Civile
Amministrazione di sostegno e interdizione-inabilitazione. La poca chiarezza della formulazione legislativa, e dei rapporti tra gli istituti, porta il Tribunale di Venezia, Sezione distaccata di Chioggia, a sollevare questione di costituzionalità ORDINANZ
Amministrazione di sostegno e interdizione-inabilitazione. La poca chiarezza della
formulazione legislativa, e dei rapporti tra gli istituti, porta il Tribunale
di Venezia, Sezione distaccata di Chioggia, a
sollevare questione di costituzionalità
ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 Novembre 2004 –
19 Novembre 2004, n. 206
Ordinanza emessa il 19 novembre 2004
dal giudice tutelare del tribunale di Venezia sez. distaccata di Chioggia atti relativi a A. L. Capacita’
giuridica e di agire – Amministrazione di sostegno – Presupposti di applicabilita’ ed effetti – Potenziale coincidenza con
quelli dell’interdizione e dell’inabilitazione (tuttora vigenti) – Mancanza di
chiari criteri di discriminazione del nuovo istituto da quelli tradizionali –
Irragionevolezza – Devoluzione all’arbitrio del giudice della scelta della
misura di protezione da applicare all’incapace – Incidenza sulla sfera dei
rapporti economici e dei traffici giuridici. – Cod. civ., artt. 404, 405, nn. 3 e 4, e 409. – Costituzione, artt. 2,
3, 4, 41, primo comma, e 42. Capacita’
giuridica e di agire – Amministrazione di sostegno – Disciplina – Modalita’ di risoluzione delle eventuali divergenze fra
giudice dell’interdizione e giudice tutelare in ordine all’applicabilita’ dell’amministrazione di sostegno ovvero
dell’interdizione – Mancata previsione – Irragionevolezza – Contrasto con il
principio di soggezione del giudice alla legge. – Cod.
civ., artt. 413, ultimo comma, e 418, ultimo comma. – Costituzione,
artt. 2, 3, 4, 41, primo comma, 42 e 101, comma secondo.
(GU n. 16 del 20-4-2005 )
IL TRIBUNALE
Letta la sentenza
n. 1841/04, con la
quale il Tribunale di
Venezia ha
revocato lo stato di interdizione
in cui versava A. L.,
nata a Fiesso
d’Artico in data 1° gennaio 1958, attualmente residente
in
Sottomarina di Chioggia, cosi’
in particolare sul presupposto che
nel
corso dell’esame la
stessa «ha reso dichiarazioni di
per se’
evidenzianti
il suo rilevantissimo miglioramento
relazionale,
comprovato
dall’inserimento della stessa
nell’attivita’
della
indicata
struttura alberghiera di
Sottomarina (cfr. anche
dichiarazioni del marito P. N., nominato tutore
dal g.t. di Dolo il 2
ottobre
2003)», ed ha
contestualmente rigettato la
richiesta,
avanzata dal p.m. ricorrente, di inabilitare
la prevenuta, disponendo
invece
la trasmissione degli
atti al g.t. per
l’apertura del
procedimento
ex art. 404 c.c., e
un tanto previa
nomina di un
amministratore
provvisorio di sostegno,
pronuncia la seguente
ordinanza:
Il giudice rimettente
argomenta la rimessione
in parola
sostenendo
che «non sia
opportuno sostituire l’istituto
dell’interdizione con un
altro strumento di protezione rigido quale
l’inabilitazione, dovendosi valutare il caso di specie alla
luce dei
principi
della legge n. 6/2004
che (all’art. 414 c.c., richiamato
dall’art. 415 c.c.)
evidenziano la preferenza normativa accordata
allo
strumento duttile e
flessibile, personalizzabile
sulla base
delle
esperienze del beneficiario, della
amministrazione di
sostegno».
In sintesi, nel pensiero del giudice rimettente e’
implicita la
conclusione
che ai fini della tutela della A. e in particolare sulla
base
delle riferite premesse, sia in
punto di fatto sia esegetiche,
non
sia opportuna una
misura inabilitativa, all’opposto essendo
sufficiente
il sostegno di
un amministratore di pubblica
nomina,
secondo
le modalita’ e
con gli effetti
del nuovo istituto di
protezione
delle persone prive
in tutto o in parte di autonomia,
siccome
introdotto, a modifica del c.c., dalla legge 9
gennaio 2004,
n. 6.
Il giudice rimettente,
peraltro, sembra fare
discendere la
propria
decisione di non
inabilitare la A. da un mero giudizio di
opportunita’
collegato a una supposta preferenza legislativa desunta
in sede interpretativa, non gia’ da una valutazione in concreto della
qualita’
e gravita’ della malattia psichica della
prevenuta, e della
misura
della sua incidenza sulla capacita’
di cura degli interessi
personali.
Dal dispositivo
del provvedimento di rimessione, con il quale si
assegna
all’amministratore
provvisorio il potere
assistere medio
tempore
la A. in
tutti gli atti di straordinaria amministrazione,
emerge
altresi’
la tesi implicita
che gli effetti
di tutela
patrimoniale
garantiti
dall’amministrazione di sostegno
possono
coincidere,
ove necessario, con
quelli assicurati
dall’inabilitazione.
E’ del resto
proprio questa la conclusione esegetica che viene
accolta
presso questo foro e in sede di
formazione decentrata (cfr.
relazione
incontro di studio
10 maggio 2004 presso Tribunale di
Venezia, pag. 11).
In effetti, la
norma che regola
l’inabilitazione (e
l’interdizione) e
quella che regola
l’amministrazione di sostegno,
sembrano
in certa misura
sovrapporsi, fino al
punto da poter
coincidere,
e un tanto sia dal lato della fattispecie condizionante,
sia dal lato della statuizione
condizionata:
a) Dal
lato della fattispecie: l’esegesi dell’art. 404 c.c.
consente
de plano di affermare che
l’amministrazione di sostegno e’
applicabile
(non solo, ma)
anche nel caso di incapacita’ totale e
permanente
del beneficiario di
provvedere ai propri interessi per
infermita’
o menomazione psichica, secondo una formulazione che di
fatto
coincide con quella della incapacita’ di provvedere ai propri
interessi
indotta da abituale
infermita’
di mente richiesta
dall’art. 414 c.c. per l’interdizione.
In particolare, posto che l’incapacita’
psichica del beneficiario
dell’amministrazione di
sostegno puo’
anche essere totale, proprio
come
per l’interdetto, la maggiore o minore gravita’
dell’infermita’
psichica
non discrimina necessariamente tra
questi primi due
istituti.
Inoltre, una incapacita’ psichica
parziale o sicuramente
transeunte,
e per questo meno grave, puo’ dare ingresso,
non venendo
in
rilievo all’interno di
questa categoria una ulteriore scala di
gravita’,
sia all’amministrazione di sostegno sia (ex art. 415 c.c.)
all’inabilitazione, sulla
base, come nel caso di specie, di un mero
giudizio di opportunita’
svincolato dal riferimento a dati obiettivi.
b) Dal lato degli effetti: la nuova
disciplina delle «misure
di
protezione» fa salvo il potere del beneficiario di compiere:
1)
gli
atti (giuridici e non?) necessari a soddisfare le esigenze della
propria
vita quotidiana, 2) gli atti
(giuridici) che non richiedono
l’assistenza necessaria o
la rappresentanza esclusiva
dell’amministratore di
sostegno, ma secondo
l’interpretazione
corrente degli artt. 405, n. 3 e 4, e 409 c.c., interpretazione della
quale
il provvedimento di
rimessione costituisce sintomo
punto
isolato,
la «protezione» puo’ essere cosi’ estesa
da imporre, ove
necessario,
la presenza dell’amministratore di sostegno, vuoi come
rappresentante
vuoi in funzione
di integrazione della volonta’
dell’assistito, in pressoche’
tutti gli atti sub 2).
Nel caso di
specie, in particolare,
il provvedimento di
rimessione
si limita ad attribuire all’amministratore provvisorio il
potere
di integrare con
la propria volonta’ tutti
gli atti di
straordinaria
amministrazione
eventualmente compiuti dalla
beneficiaria, atti che in
difetto di tale integrazione
sarebbero
pertanto invalidi.
Proprio questo
dimostra che gli effetti di due distinti istituti
di
protezione – in questo caso: A.
di S. e inabilitazione – possono
di fatto coincidere, posto che anche il
giudice tutelare, in presenza
di
una infermita’
psichica non grave in capo al beneficiario, puo’,
come
il giudice dell’inabilitazione, limitarsi
a individuare una
maxi-tipologia
di atti, ossia
quelli di straordinaria
amministrazione,
per i quali
e’ sufficiente l’assistenza
dell’amministratore di
sostegno, lasciando per il resto intatta
l’autonomia giuridica del soggetto
bisognoso di tutela.
In definitiva, le disposizioni sopra richiamate danno luogo,
in
assenza di criteri discriminanti espressi e
chiaramente desumibili, a
tre
fattispecie normative che,
nella misura e nei termini sopra
precisati, irragionevolmente coincidono.
E’ ben vero,
peraltro, che in forza dell’art.
414, cosi’ come
modificato
dalla legge n. 6/2004, la misura
dell’interdizione (e si
deve
presumere anche quella
della inabilitazione) deve
essere
applicata
solo quando cio’ e’ necessario
ad assicurare all’infermo
adeguata protezione, ma si tratta di un
criterio discriminante muto.
Cosi’ muto
che il giudice
rimettente lo ha
tradotto in un
giudizio
di opportunita’
non ancorato a una valutazione in concreto
della residuale capacita’
del soggetto bisognoso di tutela.
In effetti, la necessita’ di una
misura di protezione si deve
valutare
apprezzando la congruita’ del mezzo (l’ampiezza tipologica
degli
atti che richiedono l’assistenza o la rappresentanza) rispetto
alla
situazione (la gravita’ dell’incapacita’ del
soggetto di
provvedere ai propri interessi, ossia di
compiere in modo consapevole
e ponderato quegli atti) cui deve
sopperire.
Nondimeno, se il presupposto della amministrazione di
sostegno,
ove
consista nella totale
e permanente incapacita’
psichica del
beneficiario,
e i relativi
effetti, ove al
beneficiario venga
precluso
il compimento da se solo di qualunque atto di ordinaria e
straordinaria
amministrazione, di fatto
coincidono con quelli
dell’interdizione, si
deve allora concludere che l’interdizione non
e’ mai necessaria.
Mutatis mutandis (incapacita’ psichica
meno grave,
amministrazione
di sostegno meno
invasiva nei suoi
effetti
preclusivi),
si deve pervenire
alla medesima conclusione
per
l’istituto dell’inabilitazione.
In sostanza, ed
e’ proprio questa
una tesi che
e’ stata
autorevolmente
sostenuta in dottrina,
la novella, piu’ che una
parziale
duplicazione di fattispecie, conterrebbe di fatto una sorta
di
abrogazione non dichiarata dell’interdizione e
dell’inabilitazione, a
cui sarebbe assegnato
una funzione
assolutamente
marginale e residuale,
dovendo essere il giudice a
riempire di contenuti il muto criterio della
«necessita».
Quella stessa dottrina
ha in particolare suggerito la tesi che
l’interdizione (e l’inabilitazione?) sarebbe necessaria, in
presenza
ovviamente
degli ulteriori presupposti,
solo nel caso
in cui
l’incapace risultasse titolare di un
ingente patrimonio.
Rileva in proposito
questo giudice che la dietrologia
(il
legislatore
non ha avuto il coraggio di andar
fino in fondo, non si
e’
sentito di abrogare formalmente i
vecchi istituti di tutela) non
puo’
costituire il filo
conduttore dell’opera interpretativa,
necessariamente
in chiave sistematica,
del nuovo piu’
articolato
sistema
di protezione degli incapaci (e di tutela della buona fede
dei terzi che vengono in relazione
giuridica con gli stessi); e che a
tal
fine, non gli
e’ consentito fare
finta che gli
istituti
dell’interdizione e
dell’inabilitazione siano stati
praticamente
espulsi dal nostro ordinamento.
Lo vieta infatti il principio istituzionale di legalita’, che nel
nostro
ordinamento costituzionalizzato
regge come una architrave la
funzione giurisdizionale.
Peraltro, se la
soggezione del giudice
alla legge impone
all’organo giudicante
di tener conto,
in concorso dei relativi
presupposti, di tutti gli istituti di protezione
degli incapaci privi
di autonomia introdotti, mantenuti o
modificati dal legislatore, cio’
richiede
che la scelta dello strumento di
«tutela» da applicare non
sia
di fatto lasciato, in assenza di chiari confini tra le
diverse
fattispecie,
al libero arbitrio
dell’organo giurisdizionale, in
particolare
in una materia potenzialmente
lesiva, e in sommo grado,
della sfera di liberta’
e di autodeterminazione dei singoli.
Ne possono infatti
risultare compromessi supremi
valori
costituzionali
quali quelli fissati
negli art. 2, 3
e 4 della
Costituzione nonche’ violati gli
ulteriori parametri di principio con
i
quali di seguito
la Carta garantisce il pieno dispiegarsi della
personalita’
nella sfera dei
rapporti economici e dei
traffici
giuridici: art. 41, primo comma, e 42, secondo
comma.
E cosi’ tanto piu’ in quanto il nuovo istituto di protezione,
dagli
effetti potenzialmente simili a quelli dell’inabilitazione o
della
stessa interdizione, in entrambi i casi anche in concorso di
una
limitata incapacita’
psichica, sono stati affidati a un giudice
unico
(g.t.)
e a un
provvedimento che non si
consolida mai in
giudicato,
essendo sempre modificabile
(anche in peius sotto il
profilo
degli effetti preclusivi)
e meramente reclamabile, cosi’
privando
il «beneficiario», con un risultato paradossalmente inverso
a
quello di maggior tutela prefissosi dal legislatore della novella,
delle maggiori garanzie, sia pure non di
rango costituzionale, insite
nella
collegialita’
e nell’appellabilita’ che
caratterizzano i
procedimenti di interdizione e inabilitazione.
La mancata
indicazione di chiari criteri selettivi ha dato luogo
pertanto
a una
duplicazione irragionevole di
fattispecie che
risultano
parzialmente fungibili, e rendono piu’
precaria e incerta,
di
fronte al potere
dell’organo giurisdizionale che e’ tenuto a
somministrare la misura, la condizione del
soggetto incapace privo di
autonomia.
E’ evidente
peraltro che la denunciata irragionevolezza verrebbe
meno
in radice, ove
fosse possibile interpretare
l’istituto in
parola,
ed in particolare gli artt. 404,
405, n. 3 e 4, e 409 c.c.,
nel
senso della sua applicabilita’
alle sole ipotesi di infermita’
psichica meno
gravi di quelle che giustificano l’interdizione e
la
stessa
inabilitazione,
derivandone,
conseguentemente,
l’adottabilita’,
da parte del g.t., di misure
limitative della
autonomia
giuridica del soggetto incapace non gia’ ad
ampio spettro,
come
devono considerarsi anche
quelle che si
riflettono
indistintamente
come nel caso
di specie su
tutti gli atti di
straordinaria
amministrazione, all’opposto davvero
mirate a
specifiche categorie di atti se non ad atti
singoli.
L’indirizzo interpretativo corrente, di cui il provvedimento di
trasmissione
degli atti in parola e’ sintomatico, non consente pero’
questa
soluzione esegetica, e
rende rilevante nel caso di specie,
gia’
in astratto, la sollevata
questione di costituzionalita’ delle
disposizioni in parola.
Detta rilevanza puo’, peraltro,
essere apprezzata anche
in
concreto:
posto che dalla
documentazione medica allegata
alla
richiesta
di riesame dell’originario
provvedimento di interdizione,
documentazione nella quale, tra l’altro, si legge
che la Angi «appare
oggi
senz’altro in grado
di curare i propri interessi attinenti
all’ordinaria amministrazione», emerge
comunque un quadro clinico
sufficientemente grave da indurre il g.i. rimettente, come si e’ gia’
rilevato,
a precluderle il valido
compimento da se’ sola pressoche’
di ogni atto di straordinaria
amministrazione.
Su questa base, chi scrive deve dunque decidere se
ricorrono in
punto
di fatto i
presupposti richiesti per
l’A. di S. o,
in
alternativa,
se una interpretazione costituzionalmente orientata
dell’istituto in
parola, e cosi’ nei termini
sopra precisati, gli
imponga
di utilizzare in
via immediata e preventiva i poteri di
sollecitazione
del giudizio (in
questo caso di un nuovo giudizio)
inabilitativo attribuitigli dall’ultimo comma
dell’art. 413 c.c.
Vi sono peraltro, a parere di questo giudice,
ulteriori profili
di
irragionevolezza,
potenzialmente perniciosi per la liberta’ del
soggetto
«incapace», e dunque
per i valori
e i parametri sopra
richiamati, nella disciplina introdotta dalla
novella.
In particolare:
a) in
base al novellato
art. 418, c.c., se il
giudice
dell’interdizione e
dell’inabilitazione ritiene, nel
corso del
relativo
procedimento, che non esistono i
presupposti per applicare
la
relativa misura di
protezione, ma gli appare opportuno che sia
applicata
l’amministrazione di sostegno, dispone, come nel caso di
specie,
la trasmissione del procedimento
al giudice tutelare e puo’
nominare
medio tempore un’amministrazione
di sostegno indicando gli
atti che e’ autorizzato a compiere;
b) in
base all’ultimo comma del
novellato art. 413 cc., il
giudice
tutelare provvede, anche
d’ufficio, alla dichiarazione di
cessazione
della materia dell’amministrazione di
sostegno quando
questa
a suo parere si sia rivelata inidonea a realizzare
la piena
tutela
del beneficiario, e in tale
ipotesi, se ritiene che si debba
promuovere
giudizio di interdizione o di
inabilitazione, ne informa
il pubblico ministero, affinche’ vi provveda.
In sostanza, il
nuovo sistema di protezione e’
affidato a due
distinti organi giudiziari (il giudice
dell’interdizione/inabilitazione e
il giudice tutelare)
che sono
chiamati
a gestire lo stesso caso umano, ciascuno sulla base
della
propria
idea riguardo ai
criteri selettivi (quando e’
necessaria
l’interdizione o
l’inabilitazione?; quando l’amministrazione di
sostegno
non e’ adeguata?) che contraddistinguono le
fattispecie e
relative misure rispettivamente e
autonomamente amministrate.
Le disposizioni in esame non
indicano pero’ quale
dei due
soggetti, in caso di divergenza, debba
prevalere.
Il giudice dell’interdizione/inabilitazione non puo’ infatti
obbligare
il giudice tutelare
a nominare un
amministratore di
sostegno
(ove il g.t.
reputi che tale misura sia inadeguata); a sua
volta
il giudice tutelare
non puo’ imporre
al giudice
dell’interdizione e
dell’inabilitazione
l’adozione di tali misure
(che il Presidente o il g.i. o il Collegio reputino non necessarie).
Per ovviare al
corto circuito giudiziario che
tale situazione
puo’
produrre, innescato dalla
mancanza di una
disposizione
processuale
di coordinamento ad hoc
ed esasperata dall’assenza di
chiari criteri selettivi, si e’ non a caso
suggerito di introdurre la
prassi,
che non trova
peraltro appiglio in
nessuna specifica
disposizione processuale, che uno dei due giudici
in parola (nel caso
di
specie ad es.
il g.i.) acquisisca
preventivamente il parere
dell’altro
organo (nel caso
di specie il g.t.) in ordine alla
sussistenza,
secondo quest’ultimo, dei
presupposti richiesti per
l’adozione delta misura che gli compete
di somministrare (nel caso di
specie l’A. di S.).
Come dire: una
concertazione preventiva che da’
luogo ad un
inammissibile anticipazione di giudizio.
Tale suggerimento
e’ tuttavia il sintomo di un reale problema di
coordinamento,
atteso che in
questo vuoto omissivo (il g.t.
non
nomina
l’amministratore di sostegno,
il giudice
dell’interdizione/inabilitazione non interdice ne’ inabilita, etc.),
puo’ finire come in tritacarne lo stesso
«beneficiario!», sballottato
da
un organo giudicante
all’altro in attesa
di una decisione
(relativamente definitiva) sul suo caso.
Ne’ d’altra
parte si vede per quale ragionevole motivo, salvo un
improponibile
stare decisis, il g.t.
a cui siano stati trasmessi gli
atti, come nel caso di specie ai sensi
dell’ultmo comma dell’art. 418
c.c.,
e che fin
da subito reputi
non adeguata la
misura
dell’amministrazione di
sostegno, e cosi’ sulla
base del quadro
diagnostico
dagli stessi emergente
ictu oculi, debba
adottare per
intanto
una misura particolarmente incisiva, praticamente
identica
negli
effetti a quelli
derivanti dall’interdizione o
dalla
inabilitazione,
una misura che proprio per questo egli reputi di non
poter
legittimamente adottare, salvo
poi avviare in un
momento
immediatamente
successivo il procedimento
sollecitatorio previsto
dall’ultimo comma dell’art. 413 c.c.
L’autorevole dottrina, che pure suggerisce, tale bizzarro modus
procedendi,
non tiene innanzi
tutto conto del
fatto che detta
procedura
e’ pensata in
funzione di un
giudizio sopravvenuto e
sperimentato
(si sia rilevata inidonea a realizzare la piena tutela)
sulla congruita’
della misura gia’ adottata, in allora ricorrendovi i
presupposti.
Di piu’.
Non tiene conto del fatto che una amministrazione
di sostegno che
produca
sul piano degli
effetti giuridici la
stessa situazione
dell’interdizione o
dell’inabilitazione precludendo al beneficiario
il
valido compimento da se’ solo di qualunque atto di ordinaria e/o
di straordinaria amministrazione, rende
quelle misure per definizione
non necessarie.
Infine, la trasmissione
degli atti al
p.m. e il successivo
riesame
del caso umano
da parte del giudice dell’interdizione e
dell’inabilitazione, e cosi’ ai sensi della disposizione per ultima
citata,
non necessariamente da’
luogo al risultato auspicato dal
g.t.:
che si vede
infine costretto a tenere ferma una misura di
protezione a suo parere illegittima.
In definitiva, anche le disposizioni ex art. 413, ultimo comma, e
418, ultimo
comma c.c. appaiono irragionevoli, nella misura in cui,
una
volta operata la scelta organizzativa di non concentrare in
un
unico
organo la gestione
del medesimo caso umano, non prevedono
tuttavia,
in caso di divergenza tra i due giudici, le modalita’ di
risoluzione di eventuali divergenze: sia
sull’interpretazione da dare
degli
istituti in parola, dei relativi presupposti e
dell’ampiezza
dei
relativi effetti, sia sulla gravita’
della deficienza psichica
del soggetto incapace.
La questione appare
rilevante nel caso
di specie, in quanto
l’interpretazione che il giudice
rimettente da’ dell’istituto dell’A.
di
S., tale da
ricomprendere anche deficienze
psichiche
sufficientemente
gravi da richiedere
provvedimenti con effetti
limitativi
della autonomia giuridica dell’incapace estesi all’intera
categoria
degli atti di straordinaria amministrazione, pur apparendo
a questo giudice tutelare in contrasto
con i parametri costituzionali
sopra
evidenziati, non integra
ancora una fattispecie di diritto
vivente
ma neppure difetta di plausibilita’
esegetica, vuoi per la
fonte
dottrinale e giurisprudenziale da cui promana vuoi per la
consistenza
dell’argomento letterale sui
cui poggia, e non
gli
lascerebbe
pertanto altra strada che
l’adozione di una misura a cui
il
codice civile, o meglio la sua interpretazione costituzionalmente
orientata, tuttavia non sembra abilitarlo.
Ne deriva pertanto un pericolo concreto e attuale di
violazione
dello
stesso principio costituzionale di soggezione del giudice alla
legge (art. 101, secondo comma, della
Carta).
Il principio di legalita’ in senso lato va infatti coordinato con
quello di legalita’
costituzionale, ma al giudice di Civil Law non e’
consentito
disapplicare direttamente l’interpretazione normativa
corrente
che egli reputi di dubbia legittimita’
costituzionale, puo’
solo
sollevare la relativa
questione in quanto
a suo dire non
manifestamente infondata nonche’
rilevante.
Come di fatto la solleva.
P. Q. M.
Visti gli artt. 23 e seguenti della legge 11 marzo
1953, n 87;
Dichiara la rilevanza
e la non
manifesta infondatezza della
questione di legittimita’
costituzionale:
a) degli
artt. 404, 405, n. 3
e 4, e
409 del c.c. in
relazione
agli artt. 2, 3,
4, 41, primo comma, e 42 della
Carta
costituzionale;
b) degti artt. 413, ultimo commma,
e 418, ultimo comma, del
c.c.
in relazione agli
artt. 2, 3,
4, 41, primo comma, 42 e 101,
secondo comma, della Carta costituzionale.
Sospende, pertanto, il presente giudizio, dispone la trasmissione
degli
atti alla Corte
costituzionale, e ordina che, a
cura della
cancelleria,
la presente ordinanza sia
notificata al Presidente del
Consiglio dei
ministri e sia comunicata al Presidente del Senato
della Repubblica e al Presidente della
Camera dei deputati.
Manda alla cancelleria
per tutte le
comunicazioni e le
notificazioni di rito.
Chioggia, addi’ 18 novembre 2004
Il giudice tutelare: Ciampaglia