulazione delle richieste istruttorie” (cfr. in
tali sensi Cassazione, Su, 761/02, cui adde
successivamente, Cassazione 1562/03; Cassazione 535/03).

4.1.Gli enunciati principi, che si pongono
in linea con il rigoroso sistema
delle preclusioni dettato dal legislatore del 1973 (che ha disegnato un
coerente sistema ispirato ai principi di concentrazione, immediatezza ed
oralità, propugnati da autorevole dottrina processualistica)
e che si presentano come passeggio obbligato per una effettiva funzionalità
dell’intero sistema incentrato sulle preclusioni e sulle decadenze di cui agli
articoli 414 Cpc e 416 Cpc(sistema
che trova piena legittimazione costituzionale nel carattere paritario della
disciplina difensiva dell’attore e del convenuto, giusta quanto evidenziato da Corte
costituzionale 13/1977), sono stati ribaditi di recente da altra pronunzia
delle Su, che ha messo in evidenza come il principio della non contestazione
del “fatto costitutivo del diritto” sia funzionalizzato
alla predisposizione dell’udienza di discussione, in cui si completa quello che
è stato definito “Il quadro complessivo” della materia in giudizio,in relazione
al quale è possibile condurre le necessarie indagini istruttorie onde pervenire
alla decisione con celerità (anche,
cioè,nella stessa udienza, definita alla stregua di quanto disposto dall’articolo
420 Cpc.”tendenzialmente unica”)(cfr. al riguardo Cassazione, Su, 11353/04). In tale contesto ricostruttivo i giudici
di legittimità hanno anche sottolineato – con argomentazioni in verità capaci
di assumere portata generale a seguito della novella 353/90 (o delle modifiche
conseguenti alla legge 534/95) e di certo improntate anche ad una ineludibile
tutela della certezza, celerità ed economia dei giudizi- come nel rito del
lavoro si riscontri tra oneri dì allegazione, oneri di contestazione ed oneri
di prova una indubbia circolarità, con reciproco condizionamento, come è
attestato dall’evidenziata impossibilità
di richiedere la prova oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito
su fatti non allegati nonché su circostanze che, pur configurandosi come
presupposti del diritto azionati, non siano stati esplicitati in modo specifico
nel ricorso introduttivo del giudizio(cfr. Cassazione,Su,11353/04,cit.).
Circolarità questa che, seppure con distinte modalità espressive, viene riconosciuta in
dottrina allorquando si sottolinea, al fine di un dinamico ma nello stesso
tempo razionale svolgimento del processo, la necessaria correlazione che lega
l’attività di deduzione delle prove (attività istruttoria) all’attività di
introduzione dei relativi fatti da provare (attività assertiva).

4.2. Gli enunciati principi segnano i
confini entro i quali dove trovare composizione il contrasto in esame, in
ragione del rispetto della invocata funzione nomofillattica di questa Corte, che verrebbe a subire un
grave vulnus se a fronte ai suddetti principi si finissero per introdurre
incoerenze sistematiche, sicuramente riscontrabili in una ricostruzione della
dinamica processuale che, a fronte di una estrema rigorosità nella
determinazione dei tempi di indicazione (precisazione o modificazione) degli
elementi (di fatto e di diritto) posti a base della domanda, e delle eccezioni
(processuali e di merito) della controparte (cfr. articoli
414 n. 4 e 416 per il rito del lavoro; ad articoli 163 n. 4, 166, 183 e 184 per
il rito ordinario), si finissero poi per avallare opzioni ermeneutiche volte –
senza un sicuro approdo a chiari precetti normativi – ad affrancare le
produzioni documentali da preclusioni operative per tutte le restanti prove.

4.3. Ai fini decisori va da ultimo
rimarcato che -pur non potendosi di certo attraverso il sistema delle
preclusioni ledere il diritto di difese della parti e
la ricerca della verità materiale- la garanzia della “ragionevole durata del
processo” (riconosciuta come diritto dall’articolo 6 della Convenzione europea
ed ora espressamente sancita dall’articolo 111, comma 2, Costituzione), debba
fungere come parametro di costituzionalitá delle
norme processuali per essere oggetto “oltre che di un interesse collettivo, di
un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelate non meno di quello di
un giudizio equo ed imparziale”(così da ultimo Corte costituzionale 79/2002),
con la conseguenza che l’opera ermeneutica del dato normativo deve
accompagnarsi – come è stato osservato da quanti si sono confrontati proprio
con le problematiche in questa sede esaminate- alla consapevolezza che i
termini acceleratori e le preclusioni volte ad impedire l’ingresso nel processo
di un fatto e/o di una prova sono funzionalizzati
proprio e tutelare il suddetto principio della “ragionevole durata” e quello,
ad esso correlato, dell’“economicità” del giudizio.

5. E’ generalizzata in dottrina ad in giurisprudenza la distinzione delle prove in prove
costituite e prove costituende, per caratterizzarsi, le prime (come le prove
documentali) per la loro formazione al di fuori del processo (e, di solito,
prima di esso) e per l’acquisizione nel processo attraverso un mero atto di
esibizione, e le seconde (come le prove orali: prove testimoniali, confessione,
giuramento, ecc.) per formarsi, di contro, nel processo, come risultato
dell’attività istruttoria a seguito di una istanza di parte e di conseguenziale provvedimento di ammissione dei giudice.

5.1 Orbene,la
diversa regolamentazione tra prove costituite e prove costituende –
concretizzatesi nel riconoscimento di spazi più ampi (anche se indicati, nel variegato panorama
dottrinario e giurisprudenziale, in
termini non sempre coincidenti) di ingresso nel processo per le prime -viene
fondata sostanzialmente su un duplice ordine di argomenti.

Il primo di carattere letterale fa
lava sulla distinta menzione di “mezzi di prova” (articolo 343, comma 3, per il
rito ordinario; articolo 420, commi 5 e 7, articolo 421,
comma 2, articolo 437, comma 2, per il rito del lavoro). Identificati con le
prove costituende, e del termine “documenti”(articolo 163 n. 3, articolo 167,
comma 1, articolo 184 per il rito ordinario; articolo 414 n. 5, 416, comma 2,
per il rito del lavoro), da identificarsi, invece, con le
prova costituite. Il secondo dì carattere logico-sistematico viene ravvisato nella diversa ricaduta delle due differenti
categorie di prove sulla durata del processo, per non necessitare le prove
precostituite dì nessuna attività istruttoria capace dì ritardare l’esito della
controversia.

5.2.- Le argomentazioni suddette,
evocate ripetutamente in numerosi pronunziati (cfr. tra
le tante: Cassazione, 10179/02;
Cassazione, 15197/00, cit; Cassazione 1359/93; Cassazione, Su, 9199/90 cit., cui adde, in epoca più risalente, Cassazione 2654/78;
Cassazione 2835/97;Cassazione 3503/76), sono state sottoposte di recente a
revisione oltre che dal ricordati pronunziati anche dalla dottrina che, con
voce quasi unanime, ha ritenuto che la produzione documentale viva delle stesse
preclusioni previste per le prove costituende, con considerazioni che questa
Corte ritiene di condividere.

5.3. La
sottolineatura operata da più parti della distinzione codicistica tra “mezzi di
prova” (i soli che sarebbero ammessi al vaglio dell’ammissibilità), e
“documenti” (che sarebbero, invece, assoggettabili unicamente al giudizio di
rilevanza), per inferirne in via argomentativa una
diversa incidenza delle preclusioni – scaturenti dall’imposizione di termini
perentori o decadenze sull’indagine istruttoria(con conseguente sottrazione
della produzione documentale al dietum dell’articolo
345, comma 3, e 437, comma 2, Cpc), oltre a non
tenere conto che, non certo di rado, lo stesso legislatore codicistico
parla di “mezzi di prova” e di “ammissione” degli stessi anche con riferimento
alla produzione documentale (cfr. articolo 698 Cpc sull’assunzione delle prove preventive, articolo 495,
comma 3, Cpp che, regolando i provvedimenti del giudice in ordine alla prova,
statuisce espressamente: “Prima che il giudice provveda sulla domanda, le parti
hanno facoltà di esaminare i documenti di cui è chiesta l’ammissione”)non
assegna, per di più, il dovuto valore all’opinione di chi, autorevolmente,
nell’ambito della dottrina processuallistica, ha
rimarcato come anche la prova documentale sia un “mezzo di prova”, perchè tutte
le prove sono “mezzi”, cioè strumenti per asseverare quanto assunto dalle parti
nei loro atti difensivi, perchè in senso tecnico l’espressione “mezzi di prova”
sta, appunto,ad indicare “le persone o le cose da cui si vogliono trarre
elementi di conoscenza utili alla ricerca della verità”.

Ed in una medesima ottica si è
affermato che i documenti configurano una specie, sia pure particolare, del genus “mezzi di prova”, evocandosi a sostegno di tale
assunto il disposto dell’articolo 163 n. 5, sopravvissuto alle novelle del 1950
e del 1990, che (con formula analoga a quella degli articoli 414 n. 5, e 416,
comma 3) prevede che l’atto dì citazione deve contenere “l’indicazione
specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi ed in
particolare dei documenti che offre in comunicazione”,,
sicchè è lecito concludere che il legislatore ha
adottato una nozione di “mezzi di prova” comprensiva dei documenti, i quali ne
costituiscono, appunto, una species (“in
particolare”).

Il dato letterale, cui è stato
assegnato una pregnante portata contenutistica, viene così a trovare la sua
ratio in ragioni che tale portata non giustificano per risalire unicamente al
distacco temporale tra il momento della produzione di documenti e quello
dell’ammissione, come è significativamente attestato
dall’articolo 87 disp. att. Cpc che – in relazione ai documenti offerti in
comunicazione dalle parti dopo la loro costituzione – dispone il deposito in
cancelleria con la comunicazione del relativo elenco alle altre parti ex
articolo 170, ult. comma, Cpc non certo per escludere un giudizio sulla loro
ammissibilità (la cui richiesta è implicita nella stessa produzione), ma per
consentire che anche su di cosa venga assicurato un effettivo contraddittorio.

Merita,dunque,
pieno consenso l’assunto secondo cui la distinta menzione dei “documenti”
(oggetto di produzione) e “mezzi di prova” (oggetto di richiesta di ammissione)
(cfr. articoli 184 e 345, questo nel testo anteriore
alla legge 581/50) ed il parallelismo con cui questi strumenti vengono disciplinati
(parallelismo presente anche nell’articolo 416, comma 3, Cpc)
sono di fatto determinati “dal particolare meccanismo che la richiesta di prova
per documenti comporta la produzione dell’atto, come fatto che materialmente
precede, e necessariamente implica e formalmente esprime, questa
richiesta”(così: Cassazione 775/03 cit.).

5.4. Nè per
andare in contrario avviso per legittimare un meno rigoroso impatto delle
preclusioni sulla prova documentale vale richiamarsi alla esigenza
di particolare celerità e di concentrazione (che con il nuovo rito il
legislatore ha voluto soddisfare) per poi dedurne che dette esigenze non
sarebbero messe in pericolo dalla produzione ed acquisizione di nuovi documenti
in quanto prove già costituite. E’ opinione generale che la produzione di nuovi
documenti, pur non richiedendo un procedimento di assunzione,
può determinare un prolungamento della attività processuali. Ed invero, al di là del fatto che la produzione di un atto pubblico o
di una scrittura private può determinare giudizi di per nè
lunghi e complessi a seguito dei procedimenti per querela di falso o di istanza
di verificazione, il richiamo alle esigenze di celerità sembra concretizzare
soprattutto un intento meramente evocativo perchè, come è stato autorevolmente
notato, ogni volta che consenta ad una parte una acquisizione nel processo di
una nuova produzione documentale il giudice non può – in ossequio del diritto
di difese e del principio del
contraddittorio – negare alla controparte la possibilità di dedurre i mezzi di
prova resisi necessari in relazione ai documenti prodotti, pur se comportanti
l’espletamento di una attività istruttoria Incompatibile con quella esigenze di
celerità o concentrazione del processo, che invece si vorrebbe non essere
intaccati dalla tardiva produzione.

6. Quanto sinora esposto offre le
coordinate nel rispetto delle quali deve procedersi per individuare – con una
coerenza logica importante una indifferenziata
soluzione per ogni tipo di prova – i termini processuali entro i quali è consentito
nel rito dei lavoro l’ingresso ad istanza istruttorie e, pertanto, anche la
produzione di documenti.

6.1. Ed invero, nell’indicato quadro ricostruttivo, il combinato disposto dell’articolo 416,
comma 3 – che stabilisce
tra l’altro che il convenuto deve, come si é già ricordato,
indicare “a pena di decadenza”. i mezzi di prova dei
quali intendo avvalersi, ed “in particolare modo i documenti che deve
contestualmente depositare”(onere probatorio gravante anche sull’attore per il
principio di reciprocità fissato dal giudice delle leggi con la decisione
13/1977; cfr. al riguardo Cassazione, Su, 11353/04, e
fra la altre Cassazione 5526/02 cit.) e dell’articolo 437, comma 2 (proiezione
e specificazione delle preclusioni già emergenti dall’articolo 416, comma 3, e
420, comma 5.e 7) – che a sua volta esclude l’ammissione di “nuovi mezzi di
prova”(nei quali devono annoverarsi anche i documenti: cfr. al
riguardo in tali sensi: Cassazione, 15716/00 induce a fissare il principio di
diritto che “omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo
grado, dei documenti e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale
atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti
stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro
formazione o dell’evolversi delle vicenda processuale successivamente al
ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio a seguito di
riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo)”.

6.2.Nel caso in esame il mancato rispetto dì
termini perentori e decadenziali, intesi a
regolamentare la dinamica processuale in funzione propulsiva, importa
l’irreversibilità dell’estinzione del processuale diritto di produrre il documento con l’insuscettibilità dì una sua riviviscenza in un successivo
grado di giudizio(così:Cassazione, 775/03, cit.).

Ed, infatti, l’inosservanza degli
oneri correlati al rispetto dei suddetti termini, impedisce il verificarsi di
“movimenti a ritroso”, perchè le preclusioni si presentano quali conseguenze,
di regola definitive,dell’inadempimento di specifiche
e ben individuate condotte, che operano sul versante processuale con gli stessi
effetti.

Conclusione questa che trova decisivo
avallo nella considerazione che si è in presenza di un
fenomeno per il quale può attagliarsi – in ragione degli interessi coinvolti
non disponibili dalle parti processuali (in relazione al quali si è parlato di
“ordine pubblico processuale” – la definizione data dalla dottrina processualistica al termine perentorio, visto “come fatto
giuridico strutturalmente autonomo caratterizzato da una propria efficacia di
tipo estintivo”. Per di più non è suscettibile di alcuna riserva l’ulteriore rilievo, fatto proprio dalla
stessa dottrina, che la decadenza produce la perdita, estinzione o consumazione
di una facoltà processuale, con esiti di regola irreversibili, perchè il solo
strumento tecnico idoneo a rimuovere detti esiti – la cd. restituzione o
remissione in termini – è configurato nel nostro ordinamento se non in
determinate ipotesi particolari.

7. Ragioni di completezza
argomentativi impongono, infine, una riflessione sull’opinione di quanti patrocinano la non estensione alla produzione documentale
della barriere temporali riguardanti gli altri <mezzi di prova>, mettendo
in risalto come un sistema rigoroso di preclusioni possa ostacolare la ricerca
della <verità materiale>, cui è doverosamente funzionalizzato
il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della
natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento.

Ed invero, al di là
del pur assorbente rilievo che proprio lo spessore a livello
costituzionale dei suddetti diritti impone risposte giudiziarie improntate a
celerità – come è attentato significativamente a livello normativo
dall’introduzione di ordinanze anticipatorie ex
articolo 423 Cpc cui fa riscontro nella pratica
giudiziaria una innegabile incentivazione del procedimenti cautelari – va
rimarcato come la preoccupazione di addivenire a soluzioni distanti dalla
realtà fattuale, non sempre esternata (ma di certo costantemente sottesa
all’opinione in esame), venga in buona misura ammortizzate dal1’attribuzione al
giudice d’appello di incisivi poteri d’ufficio, in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova
ove essi siano “indispensabili al fini della decisione della causa” (articolo
437, comma 2, Cpc),con un opportuno contemperamento
del principio, dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale,
<di guisa che, allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati
di indagine, il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non
può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio
fondata sull’onere della prova, ma ha il potere dovere di provvedere d’ufficio
agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare
l’incertezza del fatti costitutivi dei diritti in contestazione,
indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenza in danno delle
parti”(cfr. in tali sensi Cassazione, Su, 11353/04,
Cassazione, Su 761/02 cit.).

7.1.A ben vedere proprio i poteri dì
ufficio del giudice del lavoro – che non possono però essere esercitati con
riferimento a fatti non allegati dalle parti e non emersi nel processo a
seguito del contraddittorio delle parti stesse (cfr. Cassazione, Su, 11353/04
cit.) – segnano in modo accentuato la cd. “specialità”
del rito del lavoro e portano, per altra via, ad evidenziare come si vogliano accreditare a livello normativo forme di tutela
(processuale) differenziata delle situazioni soggettive, in ragione di un
opportuno adattamento delle regole del rito alla concrete e molteplici
situazioni sostanziali implicate nel giudizio, con il conseguenziale
formarsi di ordinamenti processuali – come quello, appunto, introdotto dalla
legge 533/73(in materia di controversie del lavoro) nonchè
quello disegnato dal D.Lgs 546/92(in materia di
controversie tributarie), ed ancora quello ora regolato dal D.Lgs
5/2003 (in materia di controversie di diritto societario) – che, seppure con
qualche approssimazione, possono qualificarsi “settoriali”, e che trovano
peculiari e specifici tratti distintivi – rispetto al processo ordinarlo ed
anche tra loro – proprio per la diversa individuazione del punto di equilibrio
tra le esigenze di celerità e quelle di accertamento della verità materiale.

8. Per concludere,
il ricorso, alla stregua di quanto sinora detto, va rigettato perchè la
sentenza impugnata – con il non dare ingresso alla prova documentale prodotta
dagli eredi dell’assicurato stante la sua tardiva esibizione – è pervenuta a
conclusioni conformi al diritto anche se con motivazione, che va corretta nei
termini innanzi esplicitati nell’esercizio dei poteri attribuiti a queste Su ex
articolo 384, comma 2,Cpc.

Nessuna statuizione può essere presa in relazione alle spese del presente giudizio di cassazione
per la natura della controversia, non essendosi in presenza di una pretesa
manifestamente infondata e temeraria (articolo 152 disp.att
Cpc).

PQM

La
Corte
rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.