Tributario e Fiscale

Saturday 22 March 2003

Agenzia delle entrate. Circolare 17E/2003 del 21.3.2003. Chiarimenti in materia di sanatorie fiscali. Legge 27 dicembre 2002, n. 289 e successive modifiche ed integrazioni.

Agenzia delle entrate. Circolare 17E/2003 del 21.3.2003. Chiarimenti in materia di sanatorie fiscali. Legge 27 dicembre 2002, n. 289 e successive modifiche ed integrazioni.

INDICE

1.1 Artt. 7, 8, 9, 9-bis, 12, 14, 15 e 16 – Errore scusabile. *

1.2 Art. 8 – Estinzione delle violazioni non collegate al tributo. *

1.3 Art. 8 – Integrazione dei redditi soggetti a tassazione separata. *

1.4 Art. 9 – Trattamento delle perdite. Principio della irrilevanza. *

1.4.1 Irrilevanza delle perdite utilizzate nel periodo di imposta in cui si sono generate. *

1.4.2 Irrilevanza delle perdite riportate a nuovo. *

1.4.3 Eccezioni al principio della irrilevanza. *

1.5 Art. 9-bis – Definizione dei ritardati od omessi versamenti. 14

1.6 Art. 15 – Definizione degli avvisi di liquidazione in materia di imposta complementare di registro. 15

1.7 Art. 15 – Definizione avvisi di accertamento, inviti al contraddittorio, processi verbali di constatazione. Cause ostative alle sanatorie di cui agli articoli 7, 8 e 9. *6

1.8 Artt. 15 e 16 – Processi verbali, atti di contestazione e avvisi di irrogazione di sanzioni concernenti violazioni solo formali. *7

1.9 Art. 15 – Definizione dell’invito al contraddittorio in presenza di avviso di accertamento notificato dopo il 1° gennaio 2003. *8

1.10 Art. 16 – Ricorso tardivo. *9

1.11 Art. 16 – Determinazione del valore della lite in caso di controversie concernenti rettifiche delle perdite. *9

1.12 Art. 16 – Spese di giudizio e pronunce sfavorevoli all’Amministrazione finanziaria. 22

1.13 Art. 16 – Giudicato interno, somme dovute e rimborso delle eccedenze. 28

Con la presente circolare, che fa seguito alla n. 12/E del 21 febbraio 2003, vengono forniti ulteriori chiarimenti in merito alla corretta interpretazione delle disposizioni sulle sanatorie fiscali recate dagli articoli da 6 a 17 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

Artt. 7, 8, 9, 9-bis, 12, 14, 15 e 16 – Errore scusabile.

Nell’ambito delle disposizioni in materia di sanatorie fiscali contenute nella legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Finanziaria 2003), il principio dell’errore scusabile è espressamente contemplato nel comma 9 dell’articolo 16, recante disposizioni in tema di chiusura di liti fiscali pendenti.

Tale disposizione prevede che “in caso di pagamento in misura inferiore a quella dovuta, qualora sia riconosciuta la scusabilità dell’errore, è consentita la regolarizzazione del pagamento medesimo entro trenta giorni dalla data del ricevimento della relativa comunicazione dell’Ufficio”.

A tale riguardo, nella circolare n. 12/E del 2003 è stato precisato che l’errore può ritenersi scusabile ogniqualvolta il soggetto abbia osservato una normale diligenza nella determinazione del valore della lite e nel calcolo degli importi dovuti.

La fattispecie dell’errore scusabile ricorre in tutti i casi in cui sussistano condizioni di obiettiva incertezza o di particolare complessità del calcolo.

Il principio dell’errore scusabile, nonostante ne sia fatta espressa menzione soltanto nella disposizione relativa alla chiusura delle liti fiscali pendenti, è da ritenersi applicabile, sulla base di considerazioni logico-sistematiche fondate sulla comune ratio delle disposizioni concernenti le sanatorie fiscali, anche alle altre procedure previste dagli articoli 7, 8, 9, 9-bis, 12, 14 e 15 della legge finanziaria per il 2003.

Dal momento che le suddette disposizioni prevedono anch’esse la determinazione e il versamento, mediante autoliquidazione, delle maggiori imposte o somme dovute ai fini delle definizioni, potrebbero verificarsi – infatti -situazioni in cui il versamento effettuato risulti inferiore a quello dovuto a causa di un errore indotto dalla obiettiva incertezza sulla corretta determinazione dello stesso, non eliminabile mediante l’impiego della normale diligenza.

In tale ipotesi la regolarizzazione della definizione è subordinata alla effettuazione del versamento integrativo, nei termini e secondo le modalità indicati al citato articolo 16, comma 9.

Si osserva, inoltre, come la fattispecie dell’errore scusabile non ricorra nei casi di omesso o errato versamento delle eccedenze, nelle ipotesi in cui il contribuente abbia optato per il pagamento rateale delle imposte.

In tali eventualità, infatti, è la stessa legge a prevedere una speciale procedura di recupero delle somme non versate o versate in misura inferiore.

Art. 8 – Estinzione delle violazioni non collegate al tributo.

Come è noto, il perfezionamento delle procedure di cui agli articoli 7, 8 e 9 della legge finanziaria 2003 comporta, tra l’altro, l’estinzione delle sanzioni amministrative tributarie, comprese quelle accessorie.

In aggiunta a quanto già chiarito con circolare n. 12/E del 21 febbraio 2003, ai paragrafi 2.11.2 (commento dell’articolo 8), 3.9.2 (commento dell’articolo 9) e 4.4.1 (commento dell’articolo 7), si precisa che ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto l’integrazione degli imponibili di cui all’articolo 8 comporta l’estinzione delle sanzioni amministrative tributarie limitatamente ai maggiori imponibili e alle maggiori imposte integrate aumentate della “franchigia”.

Con il perfezionamento della procedura di definizione automatica di cui all’articolo 7 è inibito l’esercizio dell’attività istruttoria e dei poteri di accertamento con riguardo esclusivamente ai redditi di impresa e di lavoro autonomo oggetto di definizione. In tal caso relativamente ai periodi d’imposta definiti, è preclusa la potestà di accertare violazioni sostanziali e formali e, conseguentemente, di emanare i relativi atti di contestazione ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 472 del 1997.

Infine, la definizione automatica di cui all’articolo 9, limitatamente alle annualità e alle imposte oggetto di sanatoria, preclude l’attività di accertamento e determina comunque l’estinzione di tutte le sanzioni amministrative, comprese quelle accessorie, connesse a violazioni di norme sostanziali e formali disciplinanti i tributi oggetto di definizione.

Art. 8 – Integrazione dei redditi soggetti a tassazione separata.

L’articolo 8, comma 3, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, dispone che “qualora gli importi da versare eccedano, per le persone fisiche, la somma di 3.000 euro e, per gli altri soggetti, la somma di 6.000 euro, gli importi eccedenti possono essere versati in due rate, di pari importo, entro il 30 novembre 2003 ed entro il 20 giugno 2004, maggiorati degli interessi legali a decorrere dal 17 aprile 2003”.

Il successivo comma 4 dello stesso articolo, relativamente all’ipotesi di presentazione della dichiarazione integrativa in forma riservata dispone, che in tal caso “È esclusa la rateazione di cui al comma 3” .

Con la circolare n. 12/E del 2003, al paragrafo 2.8.1 è stato precisato che “Anche con riferimento ai redditi soggetti a tassazione separata, le relative imposte dovute sulla base della dichiarazione integrativa, debbono essere versate integralmente entro il 16 aprile 2003, previa autoliquidazione da parte del contribuente; considerata la peculiarità della procedura dichiarativa prevista dall’articolo 8 e, in particolare, della dichiarazione riservata prevista al comma 4, non sono ammesse modalità alternative di pagamento”.

Pertanto, per i redditi soggetti a tassazione separata è possibile rateizzare le somme eccedenti i limiti di 3.000 euro, per le persone fisiche, ovvero di 6.000 euro, per gli altri soggetti. La predetta rateazione, però, per espressa disposizione normativa, è esclusa qualora il contribuente opti per la dichiarazione riservata. Solo in questo caso, infatti, è escluso il beneficio della rateazione.

Coerentemente con quanto appena affermato, i modelli di dichiarazione integrativa in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale includono i redditi soggetti a tassazione separata fra quelli ammessi alla rateazione.

Nella circolare 12/E del 2003 nel paragrafo 2.4 è stato precisato che “I contribuenti che intendano integrare o dichiarare un reddito soggetto a tassazione separata ai fini IRPEF devono necessariamente avvalersi delle disposizioni disciplinanti l’integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, stante il disposto dell’articolo 9, comma 1, secondo cui “non possono essere oggetto di definizione automatica i redditi a tassazione separata”.

E’, pertanto, necessaria la presentazione di una dichiarazione integrativa semplice tutte le volte in cui si intenda regolarizzare la omessa dichiarazione di redditi annoverati tra quelli per i quali è consentita la tassazione separata ai sensi dell’articolo 16 del TUIR, indipendentemente dal fatto che siano elencati tra quelli richiamati al comma 2 o 3 del predetto articolo 16.

Va, tuttavia, osservato che la presentazione della dichiarazione integrativa semplice non è necessaria nei casi in cui il contribuente, che si avvale della possibilità di definizione prevista dall’articolo 9, abbia a suo tempo incluso (anche parzialmente) nella dichiarazione originaria il reddito soggetto a tassazione separata facendolo confluire (per esplicita opzione) nel reddito complessivo. In questi casi, considerato che il reddito da integrare non può più essere considerato reddito assoggettabile a tassazione separata, non trova applicazione il disposto dell’articolo 9, comma 1, e la infedele dichiarazione viene sanata dalla definizione effettuata ai sensi del predetto articolo 9.

Art. 9 – Trattamento delle perdite. Principio della irrilevanza.

Ai fini della definizione automatica, l’articolo 9, comma 7, nel testo modificato dal provvedimento di conversione del decreto-legge n. 282 del 2002, prevede l’irrilevanza, a qualsiasi effetto, delle eventuali perdite risultanti dalle dichiarazioni originarie.

Irrilevanza delle perdite utilizzate nel periodo di imposta in cui si sono generate.

I periodi di imposta in cui la perdita si è generata, in base all’ultimo periodo del comma 7 dell’articolo 9, si “definiscono con il versamento del minimo” qualora il contribuente sia titolare di soli redditi di impresa.

Nell’ipotesi in cui il contribuente sia titolare anche di altri redditi, nella circolare 21 febbraio 2003 n. 12/E, con riferimento alle perdite generate in un periodo di imposta oggetto di definizione e che risultano in tutto o in parte utilizzate in tale periodo, è stato precisato che il contribuente deve calcolare l’importo dovuto per la definizione facendo riferimento all’imponibile dichiarato al lordo della perdita.

Più precisamente, deve ritenersi che in tal caso si prende a base della definizione il reddito imponibile originariamente dichiarato aumentato dell’importo delle perdite utilizzate ed applicando all’imposta lorda calcolata su tale importo le aliquote del comma 2.

Le fattispecie che possono dar luogo a perdite utilizzate nello stesso periodo in cui queste si sono originate interessano le persone fisiche titolari:

di redditi di impresa in regime di contabilità semplificata o di redditi derivanti dall’esercizio di arti e professioni che hanno utilizzato la perdita per compensare redditi ascrivibili ad altre categorie;

di redditi di impresa in regime di contabilità ordinaria che hanno utilizzato la perdita per compensare redditi derivanti dalla partecipazione in società in nome collettivo e in accomandita semplice anch’esse in regime di contabilità ordinaria.

I contribuenti che hanno utilizzato in tutto o in parte le predette perdite perfezionano la definizione con il versamento del maggiore importo tra:

quello derivante dall’applicazione delle aliquote di cui al comma 2 all’imposta lorda rideterminata prendendo a base il reddito imponibile aumentato dell’importo delle perdite eventualmente utilizzate;

quello minimo indicato all’ articolo 9, comma 3, lettera b).

I contribuenti titolari di redditi d’impresa in regime di contabilità ordinaria e di partecipazione in società di persone in regime di contabilità ordinaria che non possono compensare le relative perdite con i redditi di diversa natura conseguiti nel medesimo periodo d’imposta definiscono la propria posizione con il versamento del maggiore importo tra:

quello derivante dall’applicazione delle aliquote di cui al comma 2 all’imposta lorda originariamente dichiarata;

quello minimo indicato all’ articolo 9, comma 3, lettera b).

Irrilevanza delle perdite riportate a nuovo.

Le perdite generate in un periodo d’imposta, non sono computabili in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi indipendentemente dal fatto che gli stessi periodi siano o meno oggetto di definizione.

Il principio dell’irrilevanza delle perdite riportate opera:

sia in relazione alle perdite che, generate a partire dal periodo d’imposta 1997, sono state utilizzate in anni successivi nell’ambito dei periodi d’imposta definibili ai sensi dell’articolo 9;

sia in relazione alle perdite riportabili a partire dal periodo d’imposta successivo all’ultimo definibile (nel caso di esercizio coincidente con l’anno solare a partire dal periodo d’imposta 2002).

In conseguenza della predetta irrilevanza:

per i periodi di imposta definiti in base all’articolo 9, nei quali sia stata utilizzata una perdita riportata da anni precedenti, vi è l’obbligo di ricalcolare l’imposta lorda su cui applicare le percentuali previste dal comma 2, secondo le modalità esplicitate nell’esempio riportato al termine del presente paragrafo;

per i periodi di imposta successivi all’ultimo definibile, le perdite ancora disponibili – salvo quanto si dirà al successivo paragrafo 1.4.3 – non possono essere utilizzate.

Si riporta il seguente esempio riferito a soggetto IRPEG:

1998 – Perdita di periodo: 1000

– Perdita 1998 rinviata al futuro esercizio: 1000

1999 – Perdita 1998 riportata a nuovo: 1000

– Utilizzo della perdita riportata dal 1998: 50

– Perdita 1998 rinviata al futuro esercizio: 950

2000 – Perdita 1998 riportata a nuovo: 950

– Utilizzo della perdita riportata dal 1998: 0

– Perdita 1998 rinviata al futuro esercizio: 950

2001 – Perdita 1998 riportata a nuovo: 950

– Utilizzo della perdita riportata dal 1998: 250

– Perdita 1998 rinviabile al futuro esercizio: 700

Ne consegue che:

per l’anno 1998, periodo d’imposta chiuso in perdita, si definisce con il pagamento dell’importo minimo;

per la parte di perdita utilizzata nel 1999 (50) e per quella utilizzata nel 2001 (250) occorre rideterminare l’imposta lorda sulla quale applicare le percentuali previste dal comma 2 dell’articolo 9;

l’esercizio 2000, per il quale non si registra alcun utilizzo della perdita 1998 perché, in ipotesi, esercizio chiuso in pareggio, sarà definito con il versamento dell’importo minimo;

la parte di perdita residua di 700 non è più utilizzabile a partire dal 2002.

Si riporta, inoltre, un esempio di rideterminazione dell’imposta lorda, finalizzata alla definizione automatica ai sensi dell’articolo 9, riferita ad un soggetto che abbia dichiarato per l’anno 2001 redditi imponibili ai fini IRPEG:

– Reddito dell’esercizio 3.000

– Perdita utilizzata (riportata da esercizio precedente) 2.000

– Reddito imponibile 1.000

– Imposta lorda dichiarata 360

– Imposta lorda virtuale (36% di 2000) 720

– Imposta lorda rilevante ai sensi dell’articolo 9, co. 2 1.080

– Imposta da versare ai fini della definizione (8% di 1.080) 86,4

Eccezioni al principio della irrilevanza.

Fanno eccezione alle regole generali precedentemente illustrate, concernenti l’irrilevanza delle perdite, le seguenti fattispecie riferite a:

perdite divenute definitive, in quanto originate in periodi d’imposta che non possono più costituire oggetto di rettifica;

perdite di esercizio utilizzate in periodi di imposta definiti in base al comma 3-bis;

perdite derivanti dall’applicazione dell’articolo 4 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, cd. “Tremonti-bis”; per la quota di perdita generata dalla variazione in diminuzione effettuata ai sensi della predetta legge;

perdite risultanti dalle dichiarazioni originarie oggetto di definizione automatica ai sensi del medesimo articolo 9 per le quali viene pagata una somma pari al 10% .

Per ciascuna delle predette eccezioni si richiedono alcune precisazioni.

Con riguardo alla lett. a), si tratta di perdite generate in periodi d’imposta antecedenti al 1997 che sono utilizzabili solo nei periodi d’imposta oggetto di definizione ai sensi dell’articolo 9.

In relazione all’ipotesi di cui alla lett. b) si precisa che, analogamente a quanto chiarito al punto 4.6.4 della circolare del 21 febbraio 2003 n. 12/E la disposizione di carattere speciale recata dal citato comma 3-bis (che interessa i contribuenti che abbiano dichiarato ricavi e compensi congrui sulla base degli studi di settore o dei parametri) prevale su quella del comma 7, considerato che, in tali casi, la definizione automatica si perfeziona con il solo versamento delle somme indicate nel predetto comma 3 bis. Conseguentemente per tali periodi di imposta non occorre rideterminare l’imposta lorda sulla quale applicare le percentuali previste dal comma 2. Resta ferma, invece, la irrilevanza delle perdite per la parte utilizzata in successivi esercizi relativamente ai quali il contribuente non può avvalersi della definizione prevista dal comma 3 bis.

Con riferimento alla lett. c) si precisa che per determinare la quota di perdita derivante dall’applicazione delle disposizioni dell’articolo 4 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, Tremonti-bis, riportabile liberamente a partire dal periodo d’imposta 2002, il contribuente deve confrontare la corrispondente variazione in diminuzione con la perdita emergente dalla dichiarazione e portare a nuovo la quota di perdita generata dalla variazione in diminuzione della Tremonti-bis che trova capienza nella perdita dichiarata.

Si riportano i seguenti esempi:

Esempio n. 1

Perdita da conto economico economico

– 20

Totale variazioni in aumento

20

Variazioni in diminuzione

da Tremonti-bis

40

altre variazioni in diminuzione

80

Totale variazioni in diminuzione

120

PERDITA D’ESERCIZIO

120

La quota di perdita derivante dall’applicazione della Tremonti-bis riportabile a nuovo che trova capienza nella perdita emergente dalla dichiarazione è pari a 40, cioè all’intera variazione in diminuzione derivante dall’applicazione della Tremonti-bis.

Esempio n. 2

Utile da conto economico

10

Totale variazioni in aumento

20

Variazioni in diminuzione

Da Tremonti-bis

40

Altre variazioni in diminuzione

80

Totale variazioni in diminuzione

120

PERDITA D’ESERCIZIO

90

Come nel precedente esempio, la quota di perdita derivante dall’applicazione della Tremonti-bis riportabile a nuovo che trova capienza nella perdita emergente dalla dichiarazione è pari a 40, cioè all’intera variazione in diminuzione derivante dall’applicazione della Tremonti-bis.

Esempio n. 3

Utile da conto economico

40

Totale variazioni in aumento

60

Variazioni in diminuzione

Da Tremonti-bis

40

Altre variazioni in diminuzione

80

Totale variazioni in diminuzione

120

PERDITA D’ESERCIZIO

20

La quota di perdita derivante dell’applicazione della Tremonti-bis riportabile a nuovo che trova capienza nella perdita emergente dalla dichiarazione è pari a 20.

Con riferimento, infine, a quanto indicato alla lettera d) si fa presente che il contribuente ha la facoltà di dare rilievo alla perdita rinviata, nella misura che ritiene più opportuna, con il pagamento del 10%; pertanto può scegliere se affrancare l’intera perdita ovvero soltanto una parte di essa. In tale ultima ipotesi, il contribuente provvederà a versare la somma del 10% limitatamente alla porzione di perdita che intende rendere rilevante nei periodi d’imposta successivi a quello di formazione (siano essi compresi o meno nell’intervallo temporale per il quale è possibile richiedere la definizione).

Si riporta il seguente esempio riferito a soggetto IRPEG:

1998 – Perdita di periodo: 1000

– Perdita 1998 rinviata al futuro esercizio: 1000

1999 – Perdita 1998 riportata a nuovo: 1000

– Utilizzo della perdita riportata dal 1998: 50

– Perdita 1998 rinviata al futuro esercizio: 950

2000 – Perdita 1998 riportata a nuovo: 950

– Utilizzo della perdita riportata dal 1998: 0

– Perdita 1998 rinviata al futuro esercizio: 950

2001 – Perdita 1998 riportata a nuovo: 950

– Utilizzo della perdita riportata dal 1998: 250

– Perdita 1998 rinviabile al futuro esercizio: 700

Il contribuente può scegliere di affrancare solo parzialmente la perdita originaria con il versamento del 10 per cento. In particolare può scegliere se affrancare o meno, in tutto o in parte, la perdita residua (700) non utilizzata nei periodi oggetto di definizione.

Si supponga che il contribuente scelga di affrancare soltanto una parte (180) della predetta perdita residua (700) dietro il pagamento della somma del 10%.

Ne consegue che:

per l’anno 1998, periodo d’imposta chiuso in perdita, si definisce con il pagamento dell’importo minimo;

la parte utilizzata nel 1999 (50) e quella utilizzata nel 2001 (250) comportano la necessità di rideterminare l’imposta lorda sulla quale applicare le percentuali previste dal comma 2 dell’articolo 9;

l’esercizio 2000, per il quale non si registra alcun utilizzo della perdita 1998 perché, in ipotesi, esercizio chiuso in pareggio, sarà definito con il versamento dell’importo minimo;

la parte di perdita affrancata (180) con il versamento della somma del 10 per cento, potrà essere liberamente utilizzata a partire dal 2002.

Il contribuente potrebbe avere interesse, altresì, ad affrancare con il pagamento del 10 per cento anche una parte della perdita utilizzata in un periodo di imposta per il quale, ricorrendo una causa di preclusione, non può avvalersi della definizione automatica ai sensi dell’articolo 9.

Art. 9-bis – Definizione dei ritardati od omessi versamenti.

L’articolo 9-bis, comma 1, al primo periodo dispone che “Le sanzioni previste dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 novembre 1997, n, 471, non si applicano ai contribuenti e ai sostituti d’imposta che alla data del 16 aprile 2003 provvedono ai pagamenti delle imposte o delle ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate entro il 31 ottobre 2002, per le quali il termine di versamento è scaduto anteriormente a tale data”.

Si ritiene che la predetta sanatoria trovi applicazione anche con riguardo ai tardivi od omessi versamenti risultanti dalle dichiarazioni periodiche ai fini dell’IVA che, in conformità al disposto del citato articolo 9-bis, siano evidenziati anche nella dichiarazione annuale.

Ovviamente, qualora l’imposta non versata e risultante dalla dichiarazione periodica non confluisca in quella annuale, la definizione di cui all’articolo 9-bis non è ammessa (in tal senso v. circolare n. 12/E, paragrafo 5.1)

Sono altresì definibili ai sensi dell’articolo 9-bis gli omessi o tardivi versamenti delle imposte dovute a titolo di acconto, dal momento che le stesse sono esposte nella dichiarazione annuale.

A miglior specificazione di quanto riportato al paragrafo 5.2 della circolare n. 12/E, si evidenzia che ai fini della definizione dei ritardati od omessi versamenti iscritti a ruolo, il beneficio della disapplicazione delle sanzioni, ai sensi dell’articolo 9-bis, comma 2, compete limitatamente alle rate non ancora scadute alla data del 16 aprile 2003, a condizione che le imposte, le ritenute e i relativi interessi iscritti a ruolo vengano pagati alla scadenza della rata.

Art. 15 – Definizione degli avvisi di liquidazione in materia di imposta complementare di registro.

L’articolo 15, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, dispone che possono essere definiti secondo le modalità ivi indicate, senza applicazione di interessi e sanzioni, “Gli avvisi di accertamento per i quali alla data di entrata in vigore della presente legge (1/1/2003 N.d.R.) non sono ancora spirati i termini per la proposizione del ricorso, gli inviti al contraddittorio di cui agli articoli 5 e 11 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, per i quali alla data di entrata in vigore della presente legge (1/1/2003 N.d.R.) non è ancora intervenuta la definizione, nonché i processi verbali di constatazione relativamente ai quali, alla data di entrata in vigore della presente legge (1/1/2003 N.d.R.), non è stato notificato avviso di accertamento ovvero ricevuto invito al contraddittorio…”.

Ai fini dell’imposta di registro la maggiore imposta dovuta a seguito della decadenza da agevolazioni concesse in sede di registrazione e liquidata con appositi avvisi, è da considerarsi imposta complementare ai sensi dell’articolo 42 del DPR 26 aprile 1986, n. 131; essa vale ad affermare, infatti, una statuizione impositiva conseguente a violazioni sostanziali delle norme tributarie.

In base alla classificazione operata dal citato articolo 42 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, è complementare – in sostanza – l’imposta liquidata dall’ufficio a seguito di attività di accertamento.

Pertanto, l’avviso con il quale viene chiesto in pagamento l’imposta complementare, sebbene formalmente denominato “avviso di liquidazione”, e non “avviso di accertamento” rientra tra i provvedimenti definibili ai sensi dell’articolo 15. Ovviamente ciò è possibile se alla data del 1° gennaio 2003 l’avviso di liquidazione concernente l’imposta complementare non si sia reso definitivo per acquiescenza. Qualora sia stato invece impugnato trova applicazione l’articolo 16 della legge n. 289 del 2002.

Art. 15 – Definizione avvisi di accertamento, inviti al contraddittorio, processi verbali di constatazione. Cause ostative alle sanatorie di cui agli articoli 7, 8 e 9.

Ai fini della definizione degli atti richiamati all’articolo 15 si osserva che:

relativamente ai processi verbali di constatazione, non occorre tener conto di tutti i rilievi verbalizzati. Nella circolare n. 12/E è stato tuttavia individuato un contenuto minimo della definizione, la quale dovrà comunque avere ad oggetto tutti i rilievi che, nell’ambito di un determinato periodo d’imposta, interessano un singolo tributo;

ai sensi dei commi 2, 3, 3-bis e 4 dell’articolo 15 gli importi dovuti ai fini della definizione degli avvisi di accertamento, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni e degli inviti al contraddittorio nonché dei processi verbali di constatazione si determinano sulla base dei dati (a seconda dei casi, maggiori imposte, ritenute e contributi o maggiori componenti positivi e minori componenti negativi), così come risultano dai predetti atti, fatta salva la possibilità per il contribuente di emendare eventuali errori di calcolo e di tener conto di successive modificazioni eventualmente apportate – con atto formale – dagli uffici locali dell’Agenzia delle entrate.

In merito alla definizione automatica per gli anni pregressi di cui all’articolo 9, si richiama l’attenzione sui seguenti punti, in parte già evidenziati nella circolare n. 12/E:

la definizione può essere limitata a un singolo settore impositivo;

la notifica entro il 1° gennaio 2003 di un processo verbale di constatazione con esito positivo, non definito ai sensi dell’articolo 15 pur sussistendone i presupposti, produce effetti preclusivi ai fini della definizione automatica limitatamente all’annualità e al settore impositivo interessati dai rilievi verbalizzati;

di contro, per estendere la definizione automatica di cui all’articolo 9 a un determinato periodo d’imposta interessato da un processo verbale di constatazione, quest’ultimo dovrà essere preventivamente definito ai sensi dell’articolo 15 con riguardo a tutti i rilievi inerenti i tributi del settore impositivo oggetto di definizione.

Artt. 15 e 16 – Processi verbali, atti di contestazione e avvisi di irrogazione di sanzioni concernenti violazioni solo formali.

I processi verbali di constatazione notificati entro il 1° gennaio 2003 e concernenti violazioni solo di tipo formale per le quali risultino applicabili sanzioni non collegate al tributo possono essere definiti – per espressa disposizione recata dal comma 4, lettera b-bis) dell’articolo 15 della legge finanziaria – mediante il pagamento di un importo pari al dieci per cento delle sanzioni minime applicabili.

La notifica dei predetti processi verbali alla data del 1° gennaio 2003, in assenza di espressa previsione normativa, non rileva come causa di preclusione ai fini delle procedure di sanatoria di cui agli articoli 7, 8 e 9.

Tanto si afferma in adesione all’esigenza di riservare alle violazioni formali, nell’ambito delle diverse procedure definitorie della legge n. 289 del 2002, un trattamento uniforme. Sarebbe poco comprensibile – infatti – attribuire diversa valenza alle violazioni di tipo formale a seconda che risultino da atti di contestazione e avvisi di irrogazione sanzioni ovvero da processi verbali di constatazione.

Così come le violazioni di tipo formale non impediscono l’accesso alle sanatorie previste agli articoli 7, 8 e 9, qualora siano contemplate in atti di contestazione o avvisi di irrogazione di sanzioni (atti privi di contenuto impositivo e pertanto non annoverabili tra gli “avvisi di accertamento” la cui notifica – per espressa previsione di legge (cfr. articolo 7, comma 3, lett. a); articolo 8, comma 10, lett. a); articolo 9, comma 14. lett. a) realizza una causa di preclusione), allo stesso modo è da escludere che le medesime violazioni formali possano impedire le definizioni quando costituiscono oggetto di rilievi elevati nei processi verbali di constatazione.

Parimenti, la predetta causa di preclusione non opera per gli atti di irrogazione di sanzioni non collegate ai tributi per i quali, alla data del 1° gennaio 2003, sia pendente una lite fiscale, definibile ai sensi dell’articolo 16 della finanziaria 2003.

Art. 15 – Definizione dell’invito al contraddittorio in presenza di avviso di accertamento notificato dopo il 1° gennaio 2003.

Come è noto, il contribuente non può accedere alle sanatorie di cui agli articoli 7, 8 e 9 in presenza di un invito al contraddittorio notificato al 1° gennaio 2003, relativamente al quale non sia stata perfezionata la definizione di cui all’articolo 15 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

Può verificarsi però che l’ufficio, dopo aver notificato il predetto atto, notifichi, in data successiva al 1° gennaio 2003, un avviso di accertamento ordinario sulla stessa materia interessata dall’invito al contraddittorio.

In tal caso il contribuente potrà rimuovere la causa di preclusione attraverso la definizione dell’invito al contraddittorio ai sensi dell’articolo 15, senza tener conto dell’atto di accertamento successivamente notificato. Ciò in quanto gli esiti dell’attività di controllo notificati dopo il 1° gennaio 2003 non rilevano ai fini delle procedure definitorie.

Art. 16 – Ricorso tardivo.

Come chiarito con la circolare n. 12/E del 21 febbraio 2003, punto 11.2.3, ai sensi dell’articolo 16 della finanziaria 2003 l’esistenza di cause di inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio “non rileva ai fini della definibilità della lite, finché la stessa sia pendente.”

Al riguardo si precisa che anche il ricorso alla Commissione tributaria provinciale proposto oltre il termine di decadenza di sessanta giorni, decorrente dalla data di notificazione dell’atto impugnato, è da considerarsi inammissibile, come disposto dall’articolo 21, comma 1 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

Art. 16 – Determinazione del valore della lite in caso di controversie concernenti rettifiche delle perdite.

Il tema della determinazione del valore della lite in ipotesi di rettifica di perdite viene affrontato nel punto 11.4.1 della circolare n. 12/E del 2003.

In proposito preliminarmente si osserva che il comma 3, lett. a) e c), dell’articolo 16 della finanziaria 2003 presuppone che la lite definibile esprima un determinato valore sul quale calcolare le somme dovute. Tale valore è dato dai tributi (o dalle sanzioni quando queste non siano collegate ai tributi) accertati dall’ufficio e contestati con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Tuttavia, nella circolare n. 12/E è stata prospettata la possibilità di definire le liti concernenti le rettifiche di perdite, in particolare in considerazione del fatto che le stesse possono incidere sulla determinazione del reddito imponibile dei periodi d’imposta successivi a quello in contestazione. Conseguentemente sono stati individuati i criteri per definire tali liti e quindi ottenere l’effetto dell’affrancamento delle perdite oggetto di rettifica, sulla base dell’imposta virtuale commisurata alle stesse perdite in contestazione.

I criteri illustrati nella circolare n. 12/E possono trovare applicazione in tutte le ipotesi in cui si vuole ottenere l’effetto di affrancare le perdite oggetto di controversia. Pertanto, anche nei casi in cui l’atto di accertamento, a rettifica delle perdite dichiarate, evidenzi un imponibile e una maggiore imposta, il contribuente ha facoltà di affrancare le perdite; in tal caso dovrà sommare alle maggiori imposte accertate anche l’imposta virtuale corrispondente alle perdite in contestazione.

Per effetto dell’affrancamento in applicazione dell’articolo 16, le perdite rilevano ai fini della determinazione dei redditi dei periodi d’imposta successivi e comportano il venir meno degli effetti della rettifica in contestazione nei periodi d’imposta successivi a quello per cui si effettua la chiusura della lite.

Da ciò consegue che:

vengono meno i rilievi e le violazioni già contestati che trovino il loro presupposto nelle perdite affrancate;

il contribuente che intenda avvalersi degli istituti definitori di cui agli articoli 7, 8, 9 e 15 della finanziaria 2003 terrà conto delle perdite dichiarate e affrancate.

Si precisa che qualora il ricorrente non intenda avvalersi della facoltà di affrancare le perdite contestate, la lite relativa alle stesse non costituisce comunque causa ostativa all’accesso alle definizioni agevolate di cui agli articoli 7, 8 e 9 della finanziaria 2003. Si ritiene, infatti, che solo la lite nella quale è in contestazione una maggiore imposta accertata conseguente a rettifica di perdite dichiarate possa costituire causa di preclusione. In tal caso, al fine di rimuovere la causa di preclusione, è sufficiente definire la lite tenendo conto del valore corrispondente alla maggiore imposta accertata, senza necessità di affrancare anche le perdite rettificate.

A maggior chiarimento di quanto esposto si propone il seguente esempio.

Una società per azioni, per l’anno d’imposta 1997 ha dichiarato ai fini IRPEG una perdita di 100.000 euro, computata interamente in diminuzione del reddito complessivo dell’anno successivo, anch’esso pari a 100.000 euro. Per effetto di tale computo, il reddito dichiarato per l’anno 1998 diviene pari a 0.

A seguito di avviso di accertamento notificato ai fini IRPEG per l’anno d’imposta 1997, la perdita di tale periodo viene completamente disconosciuta.

Anche per l’anno d’imposta successivo (1998) viene notificato avviso di accertamento, col quale viene recuperata la perdita generata nel 1997 e computata in diminuzione nel periodo d’imposta 1998 e, inoltre, viene rideterminato il reddito complessivo per effetto del recupero a tassazione di maggiori ricavi (ad esempio pari a 50.000 euro). Il reddito accertato è quindi pari a 150.000 euro.

Tali atti vengono integralmente impugnati e la lite pende alla data del 1° gennaio 2003 in Commissione tributaria provinciale.

Riepilogando avremo:

Anno d’imposta 1997

Dichiarato (importi in euro)

Accertato (importi in euro)

Perdita

– 100.000

0

Anno d’imposta 1998

Reddito imponibile

0

150.000

In tal caso possono prospettarsi le seguenti soluzioni.

La società può chiudere, ai sensi dell’articolo 16 della finanziaria 2003, la lite pendente relativa all’anno d’imposta 1997 determinando il costo della definizione prendendo a base l’imposta virtuale calcolata sulla perdita rettificata:

100.000 euro x 37% = 37.000 euro (valore della lite pari all’imposta virtuale calcolata sulla perdita azzerata per effetto della rettifica)

37.000 euro x 30% = 11.100 euro (costo della definizione determinato applicando all’imposta virtuale l’aliquota del 30 per cento prevista per le pendenze in Commissione provinciale).

In tal caso, il contribuente può affrancare l’intera perdita dichiarata e computarla conseguentemente in diminuzione dell’imponibile 1998. Nella lite relativa a quest’ultimo anno d’imposta verrà a cessare parzialmente la materia del contendere, cioè limitatamente al recupero operato dall’ufficio per effetto del disconoscimento delle predette perdite. Resta fermo che la controversia proseguirà per il rilievo riguardante i maggiori ricavi recuperati a tassazione (nell’esempio pari a 50.000 euro) ovvero potrà essere definita ai sensi dell’articolo 16 commisurando il valore della lite all’imposta corrispondente ai soli maggiori ricavi.

In alternativa, la società può anche definire solo la lite relativa all’anno d’imposta 1998. In tal caso, non essendo definibile parzialmente la controversia, il valore della lite è pari all’imposta relativa all’intero maggior imponibile accertato (37% di 150.000 euro = 55.500 euro), sul quale va applicata l’aliquota del 30% prevista dall’articolo 16 in primo grado (il costo della definizione è pari a: 55.500 euro x 30% = 16.650 euro).

Art. 16 – Spese di giudizio e pronunce sfavorevoli all’Amministrazione finanziaria.

Ai sensi dell’articolo 16 la definizione è ammessa, come illustrato al punto 11.2 della circolare n. 12/E del 2003, anche nei casi in cui:

al 1° gennaio 2003 pendevano i termini per impugnare una pronuncia resa dai Giudici di merito;

una pronuncia dei Giudici di merito sia divenuta definitiva nel periodo compreso fra il 30 settembre ed il 31 dicembre 2002 ovvero nel medesimo periodo sia stata depositata una sentenza di cassazione senza rinvio.

Le spese giudiziali eventualmente liquidate con tali pronunce (peraltro esigibili solo a seguito di sentenza definitiva) non rilevano ai fini della determinazione del valore della lite né influiscono sul costo della definizione, come chiarito al punto 11.6.7 della stessa circolare n. 12/E.

Si precisa, inoltre, che la chiusura della lite definisce ogni aspetto della controversia, compreso quello relativo alle spese di giudizio. Per effetto della definizione disciplinata dall’articolo 16, si costituisce, infatti, un nuovo assetto nei rapporti tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria, che si sostituisce alle statuizioni della pronuncia giurisdizionale.

Il contribuente, aderendo alla definizione agevolata prevista dalla legge, si avvale dei benefici alla stessa connessi, in luogo degli effetti della pronuncia resa.

Ulteriori precisazioni si rendono necessarie in relazione alle pronunce sfavorevoli all’Amministrazione finanziaria.

In tal caso occorre che l’Ufficio controlli la regolarità della domanda di definizione ed i relativi versamenti prima della scadenza dei termini d’impugnazione. Occorre evitare, in particolare, che in presenza di definizione non valida, la pronuncia giurisdizionale divenga definitiva, considerato che l’articolo 16 sospende i termini di impugnazione solo sino al 30 giugno 2003. Infatti, la facoltà di impugnare la sentenza unitamente al diniego della definizione, quindi anche successivamente alla scadenza dell’ordinario termine d’impugnazione, è consentita – ai sensi dell’articolo 16, comma 8 – soltanto al contribuente e non anche all’Amministrazione finanziaria.

L’Ufficio, pertanto, in presenza di irregolarità della definizione dovrà valutare caso per caso l’opportunità di impugnare tempestivamente la pronuncia.

Ai fini della regolarità della definizione, in presenza di condanna alle spese di giudizio a carico dell’Amministrazione finanziaria con distrazione a favore del difensore (articolo 93 c.p.c.), è altresì necessario acquisire l’atto di rinuncia dell’avvocato ad avvalersene; atto da produrre contestualmente alla presentazione della domanda di definizione o successivamente su invito dell’Ufficio. In mancanza di rinuncia, l’ufficio valuterà – alla stregua del principio di economicità dell’azione – l’opportunità di una tempestiva impugnazione della pronuncia.

Art. 16 – Giudicato interno, somme dovute e rimborso delle eccedenze.

L’articolo 16, comma 3, lett. c) dispone che si intende “per valore della lite, da assumere a base del calcolo per la definizione, l’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado”.

In base a tale disposto normativo nella circolare n. 12/E del 21 febbraio 2003 è stato chiarito che il valore da assumere a base del calcolo per la definizione è costituito dal tributo contestato nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.

Al riguardo si rende tuttavia opportuna un’ulteriore e più approfondita riflessione che tenga conto della ratio dell’articolo 16, volta a consentire la definizione delle contestazioni che formano ancora oggetto di controversia.

Si ritiene in particolare che il tributo rilevante ai fini della determinazione del valore della lite sia solo quello riferibile all’atto o a quella parte dell’atto che, alla data della definizione, costituisca ancora oggetto di controversia.

Pertanto, in caso di giudicato interno formatosi anteriormente al 30 settembre 2002, il valore della lite deve essere calcolato tenendo conto del tributo e/o delle sanzioni non collegate al tributo limitatamente alla parte ancora in contestazione e non coperta da giudicato.

Allo stesso modo, qualora il giudicato interno si sia formato sull’intero tributo e la lite sia pendente in ordine alle sole sanzioni originariamente collegate al tributo, il valore della lite è dato dalle sanzioni in contestazione, analogamente a quanto chiarito nella circolare n. 12/E del 2003 al punto 11.3.7, concernente la definizione nei casi di parziale acquiescenza nei confronti dell’atto impugnato.

Si evidenzia che in tali casi la dichiarazione di estinzione del giudizio interesserà la sola parte della controversia ancora in contestazione.

Va da sé che la chiusura della lite lascia impregiudicata la necessità di dare esecuzione al giudicato interno con conseguente recupero di tributi, sanzioni ed interessi dovuti per effetto della intervenuta sentenza definitiva.

Considerazioni analoghe valgono in caso di annullamento parziale dell’atto in contestazione in via di autotutela. In particolare, qualora in pendenza di lite l’Amministrazione finanziaria abbia annullato parzialmente il provvedimento impugnato, il contribuente può avere interesse a definire la controversia, avendo riguardo alla parte di pretesa erariale non interessata da annullamento d’ufficio.

Anche in tal caso la parte di provvedimento impugnato annullata ex tunc non concorre alla determinazione del valore della lite, essendo stata rimossa al riguardo ogni ragione di contrasto.

In proposito si precisa che, a seguito della comunicazione di regolarità della definizione da parte dell’Ufficio, la dichiarazione di estinzione del giudizio per chiusura della lite di cui al comma 8 dell’articolo 16 riguarderà l’intero oggetto della controversia, compresa la parte del provvedimento impugnato annullato in via di autotutela.

Ciò posto, occorre riproporre il prospetto di calcolo contenuto nella circolare n. 12/E del 2003 al punto 11.7.

L’esempio è il seguente: un contribuente, che ha contestato un avviso d’accertamento recante maggiore imposta per 10.000 euro e, conseguentemente, pagato 5.000 euro d’imposta e 1.000 euro di interessi a seguito d’iscrizione a ruolo a titolo provvisorio, intende definire la lite in presenza di sentenza di primo grado, con la quale la Commissione tributaria ha parzialmente accolto il ricorso, confermando la legittimità e la fondatezza della pretesa limitatamente ad un’imposta pari a 3.000 euro, sanzione pari a 3.000 euro ed interessi pari a 600 euro.

Ipotizzando la formazione di giudicato interno sulla parte di pronuncia favorevole all’Amministrazione finanziaria con prosecuzione della controversia su appello di quest’ultima, la somma dovuta ai fini della definizione della lite è pari a 700 euro (10% di 7.000 euro, corrispondente all’imposta annullata con sentenza ancora non definitiva). In sintesi, si rileva quanto segue:

Somme iscritte a ruolo a titolo provvisorio e pagate

6.000

Somme dovute per la definizione (da non versare perché inferiori a quanto già versato in pendenza di giudizio)

700

Imposte, sanzioni e interessi risultanti da sentenza, dovuti definitivamente per effetto di giudicato interno

6.600

Contrapponendo la somma a debito (7.300, di cui 700 per debito da definizione e 6.600 per debito da giudicato interno) a quella a credito (6.000 per iscrizione provvisoria), emerge una posizione debitoria di 1.300 euro. Nel caso di specie, ai fini del perfezionamento della definizione è sufficiente presentare l’apposita domanda entro il 21 aprile 2003, in quanto il costo della definizione (700) è inferiore alla somma già versata in pendenza di giudizio (6.000). Le sanzioni verranno recuperate, infatti, dall’ufficio tramite ruolo.

Qualora, invece, sulla parte della sentenza sfavorevole al contribuente non si fosse formato giudicato interno, rileverebbero i seguenti dati:

Somme iscritte a ruolo a titolo provvisorio e pagate

6.000

Somme dovute per la definizione (50% di 3.000 – imposta confermata dalla sentenza – più 10% di 7.000 – imposta annullata dalla sentenza – da non versare perché inferiori a quanto già versato in pendenza di giudizio)

(a) 1.500 +

(b) 700 =

2.200

Somme iscritte a ruolo a titolo provvisorio proporzionali alla parte della sentenza favorevole all’Amministrazione, da non rimborsare (6.000 x 3.000/10.000), ma dalle quali può comunque essere scomputata la somma (a) di 1.500

1.800

Somme iscritte a ruolo a titolo provvisorio proporzionali alla parte della sentenza sfavorevole all’Amministrazione (6.000×7.000/10.000)

(c) 4.200

Somme da rimborsare:

(c) – (b)

4.200 – 700

3.500

E’ il caso di precisare, infine, che, qualora l’imposta confermata dalla sentenza parzialmente favorevole non sia stata liquidata direttamente dal giudice, occorre procedere preventivamente alla liquidazione della stessa.

Al riguardo si propone il seguente esempio.

Ad un contribuente, che per il 1996 ha dichiarato un reddito imponibile di 14.000.000 di vecchie lire e la corrispondente IRPEF, pari a 2.216.000 lire in assenza di detrazioni, è stato notificato un avviso d’accertamento recante un imponibile di 75.000.000 lire e relativa imposta di 22.866.000 lire (quindi con una maggiore imposta accertata per 20.650.000 lire).

Il contribuente ha contestato integralmente l’avviso d’accertamento e la Commissione tributaria provinciale ha parzialmente accolto il ricorso riducendo l’imponibile accertato a 48.000.000 di lire.

La maggiore imposta decisa, pari a 10.420.000 lire, risulta dalla differenza fra l’imposta corrispondente all’imponibile deciso (12.636.000), calcolata con le aliquote progressive in vigore per l’anno 1996 (indicate nell’avviso d’accertamento) e l’imposta dichiarata (2.216.000).

Ai fini della definizione della lite, è dovuta una somma pari al 50% della maggiore imposta risultante dalla sentenza (10.420.000) e al 10% di 10.230.000 lire. Quest’ultimo importo corrisponde all’imposta annullata dalla sentenza ed è pari alla differenza fra la maggiore imposta accertata (20.650.000) e quella decisa (10.420.000). Le somme dovute ammonteranno pertanto a 6.233.000 lire (50% di 10.420.000 più 10% di 10.230.000), corrispondenti a 3.219,08 euro.

Si specifica che i calcoli possono essere effettuati anche in lire se l’atto impugnato era redatto in tale valuta, mentre la conversione finale in euro è indispensabile per poter compilare la domanda di definizione, sulla quale tutti gli importi ovviamente devono essere indicati in euro.

Rettifiche alla circolare n. 12/E del 2003.

Nel paragrafo 2.8.2 (“Contenuto delle dichiarazioni integrative”) il periodo “Posto che il comma 5 dell’articolo 8 prevede che per i redditi e gli imponibili conseguiti all’estero è dovuta un’imposta sostitutiva di quelle indicate nel comma 1, pari al 13 per cento, ne consegue l’impossibilità di operare la detrazione dei crediti di imposta per i redditi prodotti all’estero, di cui all’articolo 15 del TUIR, ancorché precedentemente non richiesti.” deve intendersi sostituito dal seguente: “Posto che il comma 5 dell’articolo 8 prevede che per i redditi e gli imponibili conseguiti all’estero è dovuta un’imposta sostitutiva di quelle indicate nel comma 1, pari al 6 per cento, ne consegue l’impossibilità di operare la detrazione dei crediti di imposta per i redditi prodotti all’estero, di cui all’articolo 15 del TUIR, ancorché precedentemente non richiesti.”

Nel paragrafo 3.9.5 (“Disposizioni in merito al sisma che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa nel 1990”) nell’ultimo periodo il riferimento alla somma di “6.000 euro” va sostituito con quello alla somma di “5.000 euro”.

Nel paragrafo 5.2 (“Definizione dei ritardati od omessi versamenti iscritti a ruolo”) si ha per non apposta la seguente espressione: “(non oltre il 16 aprile 2003)”. Pertanto, ai fini del perfezionamento della definizione è necessario che, alla prevista scadenza del ruolo (successiva al 16 aprile 2003), il contribuente versi le imposte o ritenute e relativi interessi ovvero, nel caso di sanzioni iscritte a ruolo per tardivo versamento, soltanto gli interessi iscritti a ruolo.

Nel paragrafo 10.3.3 (“processi verbali di constatazione”) il periodo “Ai sensi del comma 4-bis, non sono definibili le violazioni relative all’emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare di cui al decreto legge 22 febbraio 2002, n. 12 convertito dalla legge 23 aprile 2002, n. 73” deve intendersi sostituito dal seguente: “Ai sensi del comma 4-bis, non sono definibili le violazioni relative all’emersione di lavoro irregolare di cui al decreto legge 22 febbraio 2002, n. 12 convertito dalla legge 23 aprile 2002, n. 73”.

Le interpretazioni recate dalla presente circolare integrano, laddove compatibili, quelle fornite dalla scrivente con la circolare n. 12/E del 21 febbraio 2003.